lunedì 30 settembre 2013

“LA SFINGE DORMIENTE” DI JOHN DICKSON CARR



Scommetto che qualcuno di voi se lo sarà chiesto; perchè questo blog finora ha parlato di autori sconosciuti e inflazionati e ha invece trascurato scrittori del calibro di John Dickson Carr, Ellery Queen o S.S. Van dine?

I motivi sono due; primo, sono troppo citati e osannati (talvolta esageratamente) in altri blog di genere. Secondo, non li amo come altri autori.

Parliamo di Carr; sicuramente è un titano del poliziesco, ha scritto molte cose memorabili e alcuni suoi libri li amo molto, ma non riesce a coinvolgermi come la Christie, Conan Doyle o Wallace.
Carr (e Queen) sono i paladini di coloro che amano il giallo-enigma, con camere chiuse, delitti impossibili, situazioni al limite del soprannaturale e cifrari complicatissimi; mi duole dire che io sono un appassionato del giallo avventuroso e romantico, e prediligo storie poliziesche intrise di  avventura e di sentimento, e soprattutto che non siano rompicapi  terribilmente arzigogolati; non ho una mente analitica come quella dei grandi detective, la mia intelligenza è limitata (lo ammetto senza nessun problema)e non ho nessun interesse a risolvere un mistero al di fuori della mia portata. Per cui  più di una volta l'opera Carriana, lo dico con franchezza, mi è rimasta indigesta, e alcuni suoi libri li ho abbandonati dopo poche decine di pagine, esausto.
Ma comunque Carr l'ho  letto, e molto spesso; lungi dall'essere come Chandler che nel saggio “la semplice arte del delitto” liquida pomposamente l'autore in una riga (non riesco a leggere Carr, ma c'è a chi piace), prima di parlare bene o male di un autore perlomeno lo approfondisco; e con Carr mi è accaduto di essere rimasto deluso dai romanzi ufficialmente ritenuti i suoi capolavori assoluti e invece di essere deliziato da quelli considerati minori e nemmeno mai citati; per cui,ora mi si crocifigga pure, ho amato meno Le tre bare (il suo libro più noto e l'unico attualmente disponibile nelle librerie), Il terrore che mormora o Delitti da mile e una notte di libri misconosciuti come Il mistero di Muriel, l'orologio della morte, Astuzia per astuzia, Capitan tagliagola, Saper morire e una croce era il segnale; libri in cui non ci sono misteri troppo complicati e la psicologia dei personaggi conta quanto e più dei virtuosismi dell'assassino.
Se poi invece si unisce il grande mistero alle atmosfere gotiche (tipiche dell'autore, ma spesso troppo marcate e ridondanti) e a dei personaggi stupendi allora ecco il capolavoro assoluto, il libro che considero la punta di diamante dell'autore, ossia “L'automa”, con quella splendida e spaventosa storia di scambi di persone, la sinistra leggenda dell'automa di Maelzel, rimembranze della tragedia del Titanic, amori contrastati... un capolavoro assoluto.
Ma non è del notissimo Automa che vi voglio parlare, bensì di uno di quei romanzi “belli e sconosciuti” che ho detto di prediligere, ossia “La sfinge dormiente”, libro incalzante e incantevole anche se non privo di difetti.




 
LA storia, ambientata in un'Inghilterra post- seconda guerra mondiale in cui si respira aria di vittoria e di ritorno alla normalità, si apre col giovane Donald Holden, membro in incognito dei servizi segreti che torna in patria  dopo aver catturato un feroce criminale nazista; perchè potesse muoversi con libertà il governo lo aveva fatto credere morto e ora lui, di nuovo cittadino civile e divenuto ricchissimo grazie a una eredità, corre angosciato (in quanto nemmeno lui sapeva di essere morto per finta) a cercare notizie di Celia Devereux, la giovane donna di cui è innamorato corrisposto e che anche lei, come tutti, aveva creduto ormai defunto.
Donald ritrova la ragazza viva, disponibile e ancora innamorata, ma protagonista di un vero e proprio incubo; mesi prima ,la sua adorata sorella Margot è stata trovata morta, apparentemente per una naturalissima emorragia cerebrale; ma Celia non crede che una donna tanto in salute possa essere morta così d'improvviso, e crede che l'abbia avvelenata il marito, Thorley Marsh, vecchio amico di Donald, ritenuto da Celia un uomo violento e spregevole, che secondo lei  picchiava e tradiva la moglie. Celia è tormentata, spaventata, parla persino di fantasmi accusatori che si aggirano per Caswall, l'antico castello della famiglia Devereux; ovviamente nessuno le crede e tutti le danno della pazza, tranne ovviamente Donald che preferisce schierarsi dalla parte della dolce Celia piuttosto che da quella dell'ambiguo vecchio amico, che con la moglie aveva un rapporto davvero tormentato e burrascoso, cosa confermata anche dalla diciannovenne Doris, giovanissima amante di Marsh che a quanto pare non ha aspettato nemmeno la fine del periodo di lutto per spassarsela tra le braccia della procace e sveglia ragazza.


Il libro, originale e divertente, presenta molti misteri bizzarri e apparentemente irrisolvibili; come hanno fatto le pesantissime bare della tomba di famiglia dei Devereux, sigillata e mai riaperta, a spostarsi dalla loro collocazione originaria?e come mai, sempre nella cappella di famiglia, viene ritrovata una boccetta di veleno? Ci sono veramente fantasmi a Caswall? Thorley è veramente un uomo manesco e sadico o Celia è completamente pazza? Margot aveva pure lei un amante?
(Tutti questi misteri, e tenete conto che è uno dei romanzi meno complicati dell'autore... quindi immaginate cosa poteva succedere quando decideva di fare sul serio).

Per fortuna, sollecitato da Celia, interviene il dottor Fell, il corpulento e bizzarro investigatore (modellato,sia fisicamente che caratterialmente, sulle sembianze di Chesterton, autore giustamente  adorato da Carr) protagonista di molti dei romanzi migliori dell'autore,che assieme all'accorto Donald tirerà le fila di una vicenda singolare ma alla fine plausibile, narrata in modo stupendo coi misteri che si accumulano e si risolvono ad uno ad uno come nei vecchi feuilleton a dispense, alla cui struttura l'autore in questa occasione sembra ispirarsi.
Si, perchè “The sleeping Sphynx” è un vero romanzo d'altri tempi, con una bella storia d'amore al centro dell'intrigo (cosa che ricorre più di una volta nell'opera Carriana ma non certo uno dei suoi punti forti)  e personaggi di spessore e molto credibili.
Il finale come detto è abbastanza buono e plausibile (alcuni finali Carriani sono veramente troppo illogici e assurdi, e alcuni delitti quasi impossibili da mettere in atto..ci vorrebbe un Fantomas o un Diabolik prima maniera per mettere in atto certi complicatissimi omicidi) a parte un punto risolto veramente con troppa faciloneria...non incorro in spoiler, ma se un autore si infila nel ginepraio del soprannaturale poi non può cavarsela cosi a buon mercato.
In ogni caso un libro veramente interesante e coinvolgente, assolutamente da reperire. Nel caso voleste farlo, virate sulla traduzione integrale di Mauro Boncompagni pubblicata nel classico del giallo 742; tutte quelle prima di essa sono tagliuzzate e antiquate.

Per finire, invito chi conosce Carr e la sua opera a una (spero pacata e rispettosa) discussione sull'autore; è il vostro autore preferito quindi avete trovato odiosa la mia disamina? Oppure siete Chandleriani e lo detestate? Quali sono i vostri titoli preferiti di questo autore, e quali invece non vi hanno convinto? A voi la parola.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  9/10
-LEGGIBILITA’  8/10
-ATMOSFERA  8/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO; 8,4

giovedì 26 settembre 2013

“IL PRIGIONIERO DI ZENDA” DI ANTHONY HOPE, IL CAPOSTIPITE DEL “RURITANIAN ROMANCE”

C'era una volta un'epoca in cui l'esotico era dietro la porta di casa, e molte zone dell'Europa erano praticamente ancora inesplorate e sconosciute agli europei di serie A; la Romania del Dracula di Bram Stoker dovette sembrare agli Inglesi del tempo come la terra di mezzo di Tolkien, tanto le zone a est dell’impero Austroungarico erano ignote ai più; ancora nel 1938 il primo ministro inglese Chamberlain giustificò il non-intervento contro i nazisti invasori della Cecoslovacchia asserendo che in fondo I nazisti avevano invaso zone poco conosciute, per cui non valeva nemmeno la pena di scomodarsi; infatti al tempo in Inghilterra erano sicuramente più note le lontanissime grandi colonie come l'India e il Pakistan che staterelli di poco conto dove non c'era nulla da conquistare.
Quindi, nel lontano 1894, l'inglese Anthony Hope ebbe l'idea di ambientare una storia  improbabile e surreale di complotti dinastici e avventure romantiche non in Inghilterra o in Francia o in Italia, ma nell'oscuro oriente europeo, in uno staterello immaginario che l'autore chiamò Ruritania; per raggiungerlo l'autore ci informa di prendere un treno da Dresda e viaggiare qualche ora verso est; essendo Dresda la grande città tedesca più ad oriente, vicina a Praga e da sempre porta verso la Mitteleuropa, in pratica dalla Germania in poi era possibile inventare repubbliche di sana pianta.
la mia copia, oscar Mondadori con copertina di Pinter

Su questo treno viaggia Rudolf  Rassendyl, simpatico Inglese ricco e sfaccendato,unico in famiglia dai capelli rossi; questo particolare risalirebbe al fatto che quasi due secoli prima un antenato dei Rassendyl avrebbe sedotto una nobildonna Ruritana, e da questa avrebbe avuto un figlio che poi, riproducendosi, avrebbe creato questa linea diretta di discendenti dai capelli rossi, “Uno per ogni generazione”; non mi intendo molto di Genetica e leggi Mendeliane, ma credo che il ragionamento faccia un po acqua... ma non importa, siamo nella terra dei sogni.
Insomma, Rudolf un bel giorno decide di andare a visitare questo lontano staterello al quale la sua famiglia è legata da questa vecchia storia, e non fa nemmeno in tempo ad arrivare che incontra il suo perfetto sosia, nientemeno che sua Maestà Rudolf Elphberg, neo-Re di Ruritania che aspetta di essere incoronato il giorno dopo; I due sosia e per giunta omonimi rimangono sbalorditi, poi capiscono la loro indiretta parentela e fraternizzano, fino a passare una serata di bagordi tutti assieme nel capanno di caccia reale, loro due e I attentendi del Re, il Colonnello Sapt e il giovane ufficiale Fritz Von Tarlenheim, fedelissimi al nuovo sovrano.
Durante la cena ci si accorge che il Re è in realtà un giovanotto scapestrato e beone che il popolo nemmeno conosce visto che è stato sempre all'estero ed è ritornato solo per regnare, e durante la serata eccede pericolosamente in libagioni; alla fine del pasto arriva una bottiglia speciale da parte del fratello Michael il nero (pechè non rosso di capelli come il fratello), pericolosissimo antagonista che aspira al trono e che cerca di impedire l'incoronazione del primogenito. Infatti, contro tutti i consigli degli attendenti che gli rammentano l'imminente incoronazione, il sovrano si scola tutta la bottiglia, ovviamente drogata, e finisce in uno stato d'incoscenza che resta tale anche al mattino dopo.
Ma come avrete capito si può ancora salvare il regno di Rudof  il rosso, perchè il suo sosia è li accanto e desideroso di rendersi utile; sarà quindi Rassendyl a prestarsi per l'inaugurazione, a impersonare il suo sosia; ma Michael il nero e i suoi sgherri partono al contrattacco rapendo e imprigionando il vero Re nella città di Zenda, e da questo punto si scatena una storia serratissima e avvincente, che porterà Rassendyl a sostituirsi al Re ben più che per un solo giorno, rischiando la sua vita e anche di innamorarsi della sposa designata del re, la bellissima principessa Flavia, che disprezza l'originale ma finisce per essere molto intrigata,lei che ignora come stiano le cose, dal sostituto Inglese...
Il libro è bellissimo, un fuoco di fila di avventure romantiche e duelli, complotti e battaglie all'ultimo sangue; un tripudio di divertimento che ancora oggi non ha perso un'oncia del suo fascino. E anche la componente Mystery e Thrilling è assai ben rappresentata,  con una suspense sempre altissima; questo ne fa un libro perfettamente pertinente su questo blog, anche se non è certo un poliziesco (ma come ben sapete mi piace variare).
Il finale sarà epico, ma non consolatorio; alla fine I buoni dovranno pagare un prezzo molto alto per la loro vittoria, perchè un falso Re, anche se ben più meritevole dell'originale, resta sempre un falso.
Infine, una nota cinematografica; da questo romanzo sono state tratte ben otto versioni cinematografiche, ma io ne ho vista una sola e la adoro a tal punto da non voler vederne altre; parlo della meravigliosa versione di John Cromwell del 1937, con un grande Ronald Colman e una stupenda Madeleine Carroll, allora Bionda Hitchcockiana in grande ascesa.




E ora, un poco di storia del Ruritanian romance;
Anthony Hope creò il genere, ma non fu il primo ad avere questa idea; infatti ci aveva già pensato il grande Robert Louis Stevenson col suo incantevole  “Il principe Otto”, una romantica fiaba d'amore in un regno teutonico immaginario. Non uno dei suoi libri migliori, ma sempre godibilissimo.
Anche Thomas Mann, con il suo “Altezza reale” presenta un regno mitteleuropeo un poco da operetta, e se il suo romanzo è  realistico è comuque ascrivibile al genere per l’aria decisamente fiabesca che lo permea.
Non tutti sanno che, dopo Hope, Il Ruritanian romance venne portato  avanti soprattutto da autori polizieschi, che spesso negli staterelli immaginari si prendevano una bella e salutare vacanza letteraria; pensiamo a Mary Roberts Rinehart, che per una volta lasciò le inquietanti dimore gotiche del New England piene di donne in pericolo per scrivere il bellissimo “Lunga vita al re”, romanzone (pubblicato a suo tempo nella compagnia del giallo Newton) che forse è il punto più alto del genere, con supercomplotti, nobildonne intrepide, oscure sette che vogliono rovesciare il regno e principi bambini in fuga. Un libro sensazionale che ho letto molti anni fa e che devo assolutamente gustare di nuovo.
Poi col genere si cimentò nientemeno che la grande Agatha Christie agli albori della propria carriera, non un gran contributo visto che “Il segreto di Chimneys”,ambientato nella fittizia Herzlovakia, è un romanzo confusionario e pasticciato, talvolta simpatico ma nulla più. Molto più gradevole un suo racconto incluso nelle fatiche di Hercule Poirot, ossia “gli uccelli Stinfali”; in uno scenario che ricorda vagamente il lago Balaton Poirot, semplice turista di passaggio, toglierà un cavalleresco quanto ingenuo Inglese da una situazione assai spinosa.
E poi come non ricordare Ethel Lina White e il suo memorabile “la signora scompare”, con la giovane turista Iris Carr ( ormai avrete capito che il tipico protagonista del Ruritarian è inglese e giramondo,che viene coinvolto negli intrighi per puro caso)  che si trova in mezzo ai misteri della balcanica Bandrika?
Il canto del cigno del Ruritanian fu senz'altro “La frontiera proibita” di Eric Ambler, primo romanzo (anno 1936) del grande narratore Britannico di Spy-stories realistiche ed esistenziali; qui il solito Inglese tutto d'un pezzo si ritrova in Ixania, stato tra I balcani dove c'è in atto una rivoluzione; la storia può lontanamente ricordare il prigioniero di Zenda, ma il tono è più amaro e disilluso, il complotto riguarda armi da guerra e nazionalisti megalomani, e il tono non è quello di una fiaba romantica ma quello cupo e greve di chi si aspetta una tragedia incombente, quella seconda guerra mondiale al termine della quale l' Europa conoscerà fin troppo bene le zone a est della Germania, e il Ruritanian diventerà obsoleto di colpo e scomparirà come lacrime nella pioggia.
Ma come per tutte le mode qualcosa rimane, e “Il prigioniero di Zenda” è un graffito bellissimo e che non ha perso un filo di colore, e che DEVE essere reso di nuovo disponibile in libreria.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  9/10
-LEGGIBILITA’  10/10
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO;  9

mercoledì 25 settembre 2013

RITROVAMENTI FORTUNATI GIRELLANDO PER LE BANCARELLE DI FIRENZE; LITTLE WOMEN DELLA ALCOTT ILLUSTRATO DA FRANK MERRILL (E CON DIPINTI DI JESSIE WILCOX SMITH).

Lo ammetto senza nessuna vergogna; sono un fan sfegatato di Piccole donne della Alcott (e del suo seguito piccole donne crescono, che però in originale è un unico romanzo in due parti, non era suddiviso come da noi) , è stato uno dei libri che ho più amato nell’adolescenza ( fino a fantasticare di sostituirmi a Laurie e incontrare di persona le quattro little women, anche se la mia preferita è sempre stata la dolcissima Beth, la sorellina da proteggere che mi sarebbe piaciuto avere e non ho mai avuto) e anche ora lo rileggo con estremo piacere, trovandolo un libro divertente, piacevolissimo e persino commovente nella rappresentazione di una famiglia come non ve ne saranno più, e che forse non è mai esistita ma è bello pensarlo; magari non ci sono mai stati cavalieri erranti per la Mancia o circoli come quello di Samuel Pickwick, ma potrebbero anche esserci stati, chi lo sa? E io nel dubbio propendo per il si, mi piace credere alla favole.
 E oltre che un appassionato, di Little women ne sono un collezionista ossessivo-compulsivo; non appena ne trovo una copia illustrata come Dio comanda la prendo la porto a casa e la sfoglio estasiato, finendo regolarmente per rileggermi interi capitoli del libro.

Insomma di belle edizioni ne ho, ma questa ultima che ho trovato in lingua originale le batte tutte; a una delle bancarelle di piazza Ciompi, la mini Portobello Road di Firenze che è un po’ il mio paese dei balocchi, nel solito scatolone “tutto a 2 euro” c’era questa edizione di Little Women magnifica, con le illustrazioni originali del 1880 di Frank Merrill e soprattutto alcuni dipinti della meravigliosa Jessie Wilcox Smith, credo la più grande illustratrice americana di sempre.
La copia riporta la data 1987 (ma è stampata in carta di pregio con le pagine tagliate irregolarmente, a riprodurre l’edizione di un secolo prima) dalla casa editrice Avenel di New York, collana “Children’s classic”, come se ci fossero ancora dei bambini che leggono Piccole donne.

 Estasiato la prendo e la porto a casa, e passo metà serata in piena sindrome di Stendhal; un ritrovamento fortunatissimo a un prezzo ridicolo a dir poco. E siccome sono buono e carino,ho fotografato alcune di queste meraviglie per condividerle con voi, sperando di fare cosa gradita.

Cominciamo dalla copertina e dalle illustrazioni di Merrill;



Meg alla fiera della vanità

 
Rappresentazioen teatrale in casa March


Il signor march torna dala guerra

Jo fa l'antipatica con Amy e questa si vendica bruciandole l'amato diario. Le due non si parlano ma..


..amy rischia di annegare, Laurie la salva e le due fanno pace

Una esilarante Jo in papalina

Jo piange la morte dell'amata Beth



E ORA PASSIAMO ALLA SMITH;


Laurie si dichiara a Jo e viene respinto...


ma anni dopo avrà più fortuna con Amy



Le quattro sorelle e la signora March

Jo e BEth

E per finire, fronte-retro del libro.

venerdì 20 settembre 2013

“COME IN UNO SPECCHIO” , IL ROMANZO PERFETTO DI HELEN McCLOY

La storia del poliziesco, come per tutti i generi, è fatta di grandi autori riconosciuti ( a volte anche sopravvalutati), di un mare di mestieranti dal discreto al mediocre e infine dagli outsider, ossia coloro la cui produzione è limitata e talvolta nemmeno eccelsa qualitativamente ma che riescono a piazzare 1 o 2 romanzi capolavoro, perfetti e definitivi, che li proiettano per sempre, anche imprevedibilmente, nell’olimpo dei grandi giallisti. In questa categoria mi vengono in mente Hake Talbot, il duo Bristow e Manning, Ethel Lina White, David Frome, Guy Cullingford e tanti altri.
E nella categoria dei grandi outsider rientra sicuramente Helen McCloy, scrittrice americana la cui produzione fu buona ma non  trascendentale; di questa autrice ho reperito  in Italiano “la stanza del silenzio” che è bello ma non eccezionale, “alias Basil Willing” carino e nulla più e infine Panico, che è stata una delusione totale, in quanto prevedibile, privo di ritmo e con un cifrario talmente complesso che a meno di essere enigmisti sopraffini non  è proprio possibile riuscire a decifrare.
L'autrice

Quindi la McCloy avrebbe tutte le caratteristiche della giallista di secondo ordine da ripubblicare nei classici del giallo di tanto in tanto, se non ci avesse lasciato “Come in uno specchio” (In trought glass Darkly), che è un romanzo  di tale indiscutibile valore da essere presente in quasi tutte le classifiche più autorevoli, e  anche nella mia modestissima Top Ten.
Il libro è disponibile in libreria grazie all’impagabile Polillo (che dell'autrice ha pubblicato anche il già citato Panico), ma era già uscito  per Mondadori nella collana dei classici del giallo col titolo “lo specchio del male”; la Polillo ha ripreso pari pari l’ottima traduzione Mondadoriana di Marilena Caselli, per cui se trovate in una bancarella il volumetto Mondadori prendetelo pure tranquilli.
Questo libro, come tutti I capolavori, riesce a essere più cose in una; un libro scritto benissimo, con una tecnica del suspense pressochè insuperata che riesce a mantenere costante l’angoscia per 250 pagine senza il minimo cedimento, personaggi approfonditi dal punto di vista psicologico come raramente se ne trovano nella narrativa di genere e soprattutto una vicenda che fino all’ultimo capitolo sembra soprannaturale e demoniaca per poi avere, come in ogni buon giallo che si rispetti, una soluzione del tutto terrena...anche se permane una certa ambiguità di fondo che non dissolve del tutto l’incubo. In questo il romanzo è più simile ai racconti di Chesterton con padre Brown che agli enigmi impossibili alla Carr, in quanto non presenta atmosfere sovrabbondanti e fuori dal tempo, ma si svolge nell’amena tranquillità di un college per ragazze a un’ora di strada da New York; quanto questa amenità sia apparente, il lettore vedrà da solo.


Parlare di questo romanzo è quasi impossibile senza incorrere in spoiler, cosa che mi guardo bene dal fare perchè se qualcuno si azzardasse a lasciar trapelare anche la minima informazione riguardo alla trama meriterebbe poi contrappassi alla Hammurabi.
Però per invogliare la lettura si può riassumere l’inizio.
Immaginatevi una giovane insegnante di disegno di nome Faustina Crayle, magra e pallida, timida e delicata, quasi una parente stretta di Jane Eyre o di Agnes Grey. Un brutto giorno questa irreprensibile docente viene chiamata in ufficio dalla direttrice e licenziata su due piedi, senza referenze e soprattutto senza che le sia fornito un motivo vero e proprio. Non che il motivo non ci sia, anzi c’è ed è terribile, inquietante; ma l’autrice si diverte a non dircelo, a lasciarci sulle spine.
La povera Faustina se ne va senza una spiegazione e con molti rimpianti, disperata per il proprio futuro; confida le sue pene a un’altra insegnante, Gisela von Hohemens, insegnante madrelingua di tedesco (ma in realtà viennese) bella e giunonica, determinata e volitiva, che incaricherà il suo amico-amante Basil Wiling, lo psichiatra-detective principale personaggio ricorrente della McCloy, di fare luce su un caso che col passare dei giorni assume toni sempre più assurdi e vagamente demoniaci.
Cosa abbia allontanato Faustina dal college lo sapremo solo a pagina 72, ossia quasi a un terzo del libro; a quel punto gli interrogativi si accumulano, sempre più angoscianti, mentre vaghe e recondite presenze spettrali circondano i personaggi ed esulano dalla pagina, ghermendo anche l’attonito lettore che pur al sicuro nella sua stanza inizia a sentirsi minacciato come la povera Faustina. Vi sembro esagerato, che un libro non possa trasmettere una tale partecipazione emotiva? leggetelo e poi me lo ridirete.
Il romanzo poi avrà uno scioglimento da manuale; certo presenterà qualche elemento un po forzato,ma sempre meno di quanto possa succedere nei romanzi di Carr, o in tour-de-forces trionfali ma estremamente azzardati come Dieci piccoli indiani; la spiegazione logica c’è, e pur con qualche crepa tiene alla grande. Ed è questo che fa del romanzo un capolavoro assoluto, riuscire a risolvere una questione sulla carta impossibile in maniera chiara e compiuta. E si che gli indizi per arrivare alla verità ci sono, il romanzo è onesto anche in questo senso; a una terza rilettura, ormai fatto e rifatto fesso, mi sono saltati tutti all’occhio.
In ogni caso in Come in uno specchio non conta tanto l’arrivo quanto il viaggio per raggiungere la meta; l’autrice fa  sfoggio di una penna davvero magnifica, con riflessioni importanti e mai banali sull’amore, la giustizia, l’assurdità delle cose che ci capitano; quindi anche un libro sopraffino anche dal punto di vista letterario, al quale contribuisce la già citata eccellente traduzione.
Insomma, come disse Pietro Citati (parlando del Dono di Nabokov), cosa fate ancora a casa? Piantate  tutto ciò che state facendo e correte in libreria; “Come in uno specchio” è li che vi aspetta.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  10/10
-LEGGIBILITA’  10/10
-ATMOSFERA  10/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO;  9,4

mercoledì 18 settembre 2013

“OMBRE” DI NICOLETTA CASSANI, UN RAFFINATO GIALLO ITALIANO CONTEMPORANEO.

Una delle cose per cui sono contento di avere aperto questo blog è quella di aver potuto conoscere delle persone veramente simpatiche e squisite, che pur con una corrispondenza solo telematica riescono a stupirti piacevolmente, certo più di tante persone che il caso ti infligge sul lavoro o nella vita quotidiana.
Una di queste persone è Nicoletta Cassani, iscritta tra i miei follower col nickname di Niki. Tra le molte sue attività (imprenditrice agricola, madre a tempo pieno, appassionata bibliofila) è anche una scrittrice che frequenta vari generi, tra l’altro (anche se purtroppo finora una sola volta) il poliziesco; e Nicoletta è stata così gentile da omaggiarmene di una copia, che in un pomeriggio inaspettatamente libero ho letto d’un fiato.


L’incursione nel genere da parte di Niki (uso il Nickname perchè mi è simpatico) ha prodotto “Ombre”, un giallo di stampo classico raffinato, ricco e imprevedibile, che merita ampiamente di essere commentato e pubblicizzato (ovviamente questa recensione non è scritta per ruffianeria o che, è sincera in tutte le sue componenti) anche se questo mio modesto blog non è certo una vetrina invidiabile.
Diciamocelo; di mio non avrei mai letto questo libro, perchè non seguo la letteratura contemporanea tantomeno se Italiana; infatti ero impaurito e diffidente, sapevo che era un giallo ambientato perlopiù tra le montagne di Como, e mi aspettavo sempre le solite descrizioni macchiettistiche e stereotipate del piccolo borgo Italiano; invece che sorpresa, lo stile dell’autrice è raffinatissimo, nessuno dice scurrilità in dialetto e altre amenità che affliggono l’ormai provinciale letteratura contemporanea del bel paese; e poi lo stile è piacevole, scorrevole, per nulla ansiogeno; ciò mi ha fatto proseguire fiducioso e rilassato.
Ma andiamo con Ordine; Ombre in realtà è un romanzo composto di due storie in una, due casi separati (uno a Montespino e uno in un quartiere della Como più popolare) ambientati nell’estate del 1969  nei quali agisce il medesimo investigatore privato, Lorenzo Randelli; esso però, in città, è conosciuto col nome più esotico di Elias Conrad, che meglio si addice a un detective,mentre a Montespino, dove agisce chiamato dall’amica Clara, ristoratrice da poco trasferitasi nel piccolo borgo, agisce col suo vero nome; questa originale tecnica narrativa con le due storie alternate in brevi capitoli all’inizio mi ha sconcertato, però una volta capito il meccanismo l’ho molto gradito, in quanto ci si appassiona a entrambi i misteri che hanno in comune un solo aspetto; quello che porta persone comuni e apparentemente normalissime a diventare assassini.
Il caso di Montespino, quello che ho trovato più interessante e ricco dal punto di vista narrativo, presenta un piccolo paese sconvolto da una serie di morti inaspettate; quello di una donna caduta da un dirupo (suicidio?) e la morte apparentemente naturale di un’altra donna di mezza età detestata da tutto il paese, prete compreso. Ma un terzo decesso, quello dell’angelica figlia del dottore, non lascia dubbi sul fatto che sia un omicidio; le pigre e indolenti forze dell’ordine sbattono in cella un vagabondo ubriaco che ha addosso alcuni oggetti presi alla vittima, ma Clara, una forestiera ancora non del tutto accettata nella comunità, si convince che le cose non sono così semplici, e chiama a indagare il suo amico d’infanzia Lorenzo, che porterà alla luce una verità sconcertante, che mi ha ricordato alcuni intrecci alla Miss Marple; in fondo Montespino è una versione montana di St. Mary Mead, e tutto il mondo è paese.
Dopo le atmosfere vicine alla Christie della storia montanara, nella vicenda cittadina si hanno tematiche più vicine a Simenon, in quanto l’azione si svolge in un condominio, in locali pubblici e case altoborghesi.
All’alba di una mattino d’agosto viene rinvenuto davanti a uno stabile il cadavere di un noto e facoltoso imprenditore, che apparentemente non avrebbe alcun motivo di trovarsi in quella zona popolare di Como abitata perlopiù da operai e gente di basso reddito;  Elias / Lorenzo, novello Maigret, indaga sulle vite e sul passato degli abitanti dello stabile, conscio che a compiere il delitto è stato uno di loro, e che non esiste delitto senza movente, che poi risulterà essere umanissimo, alla Simenon appunto.
Credo che infatti l’aspetto più piacevole e innovativo del romanzo sia appunto di presentare un caso in uno stile più anglosassone e un altro invece in uno stile più latino (Simenon, ma anche Fruttero e Lucentini).
Ovviamente Ombre non è un libro perfetto; personalmente avrei voluto che fosse un poco più lungo e dettagliato, perchè i personaggi sono molti e interessanti ma a taluni di loro viene dato forse poco spazio; le stesse vittime, tra cui l’interessante Irene, muoiono troppo presto; avrei preferito vederle in azione in presa diretta, familiarizzare di più con loro prima di ritrovarmele cadaveri. E poi, da appassionato di montagna, mi sarebbe piaciuto un poco di folklore in più; di informazioni interessanti e non stereotipate sulla vita di montagna ce ne sarebbero state da dare, e invece Montespino appare il solito paesetto Italiano che poteva alla fine essere situato anche in pianura padana o nelle colline toscane; il bozzettismo esasperato è irritante e Niki ha fatto benissimo a evitarlo, ma anche l’assenza totale di esso dispiace un poco.
Come mi rammarico per l’assenza pressochè totale di umorismo, di understatement; non mancano delle gradevoli arguzie nella rappresentazione della metalità del borgo (vedi la gustosa sequenza iniziale) ma il tono è sempre cupo, e i dialoghi spesso poco briosi.
Però, se Ombre non è un capolavoro, è comunque un buonissimo romanzo di una esordiente; trovatemelo voi un giallo del 2009 dove non ci sono parolacce, dove non ci sono scene truculente alla Dario Argento ne tantomeno scene di sesso spinto, ingredienti che sono ormai indispensabili per essere pubblicati e seguiti dai lettori.
Diciamocelo, Ombre avrebbe meritato una pubblicazione in una collana ben più importante che nella casa editrice “terza pagina” sita in Ogliastra; ad esempio il Giallo Mondadori, ancora afflitto da anglofilia esasperata, che pubblica autori Italiani col contagocce e preferisce lanciare sul mercato romanzacci sul narcotraffico messicano o sulle sexy damigelle-spie, robaccia di livello infimo ma dove si ammazza e si fa sesso spesso e volentieri.
Se siete interessati il libro è ancora disponibile su IBS, ma con la scritta “difficile reperibilità”, il che rende l’eventuale acquisto un po un’incognita, e il timore è che questo bel libro scompaia dal giro editoriale Italiano; ora, i responsabili del giallo Mondadori come Franco Forte e Mauro Boncompagni difficilmente leggeranno il mio blog, ma se per caso accadesse dico loro una cosa; io una letturina a “Ombre” di Nicoletta Cassani gliela darei.

lunedì 16 settembre 2013

“IL CASTELLO DI OTRANTO” DI HORACE WALPOLE; L’ARCHETIPO DEL ROMANZO GOTICO, MA ANCHE UN ANTENATO DEL MYSTERY.

Con le prime piogge spazza-estate ( la stagione più amata dagli Italiani e più odiata dal sottoscritto) e annesse temperature fresche, mi prende una voglia irresistibile di lasciarmi andare a qualche romanzo gotico e fosco, perfetta lettura per giorni grigi e sempre più corti.
E siccome i pochi romanzi gotici disponibii in Italiano li ho letti un po tutti ( Ann Radcliffe a parte che mi spaventa un po) ho deciso di riaffrontare, a distanza di parecchi anni dalla prima volta, il testo che per il romanzo dell’orrore è quello che i delitti della rue Morgue sono per la letteratura poliziesca, ovvero The castle of Otranto di Horace Walpole.
Questo libro, molto citato e credo di poter affermare molto poco letto, è ancora presente nelle librerie proprio per questo primato che rappresenta, altrimenti avrebbe verosimilmente fatto la fine di tanti romanzi del settecento, ormai curiosità per filologi e appassionati difficili da reperire anche in lingua.
una vecchia edizione economica che ho molto cara...

Eppure secondo me questo libro merita ancora una lettura e dell’affetto; scritto da un autore prolifico ma non esaltante nel 1764, è uno dei primi esempi di finzione letteraria in cui l’autore dichiara mendacemente di aver riesumato in una oscura biblioteca un manoscritto scritto secoli prima, il quale racconta una fosca storia dei tempi delle crociate, appunto quella che ci si appresta a leggere. Evidentemente questo espediente era all’epoca necessario per retrodatare una storia, ed è stato poi usato da Manzoni, Potocki e tanti altri, non ultimo un ironico Umberto Eco, che fa passare il suo nome della rosa anch’esso per un antico manoscritto ritrovato.

Horace Walpole

Forse l’ autore optò per questa soluzione in quanto era nelle sue intenzioni scrivere un romanzo di impianto cortese, alla Crethien de Troyes per intendersi ( i cui romanzi cortesi editi nei classici Mondadori sono davvero molto carini); infatti credo che metà delle 130 pagine del testo siano dialoghi in cui i nobili protagonisti usano forme esasperate (e talvolta esasperanti) di cortesia, e infatti la fluidità del dialogo non è certo uno dei pregi di questo strano romanzo; però vi è inventiva, bizzarria, e anche del mistero; infatti la vicenda, pur ammantata di soprannaturale, è anche un vero e proprio “giallo” perchè i misteri legati ai presonaggi sono molti e taluni vengono spiegati solo nell’ultima pagina, come in ogni buon poliziesco.
Dunque, la storia si svolge attorno al 1100 nel castello del bellissimo borgo costiero di Otranto, nella odierna Puglia meridionale, all’estremità del tacco dello stivale; una mia amica vi è stata e ha visitato il castello, e mi ha detto che pur essendoci troppo sole e troppa bellezza per rendere credibile una storia gotica in quei lidi, il maniero è veramente suggestivo e d’effetto.
Qui vi troviamo Manfredi, il signore del posto, un brutale e rozzo tiranno la cui parola è vita o morte per i suoi sudditi; Manfredi è sposato con Ippolita e ha due figli, Corrado e Matilda (anche se nel romanzo i nomi sono anglicizzati, data l’ambientazione mi pare più consono usare i nomi nella versione Italiana), il primo malaticcio e insofferente e la seconda bellissima ma decisa a consacrarsi alla vita monastica, forse per un disgusto verso gli uomini derivatogli dal padre.  Il castello è in festa per le nozze del primogenito con la poco entusiasta Ippolita, sposa voluta da Manfredi per oscuri motivi poi spiegati in corso d’opera; ma il matrimonio non s’ha da fare, in quanto Corrado viene trovato morto, schiacciato sotto un elmo di proporzioni gigantesche; è un mistero oscuro e insondabile, come se una forza misteriosa e terribile avesse voluto impedire le nozze.

Corrado morto sotto l'elmo

Manfredi, uomo istintivo e poco portato al raziocinio, non fa nemmeno freddare il corpo del figlio che decide di ripudiare la moglie ormai anziana e sposare lui stesso la riluttante Isabella, in modo da assicurare una discendenza al suo casato; ma da questo momento si attiva un inarrestabile ottovolante di fughe, segreti inconfessabili, fanciulle in pericolo, agnizioni multiple, misteriosi cavalieri muti e minacciosi, servette scaltre, contadini troppo furbi e fieri per essere veramente tali e frati con un passato misterioso. E ovviamente apparizioni e spettri di vario tipo, anche se usati come deus ex machina per risolvere la storia e assolutamente non preponderanti nell’economia della trama; il romanzo in realtà di orrorifico ha ben poco, è più un fosco drammone in cui sono in gioco virtù e vizi decisamente terreni come la gelosia, la brama di potere e soprattutto la lussuria.
Però il romanzo è ancora leggibile e piacevole proprio per una sua peculiarità decisamente da romanzo poliziesco; infatti si palpita per le vicissitudini che occorrono ai buoni, e ci si chiede il perchè della perseveranza diabolica degli atti nefandi del principe Manfredi; insomma, come accade per ogni buon poliziesco la curiosità e la voglia di leggere non vengono mai meno, pur con i ridondanti e artificiosi dialoghi che datano inevitabilmente l’opera, che credo comunque più che degna di essere salvata e tramandata... almeno fino a quando ci saranno persone capaci di commuoversi per fanciulle virtuose minacciate e cavalieri senza macchia e senza paura.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10
-LEGGIBILITA’  7/10
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   6/10
-SENTIMENTO   10/10

MEDIA VOTO; 8

venerdì 13 settembre 2013

PICCOLO QUESTIONARIO PER I MIEI FOLLOWER ( E NON SOLO)


Ormai il blog ha quasi sei mesi di vita, e ho pubblicato un numero di post tale da dargli un’impronta ben definita; ormai molti di voi avranno capito che questo blog è una specie di “Old curiosity shop” sul giallo classico, talvolta iper-classico, visto che sono arrivato a toccare il periodo vittoriano. E l’obiettivo era proprio questo, far conoscere i maestri ma anche e soprattutto dare una minima vetrina a testi dimenticati e non di primo piano; trovo inutile infatti parlarvi solo della Christie, o di Stout, o di Carr, o di Queen come fanno in molti; preferisco riesumare testi dimenticati, mi diverte molto di più.
Ora, pur ammettendo che ci sono molti blog migliori del mio, più approfonditi e dettagliati, sono convinto della bontà del mio lavoro, ma in ogni caso qualche consiglio e qualche dritta fa sempre piacere. Per cui vi invito a rispondere, ma solo se vi va, a qualche domanda mirata a cogliere cosa non va nel mio blog, e provare poi a migliorarlo.
Ecco le seguenti, semplici domandine;

1-     Cosa vi piace di più del mio blog? e cosa invece non digerite?
2-     Quali sono i post che vi sono parsi più interessanti? e quali invece vi hanno lasciati indifferenti o annoiati?
3-     Cosa è migliorabile a livello grafico?
4-     Preferireste dei riassunti più dettagliati delle trame dei libri che tratto?
5-     Ditemi qualche autore che vorreste vedere recensito (tenendo presente che non seguo l’hard boiled ne i mallopponi contemporanei alla Stieg Larrson).

Ovviamente mi aspetto risposte franche e dirette, altrimenti tutto sarà inutile.
Grazie per il vostro tempo e la vostra disponibilità, a risentirci su questi lidi.

“LA REGINA DEI LADRI” , UNA IRRESISTIBILE SOPHISTICATED COMEDY DI EDGAR WALLACE.

Circa una volta l’anno, forse in concomitanza col cambio di stagione, vengo colpito da una malattia, l’ Edgarwallacite, un morbo molto serio la cui unica cura è leggere o rileggere più romanzi di seguito dell’autore. Poi mi passa,ma ci vuole tempo.
Di colui che, nonostante la sovrabbondante produzione che l’ha portato a sbagliare più di un colpo, considero il terzo più grande giallista di sempre dopo la Christie e Conan Doyle, ho letto molto. Non tutto, ma prima della vecchiaia ce la farò. Grazie ai classici Mondadori, alla Newton e alla Garden ho reperito sul mercato dell’usato tutta la sua produzione, racconti brevi compresi; non è una cosa impossibile, ai tempi era un autore molto diffuso, e invece da una decina d’anni almeno viene ristampato molto poco, come se il cambio di millennio lo avessere reso un caro estinto. Peccato, perchè i suoi romanzi migliori meriterebbero senz’altro di vivere e vegetare in tutte le librerie, sempre a disposizione del pubblico.



le copertine delle edizioni dei classici del giallo e dei GEM


DOpo il post dello scorso maggio sullo splendido Omnibus “delitti a Londra”, stavolta parlerò di un’opera misconosciuta e certamente non rappresentativa della poetica del’autore, anche se poi è uno dei suoi libri migliori e in esso vi è la quintessenza del mondo meraviglioso creato da Wallace; infatti questo La regina dei ladri è una sofisticata commedia giallo-rosa venata di romanticismo e garbato umorismo, irresistibile per chi come me ama le grandi commedie Americane degli anni trenta, con quei gentiluomini e gentildonne inappuntabili ed elegantissimi che si insultavano, si tormentavano e alla fine si amavano con una grazia straordinaria.
Delle peculiarità dell’autore ci sono le bande organizzate della malavita Londinese, i furti spericolati, gli intrecci adrenalinici e gli intermezzi sentimentali; solo che stavolta questi ultimi hanno una parte più importante, seppur trattati in modo del tutto diverso dal solito; se infatti l’eroina tipica di Wallace è una segretaria virtuosa e innocente che si trova vittima di intrighi più grandi di lei, in questo caso abbiamo nientemeno che una Arsene Lupin in gonnella, l’astutissima e imprendibile Kate Westanger, la regina dei ladri.
Kate è giovane, bellissima (capelli biondi e occhi grigi...)  e determinata; cresciuta da un nonno generale, apprende da lui l’arte della strategia, e dal dissoluto e disonesto zio apprende la più discutibile arte della delinquenza, fino a diventare il capo indiscusso di una banda che risiede nientemeno in una via abitata solamente da lestofanti, dall’eloquente nome di Crime street (Si, ok, una donna a capo di energumeni pronti a tutto è improbabile e crime street fa un po ridere, ma a Wallace si perdona questo e altro).
Maestra del travestimento, non esita di fronte a niente (e l’autore fa capire che non ha esitato nemmeno a infilarsi in qualche letto...) pur di ottenere i suoi scopi; recita con uguale disinvoltura il ruolo di segretaria, di ballerina, di principessa Russa, tutto per abbordare gli uomini giusti e carpire loro le informazioni necessarie a realizzare un grande colpo, anzi il colpo del secolo; il furto di un intero treno carico di lingotti d’oro, del valore di dieci milioni di sterline dell’epoca!.
Però ovviamente ogni grande criminale ha la sua nemesi; e quella di Kate è l’aitante ispettore Michael Pretheston, che la conosce e sa benissimo chi eè e cosa fa, anche se non ha mai potuto incriminarla in quanto contro di lei non c’è uno straccio di prova; si milita a romperle le uova nel paniere quando può, cercando il momento giusto per incriminarla; però la trovata geniale del libro è il rapporto tra i due, assolutamente non da poliziotto-sospetta ma puramente da screwball comedy; i due si stimano, giocano e fliertano, in una continua sfida amichevole.
Il problema è che Michael è perdutamente innamorato di Kate, e quando capisce che il gio co sta diventando troppo serio e pericoloso cerca di dissuadere la ragazza, di redimerla, paventandole il carcere e la rovina; lei però gli dice di avere una pietra al posto del cuore, di disprezzare l’amore e di vivere per il crimine. Però d’un tratto una frase dell’ispettore la fa arrossire, e forse inizia a sentire la sua solitudine e la sua fragilità e forse a credere in una vita migliore...
Insomma, ovviamente un intreccio rosa che più rosa non si può, e che condurrà a un lietissimo fine, quello che tutti i lettori (praticamente tre quarti degli inglesi del tempo) di Wallace desideravano palpitando, e che lui puntualmente regalava loro in ogni suo romanzo.
Ma i due protagonisti non sono le sole figure simpatiche del libro; c’è lady Moya, antica fiamma di Michael freddda e snob che si rassegna a un matrimonio d’interesse finchè non incontra un giovane e squattrinato pittore, ci sono i pittoreschi criminali della banda di Kate (il cattivissimo fetentone ovviamente è Spagnolo, non un civilissimo Inglese che ruba ma non fa male a nessuno...) e l’alta società della Londra degli anni venti, adorabilmente snob e raffinata.
E anche  la parte più prettamente poliziesca, coi colpi di Kate e la sparizione del treno, è svolta in modo egregio (anche se le analogie col racconto “Il treno scomparso” di Conan Doyle non possono assolutamente ritenersi casuali) e la storia si risolve in modo forse un pò troppo catartico, ma efficace.
Insomma, due ore di divertimento assicurato per chi ama le atmosfere alla Cukor e le storie d’amore rocambolesche. Imperdibile.

mercoledì 11 settembre 2013

“LA GIARRETTIERA” DI JACQUES FUTRELLE E L'ETERNO FASCINO DEI LADRI GENTILUOMINI (E DEI GIALLI ECONOMICI MONDADORI)




C' era una volta, nella sonnacchiosa e provinciale Italia fascista pre-bellica, una collana meravigliosa, ovviamente i Libri gialli Mondadori (le cosiddette Palmine, dal logo Mondadori dell'epoca che raffigurava appunto una piccola palma) con i volumi da libreria elegantemente rilegati e con meravigliose sovraccopertine illustrate dal grande Abbey.

Però, parallelamente a questa collana diciamo del giallo “nobile” ve ne era un'altra che comprendeva quelli che in redazione venivano giudicati i gialli meno d'effetto e di seconda scelta, che venivano stampati in un formato stile rivista, col testo su due colonne (e ahimè spesso tagliuzzato), su carta più dozzinale e che costavano la metà; sto parlando degli altrettanti mitici GEM ,ossia i gialli economici Mondadori.
Uscirono tra il 1933 e il 1942, fino a che le persone non ebbero altro a cui pensare che non la lettura. 198 titoli, che curiosamente sulle prime presentavano romanzi che,al contrario di molte palmine, hanno goduto e godono di ottima salute editoriale con molte ristampe; sto parlando dei romanzi di Edgar Wallace e dei Maigret di Simenon, che curiosamente uscirono in questo formato più popolare, che sicuramente lo stesso Maigret avrebbe forse preferito alle edizioni di pregio.

Poi la collana virò su autori veramente di secondo piano e molti dei quali oggi ormai dimenticati; c'erano anche alcuni Italiani (Vasco Mariotti, Cocchia Adami Magda, il traduttore Alfredo Pitta col suo ciclo dell'investigatore Elderton) ma il grosso della partita era formato da autori Inglesi e Americani.
Ora, giusto l'altro giorno ho messo le mani su qualche originale che uno sprovveduto venditore mi ha ceduto a 1 euro al pezzo (anche se ho passato 2 sere a restaurarli tanto erano malmessi e polverosi) .
 Ad averli davanti uno si accorge di quanto questi GEM siano in realtà adorabili; le copertine sono bellissime come quelle delle palmine (anch'esse credo opera di Abbey), e il fatto che fossero stampate anziché su sovraccoperta le ha fortunosamente fatte arrivare intatte fino al 2013. Poi ,come sarebbe stato nella nuova collana dei gialli del dopoguerra, c'erano anche varietà, vignette umoristiche, giochi sotto la dicitura “Enimmi e passatempi” (no,  non ho scritto male, si diceva proprio enimmi) e pubblicità illustrate spesso molto belle. Tralasciando qualche peana verso il duce, il prodotto è tuttora una vera gioia per gli occhi.
Ovviamente, una volta rimessi in sesto, non ho potuto fare a meno di leggerne qualcuno. E spesso questi prodotti sono una vera sorpresa, in quanto non è riportato nessun accenno di trama ne i nomi dei personaggi; insomma, libri misteriosi e tutti da scoprire; a volte vorrei fosse ancora così, non mi piace la troppa informazione.

A dire il vero quello che ho scelto di leggere per primo, la Giarrettiera di Jacques Futrelle, è uno dei non pochi GEM riproposti nell'altrettanto mitica GEN, ossia i miei amati gialli economici Newton, che spesso riproponeva, in traduzioni “opportunamente rivedute e aggiornate” (ma non integrali come millantava la scritta in copertina, aggiungo io; anche se era la riproposta integrale del testo degli anni trenta esso non era integrale in partenza, quindi la scritta è mendace...ma piuttosto che non averlo, un testo val bene anche non integrale, in quanto le traduzioni erano fatte veramente benissimo) proprio titoli provenienti dai GEM e spesso mai riproposti dalla prima edizione. Quindi, nel caso che dopo il mio post siate interessati al romanzo recensito, lo potrete comodamente trovare nelle bancarelle o su ebay col titolo “Il mistero della giarettiera”, a prezzi irrisori; questo e gli altri 2 romanzi scritti da Futrelle, ossia “La macchina pensante” e “Il signore dei diamanti”.
 
Jacques Futrelle



Dunque, innanzitutto Jacques Futrelle, Americano di chiare origini Francofone che forse è stata la più grande perdita prematura della storia del giallo; scrittore di enorme talento, morì appena trentasettenne nella tragedia del Titanic; si dice che prima mise in salvo la moglie e altre donne su una scialuppa, e poi si accese una sigaretta aspettando la fine. Leggenda o verità, fatto sta che il maledetto iceberg alla deriva, oltre che ispirare un film odiosissimo, ci privò di un grandissimo scrittore, che all'epoca della morte aveva al suo attivo i tre romanzi citati e alcuni racconti brevi (due dei quali, geniali, proposti dalla Polillo editore).
Dei romanzi, “la giarrettiera” (My lady's Garter) uscì postumo a cura della moglie sopravvissuta al disastro.




la mia copia del libro


Non aspettatevi nulla di pruriginoso, la giarrettiera del titolo è quella della contessa di Salisbury, la protagonista del famoso episodio storico (anno 1344) in cui durante un ballo di corte perse una giarrettiera; Re Edoardo terzo in persona la raccolse e per toglierla dall'imbarazzo (visto che era anche una delle sue amanti favorite) se  la legò alla gamba, donandogliene poi un nuovo paio tempestate di pietre preziose; da questo episodio nacque il famoso ordine cavalleresco della giarrettiera.
Insomma, succede che una di queste giarrettiere viene rubata dal museo dov'è custodita, e in qualche modo dall'Inghilterra il reperto approda nel nuovo mondo; in circostanze fortunose viene rubata dal misterioso Falco, un giovane e aitante ladro gentiluomo fino a quel momento ridotto alla fame da un periodo sfortunato, e che grazie a quel furto si riappropria di ricchezza e fiducia nei propri mezzi.
Ma la notte del furto si incrociano a quello del Falco altri due destini, quello dei due innamorati Elena Hamilton e Lino ( scusate i nomi italianizzati, colpa loro) Gaunt, figli di due milionari rivali che si odiano.
I due ricchissimi piccioncini, lei bella e viziatissima e lui un giovane aggraziato ma troppo preso dalla poesia per essere veramente credibile, dopo il veto dei rispettivi padri progettano una fuga d'amore, ma ci si mette di mezzo il Falco; e da qui inizia una indiavolata e spumeggiante sarabanda di equivoci, incontri fortuiti, cacce all'uomo, omicidi, inseguimenti, inganni e raggiri; il tutto condito con tanto,tanto humour, quel finissimo umorismo di stampo britannico (nonostante l'autore sia uno Yankee)  che è il miglior antidoto per stemperare la tensione di un plot adrenalinico; sempre che l'understatement possa ancora piacere a qualcuno, visto che nei thriller di oggi si fa di tutto per esasperare storie già pesanti e insostenibili di loro.
Le parti migliori del libro sono quelle in cui agisce il misterioso Falco, che non è ben chiaro chi sia tra i protagonisti del romanzo; forse lo stesso Lino Gaunt? Forse il misterioso Berto Colquhorn che salva Elena dall'annegamento, o ancora Augusto Von Derp, diplomatico olandese che vigila sulla famiglia Hamilton? Il plot  giunge a una artificiosa e mirabolante conclusione senza la minima noia e cedimento, e alla fine si vedranno non una, ma due coppie innamorate che convoleranno a giuste nozze.

Insomma ,che fascino questi ormai estinti ladri gentiluomini, dei quali il re è ovviamente l Arsene Lupin di Leblanc (ma non dimentichiamoci il Raffles di Hornung e i molti usciti dalla penna di Edgar Wallace), che rubavano solo ai ricchi, erano belli e raffinati e spezzavano cuori femminili come bicchieri di cristallo; e che bello leggere un poliziesco avventuroso ( credo che Wallace sia stato ispirato da questo romanzo in più di una occasione) del 1912, penultimo anno di positivista innocenza del mondo; ci sono personaggi Tedeschi e Russi che vengono visti con sincera simpatia, si parla di grande Russia Zarista come se la rivoluzione d'ottobre fosse veramente un qualcosa di inimmaginabile; tutta la vecchia Europa pareva all'Americano Futrelle un solo enorme teatro adatto per rappresentare operette buffe. E mi viene di pensare che per lui affondare col Titanic sia significato non aver dovuto vedere colare a picco questo vecchio mondo in cui credeva e che amava; chissà che i neri flutti dell'Atlantico non siano stati per lui una fine più dolce?.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10
-LEGGIBILITA’  10/10
-ATMOSFERA  8/10
-HUMOUR   9/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO;  8,8