lunedì 28 ottobre 2013

“IL CANDORE DI PADRE BROWN” DI G. K. CHESTERTON, LA PRIMA LEGGENDARIA RACCOLTA DELLE AVVENTURE DEL PRETE-DETECTIVE.


E' ormai il terzo post che dedico a Chesterton; i primi due sono stati visitati poco e non hanno raccolto lo straccio di un commento, ma non demordo, perchè diffondere i suoi capolavori per me equivale a una piacevolissima missione.

 

Si sa che amo questo scrittore, e ribadisco che è stato il più grande narratore di storie poliziesche di tutti i tempi; assente nelle classifiche ufficiali perchè troppo “vecchio” o perchè nel genere poliziesco si è espresso solo con racconti e non con romanzi, fatto sta che Chesterton era un titano della letteratura che si cimentò nella letteratura di genere, un autentico grande artista che, come Poe e Stevenson, “discese nei generi bassi” lasciandoci, come loro , dei capolavori assoluti.

Definito da John Dickson Carr uno dei testi fondamentali della letteratura poliziesca, definito dai due cugini Manfred Lee e Frederic Dannay ( ovvero i due autori che si firmavano come Ellery Queen) il “Libro-miracolo del 1911”, questa prima delle avventure di Padre Brown è senz'altro la più grande raccolta originale di racconti polizieschi mai uscita; nessun'altra, da “Le avventure di Sherlock Holmes” a “Hercule Poirot indaga” alle “Avventure di Ellery Queen” possono anche solo sperare di accostarvisi.

il grande GKC
 
 
 
Un libro miracolo, è vero, che a 102 anni dalla pubblicazione non ha perso un filo di smalto, una libbra del suo peso per la storia del genere; racconti imitati, talvolta perfino plagiati, ma mai raggiunti.

Questo per due fattori; una prosa da grandissimo artista che è impossibile ritrovare nella letteratura di genere ( dove non mancavano i veri talenti artistici, da Chandler alla Sayers alla Tey...ma nessuno come GKC ) e delle trame poliziesche che sono delle vere bombe, con delle soluzioni sbalorditive ancorché sempre plausibili e logiche, che giustamente fecero saltare sulla sedia Carr, Queen, la Christie e tutti i futuri titani.

Come diceva  Jorge Luis Borges, Chesterton è l'unico vero erede di Edgar Allan Poe, solo che io credo che l'allievo abbia ampiamente superato il maestro; Poe non ci dice chi è la misteriosa apparizione alla fine della maschera della Morte Rossa, oppure  quale sia il delitto dell'uomo della folla; sono racconti fantastici che restano tali. Chesterton andò oltre, lui riuscì a spiegare razionalmente eventi che parevano del tutto soprannaturali, pur lasciando, sempre parafrasando Borges, un'inquietante ambiguità di fondo che non si scioglie nemmeno dopo la spiegazione finale; questa magia, questo misticismo giustifica appieno la grande ammirazione che Franz Kafka e Italo Calvino avevano per lo scrittore.

Mesi fa (post del 30 luglio) avevo analizzato il racconto a cui sono più affezionato, ovvero l'uomo invisibile; ma ora mi sono ripromesso (con i dovuti tempi) di fare per le storie di Padre Brown il lavoro che sto facendo per i racconti di Sherlock Holmes, ossia un'analisi di tutti i racconti (e perdonatemi la tempistica da giustizia Italiana, ma il tempo è poco e le cose vanno fatte per bene).

Anche perchè la saga di Holmes e quella del piccolo prete hanno più di un punto in comune; sono raggruppati entrambi in cinque raccolte, la lunghezza è sulle venti pagine, e anche il numero di racconti è quasi identico (56 di Holmes contro 51 di Padre Brown).

Spiace dire che le analogie di fermano qui (ne ho un'altra; sono di piacevolissima lettura) perchè Conan Doyle era un ottimo, robustissimo narratore positivista e scientifico (lasciamo perdere che poi diventerà un credulone spiritista) mentre Chesterton era un artista che risolveva gli enigmi non col solo raziocinio ma anche con ragionamenti teologici e filosofici, e soprattutto scavando nella coscienza di vittime e colpevoli, mettendo a nudo i loro sentimenti. Infatti, molti racconti con padre Brown sono anche commoventi, in quanto mostrano realtà meschine e desolate di carnefici che sono al tempo stesso anche vittime; e quella di Chesterton non è la compassione poco partecipe che si ritrova negli autori ottocenteschi (vedi anche lo stesso Conan Doyle, con le sue melodrammatiche storie di forzati accusati ingiustamente e vendette passionali, che magari giustificano ma senza comprendere), è un'autentica pietas derivata dalla consapevolezza che essere uomini tra gli uomini è importante quanto e più che essere preti e credenti; in questo sta la grandezza di Padre Brown, sapere di essere un uomo prima ancora che un ministro di Dio, e sapersi calare nei panni del criminale, come se i crimini li avesse commessi lui stesso.

In questa prima raccolta, uscita come detto nel 1911, sono presenti 12 racconti, scritti dal 1908 in poi e pubblicati, come consuetudine dell'epoca, in giornali e riviste.

Come sempre, all'analisi di ogni racconto seguirà il giudizio, da uno a cinque asterischi; vi garantisco che stavolta cercherò di applicare un metro il più possibile severo per cercare di essere credibile, in quanto la tentazione di dare 5 stelline a tutti i racconti è fortissima.

Un’ultima cosa; per ogni racconto sarà precisata l’ambientazione dello stesso, in quanto mentre Sherlock Holmes si muoveva quasi solamente tra Londra e la campagna Inglese Padre Brown invece lo si poteva trovare con estrema disinvoltura sia in Inghilterra che in Francia, Spagna, Sudamerica e anche Italia. Quindi ambientazioni molto varie, un vero valore aggiunto.

 

 

1- LA CROCE AZZURRA   *****

 
Ambientazione: nel porto di Harwich e nelle strade di Londra

 
“Quel piccolo prete pareva l’essenza delle pianure dell’ Essex; aveva il volto rotondo e inespressivo come una focaccia del Norfolk e gli occhi incolori come il mare del nord”. Così Chesterton descrive colui che sarà il personaggio principale dei suoi racconti polizieschi. Il piccolo, grande, immenso Padre Brown, che fa il suo sfolgorante esordio in una storia che è e rimane un capolavoro assoluto, un inizio col botto come “Uno scandalo in Boemia” lo era per i racconti con Sherlock Holmes. Questa “croce azzurra” è un gioiello custodito proprio dal minuscolo ministro di Dio (NDR; padre Brown è un cattolico, quindi un “papista” agli occhi degli anglicani) , e che fa gola a Flambeau, le “roi des apaches”, il gigantesco e agilissimo ladro gentiluomo più astuto e imprendibile di sempre, che  dalla Franca arriva in Inghilterra proprio per rubare la croce a quello che considera un innocuo pretino da terrorizzare e depredare. Sulle tracce di Flambeau c’è però  il gran capo della surète parigina Valentin, che lo bracca senza tregua; da qui parte un emozionante, divertente, picaresco inseguimento per le brulicanti strade di Londra, fino a una conclusione beffarda in cui sia il gran poliziotto che il gran ladro si inchineranno al piccolo prete dell’Essex, che li ha battuti entrambi.

Renato Rascel e Arnoldo Foà nei panni di Padre Brown e Flambeau; perfetti
 
 
2- IL GIARDINO SEGRETO  *****

 Ambientazione; la villa del capo della surète Valentin, nei pressi di Parigi

 Incredibile, pazzesco racconto in cui viene commesso un omicidio efferato (decapitazione e scomparsa della testa) da parte di un assassino insospettabile, il tutto in una atmosfera sognante e magica da racconto di fate; un racconto evocativo, catartico, assolutamente spiazzante nella sua crudezza, con un finale che anticipa di trent'anni buoni uno dei più grandi colpi di scena di Agatha Christie, che con Chesterton aveva più di un debituccio.

 

3- GLI STRANI PASSI   *****

 Ambientazione; un esclusivo ristorante di Londra

 Forse il racconto più raffinato e perfetto di Chesterton, di solito il più celebrato e antologizzato.
Torna il geniale Flambeau, che orchestra un furto ai danni di alcuni lord a un pranzo esclusivo, un furto talmente perfetto per idea ed esecuzione da lasciare sbalorditi; peccato che il solito, piccolo prete gli rompa ancora una volta le uova nel paniere, dandogli modo di eclissarsi (perché Padre Brown crede fermamente nella capacità di potersi redimere di Flambeau) ma costringendolo a lasciare la refurtiva al ristorante.

 
4- LE STELLE VOLANTI   ****

 Ambientazione; una villa nella campagna Inglese

 Ovvero l'ultimo grande colpo e la redenzione di Flambeau, che da questo momento in poi cesserà di essere un supercriminale per diventare investigatore privato (e migliore amico di padre Brown; la loro amicizia è una delle cose più belle e toccanti della saga). Qui abbiamo l'apoteosi del suo genio criminale, dove, durante un'arlecchinata improvvisata in una festa nella casa dei ricchi Adams, riesce a rubare tre meravigliosi diamanti (le stelle volanti del titolo) e perfino a fuggire; ma Padre Brown lo intercetta e gli tiene un memorabile discorso sulla caducità del male, e il reprobo si pente e restituisce i diamanti al prete, per imboccare poi una retta via che non perderà più.

 

5- L'UOMO INVISIBILE   *****

 Ambientazione; Londra, quartiere di Covent  Garden.

 Per questo capolavoro assoluto rimando al post del 30 luglio scorso, dove lo analizzo a parte.

 

6- L'ONORE DI ISRAEL GOW   ****

 Ambientazione; un tetro maniero Scozzese.

 Racconto di ambientazione molto affascinante (chi non adora le fosche atmosfere dei manieri scozzesi?) ma forse un pochino meno ingegnoso dei precedenti; Padre Brown si reca infatti in questo castello a trovare l’amico Flambeau, ormai interamente convertito al bene, che investiga con la polizia locale sulla misteriosa scomparsa del conte di Glengyle, un aristocratico che viveva isolato dal mondo.

La cosa curiosa è che questo racconto nelle antologie di quasi tutti gli altri autori di gialli sarebbe una punta di diamante e in questa invece è un “parente” povero, una cosa incredibile.

 

7- LA FORMA ERRATA ****

 Ambientazione; una casa nelle strade a nord di Londra

 Racconto intriso di magia nera e paganesimo, qui abbiamo un ingegnoso delitto commesso in una stranissima casa dove tutto, a partire dall’architettura della medesima, ha una forma grottesca, ridicola e infine malvagia, appartenente a un eccentrico scrittore Bohemien dedito all’oppio e alla stesura di versi ispirati al misticismo della cultura asiatica, il quale viene ucciso proprio con un pugnale di foggia orientale.

 In questo racconto si hanno numerosi riferimenti al passato di Flambeau, ormai amico inseparabile dei Padre Brown, il quale gli dice una frase meravigliosa, che vorrei sentirmi dire anch’io almeno una volta nella vita; “Flambeau, sei il solo amico che ho al mondo; vorresti sederti accanto a me per parlare, oppure tacere, assieme?”

 

8 – I PECCATI DEL PRINCIPE SARADINE  *****

 Ambientazione; le selvagge paludi del Norfolk

 Stranissimo, oltremodo affascinante racconto ambientato in una terra desolata che ricorda il paesaggio etereo di un racconto di fate, che come dice Padre Brown è una terra “a volte buona, a volte cattiva, ma sempre pericolosa”. Qui lui e Flambeau, in vacanza dai rispettivi doveri,  si recheranno a trovare una vecchia conoscenza dell’ex ladro gentiluomo, un vecchio principe di origine Italiana dal passato oscuro, e qui assisteranno a una vendetta rusticana apparentemente romantica, cruenta e senza retroscena, ma una rappresentazione così plastica e letteraria di un duello all’ultimo sangue farà nascere al piccolo prete molti dubbi, e infatti nulla sarà quello che sembra.

 

9 – IL MARTELLO DI DIO   *****

 Ambientazione; piccolo villaggio di Bochun Beacon, provincia inglese.

 L’apoteosi del delitto impossibile Chestertoniano. Stavolta il morto è un personaggio dissoluto e amorale, discendente della famiglia nobile da cui prende nome il villaggio. Questo, che stava recandosi a un convegno amoroso clandestino, viene trovato col cranio letteralmente sfondato da  un martello piccolissimo, il quale non avrebbe certo potuto compiere quella devastazione; sembra quasi che Dio stesso, per punire le sue empietà, abbia punito il morto sferrando il colpo dell’alto dei cieli. Ma padre Brown, pur ministro del culto cattolico, sa benissimo che a determinare le azioni sulla terra sono gli uomini, e smaschererà un umanissimo assassino, al quale Padre Brown dirà, riferita a se stesso, la leggendaria frase “sono un uomo, e quindi ho tutti i diavoli nel cuore”, vera summa del pensiero filosofico del geniale e umanissimo autore.

L’idea del delitto impossibile e apparentemente ultraterreno  sarà poi imitata, e senz’altro superata, da maestri quali John Dickson Carr o Ellery Queen; certamente come ingegnosità sono andati oltre, ma con Carr e Queen non ci si commuove.

 

10- L'OCCHIO DI APOLLO  ***

 Ambientazione; tra i più moderni palazzi della Londra del tempo.

 In questo racconto l’autore si scaglia, ridicolizzandole, contro le numerose e improbabili sette e confessioni pagane che nell’ Inghilterra del tempo, nella quale lo spiritismo e la magia avevano numerosi seguaci che ne promuovevano il culto, fiorivano con allarmante frequenza. Forse la trama poliziesca, comunque ingegnosa, viene soffocata un poco da questo intento di screditare queste credenze, e questo è l’unico racconto della raccolta che forse si può considerare un  pelo datato ; ma comunque, se questo che è in ogni modo godibile e interessante è il racconto “peggiore” della raccolta, c’è di che rallegrarsi.

 

 

11 – ALL'INSEGNA DELLA SPADA SPEZZATA  *****

 
Ambientazione;  Da qualche parte nella campagna Inglese.

 
Forse il racconto più complesso e profondo di Chesterton, una lucidissima e impietosa analisi nella quale si dimostra la labilità di ogni leggenda, la falsità di ogni celebrazione a posteriori, nelle quali si glorifica un uomo solo per un’impresa apparentemente gloriosa ma senza sapere niente di quello che la persona è realmente, finendo per creare un falso idolo che la gente finirà per adorare a sproposito.

Con una maestria impareggiabili, l’autore, usando il principio che “ per nascondere al meglio una foglia bisogna metterla in una foresta, e la foresta non esiste bisogna crearla appositamente”  Smonta la leggenda di un immaginario fiero condottiero che la storia inglese glorifica senza riserve da generazioni. Racconto adorato da Borges, il quale lo avrà ben presente quando deciderà di scrivere il suo breve, folgorante  racconto “Tema del traditore e dell’eroe”.

 

12 – I TRE STRUMENTI DI MORTE  ****

 Ambientazione; quartiere di Hampstead, Londra.

Un altro racconto esemplare sulle false apparenze, in cui niente è ciò che sembra; un uomo, considerato da tutti un benefattore e l’allegria fatta persona, viene trovato morto dopo essere caduto da una finestra della sua casa; conoscendo la persona nessuno pensa al suicidio e si scatena una caccia all’assassino, e ben due uomini innocenti saranno sospettati; meno male che Padre Brown, impareggiabile conoscitore della natura umana, riuscirà a far emergere una verità insospettabile.

 
Con questo ottimo racconto si chiude la più grande antologia di racconti polizieschi di tutti i tempi, sia per ingegnosità che per livello di prosa; primato che, credo proprio, nessuno riuscirà minimamente a scalfire, visto che oggi come oggi di geni come Chesterton non ne esistono neanche per idea, e se mai ce ne fosse uno dubito che le case editrici gli consiglierebbero di “darsi ai polizieschi”. Nemmeno lo stesso Chesterton riuscirà a eguagliarsi più, visto che le raccolte successive sono belle ma mai quanto questa prima, meravigliosa tranche della saga del piccolo, grande Padre Brown.

Termino con dei "consigli per gli acquisti";  se siete interessati, vi consiglio di evitare la raccolta delle edizioni Paoline, perché è piuttosto costosa, con una traduzione bella ma antiquata e poco fluida e inoltre manca l'ultimissimo racconto della saga, "Il vampiro del villaggio". Io vi consiglio di andare sull'edizione Newton, ben tradotta e a prezzi abbordabili (vi sono compresi tutti e 5 i volumi della saga), ossia questa;




 Bellissima sarebbe anche l'edizione della Morganti editore curata personalmente da Paolo Morganti nella sua bellissima collana "Chestertoniana"; costa 15 euro, ma è l'eccellenza.


venerdì 25 ottobre 2013

L’ANGOLO DEI RICORDI; “IL MISTERO DELLE TRE QUERCE” DI EDGAR WALLACE.


A volte basta poco per provare sensazioni simili a quelle di Proust con la sua madeleine inzuppata nel tè. Basta ad esempio andare su interne, scorrere il catalogo delle nuove uscite Polillo e vedere che nei bassotti è appena uscita una elegante edizione de “Il mistero delle tre querce” Di Edgar Wallace (con nuova traduzione di Giovanni Viganò) , un libro a me molto caro perchè è stato il primissimo romanzo giallo che abbia mai letto, oltre che il primo romanzo in assoluto da me affrontato per scelta personale, senza la mediazione della maestra.
 E leggendo questo titolo sono tornato indietro nel tempo, anno 1992 avevo nove anni, ero passato dalla quarta alla quinta elementare e mi stavo godendo una spensierata estate nelle mia amate campagne del Montalbano Pistoiese dove sono cresciuto. M ricordo che era un’estate caldissima (sembra che il caldo lo abbiano inventato solo negli ultimi anni…) e che in un giorno di Luglio dal sole accecante ero con mio padre all’edicola di un suo amico (che ora purtroppo non c’è più) tappa obbligata del sabato pomeriggio e mio paese dei balocchi, visto che il sabato era per me il giorno degli adoratissimi fumetti. Ma quella volta, oltre al Topolino e al Tex di ordinanza vedo in un angolino dell’edicola un libro buttato la, con una copertina gialla e una grafica molto povera, non certo un prodotto che salta all’occhio; però leggo il titolo, “Il mistero delle tre querce” e ne rimango assolutamente affascinato; chissà perché la parola mistero è affascinante già per un bambino, forse in quanto stimola la fantasia, la voglia di conoscere. I miei primi “misteri” sono stati quelli che affrontava il detective Topolino nelle storie Disney (me ne ricordo una particolarmente bella, “Topolino e il mistero della voce spezzata”, l’avrò letta cento volte) e avevo voglia di leggere un vero libro che parlasse di misteri, volevo già andare oltre alla pur meravigliosa nona arte del fumetto.
L’edicolante nota la mia curiosità, prende e senza indugi me lo regala; tanto era uscito allegato a un giornale la settimana prima e aveva dimenticato di rispedire il reso, per cui me lo regalò. Ero estasiato, al settimo cielo; appena a casa, nella mia camerina con la finestra che dava su una pineta, inizio a sfogliare il volume; caratteri di stampa molto piccoli, traduzione di un certo Fiorello (ripresa credo dall’edizione del giallo Mondadori, che nella mia ingenuità pensai fosse il popolare conduttore a quei tempi in ascesa..), e un libro tutto da scoprire, senza nemmeno un accenno di trama in quarta di copertina.



ecco il "Mitico" volumetto



Ecco, io credo che il mio amore per il giallo fosse alla fine un destino, perché non so immaginare un libro più adatto del Mistero delle tre querce per iniziare un infante alla lettura di gialli; sono perfetti anche quelli di Agatha Christie, ma sono già per un ragazzo delle medie; il libro di Wallace invece è talmente accattivante e immediato da conquistare anche un bambino, e se un giorno ne avrò uno mio sarà il primo che gli proverò a proporre, assieme ovviamente al “Segno dei quattro” di Conan Doyle, il più bel giallo avventuroso e Salgariano mai scritto.
Aspettate, dico immediato ma non intendo certo dire che sia un libro semplicione, perché il mistero delle tre querce è anche un perfetto e godibilissimo mystery perfettamente congegnato da un Wallace una volta tanto lontano dalla Londra malavitosa e dalle sette superpotenti, alle prese invece con misteri in campagna; Si narra di due fratelli, Socrates e Lexington Smith, il primo dei quali ha collaborato varie volte con successo nel reparto investigazioni di Scotland Yard, che vengono invitati per una visita amichevole dall’ex  ispettore in pensione John Mandle, che vive con la figlia (ovviamente giovane e bella, ovviamente eroina della storia) in una tenuta nella campagna inglese. Una volta che i due sono giunti sul posto la storia decolla e iniziano i misteri, alcuni anche molto affascinanti (che delizia per un bambino l’immagine di un cadavere penzolante da una quercia…) che terranno il lettore col fiato sospeso fino alla fine. Ma come avete notato stavolta sono particolarmente reticente con le informazioni, perché mi piacerebbe che il lettore affrontasse il libro come l’ho affrontato io, senza saperne nulla.

Io, quella sera di luglio di ormai 21 anni fa, ebbi la classica folgorazione sulla via di Damasco, e conservo ancora quel volumetto carino che ho letto e riletto,e che tuttora  sfoglio con enorme nostalgia (nostalgia come quella per le iniziative editoriale dell’unità nei primi anni novanta, che talvolta allegava al quotidiano libri davvero niente male…splendida la collezione “illusioni e fantasmi”, con 16 classici del brivido tutti ritradotti). Non prenderò l‘edizione Polillo, per me l’unica possibile è questa; ma per voi che non siete condizionati dai ricordi, vi consiglio caldamente di concedervi un bel regalino per un natale ormai imminente (visto che tra qualche settimana inizierà spietato il bombardamento commerciale)  donandovi o facendovi donare Il mistero delle tre querce.

domenica 20 ottobre 2013

“L’ANELLO RUBATO” DI SELMA LAGERLOF; UNA SPLENDIDA STORIA PER UN GIORNO DI PIOGGIA.

Dunque, Selma Lagerlof. Ovviamente non ho letto e leggo solo autori polizieschi (perché essere così sciocchi da limitarsi a un solo genere?) e nel mio percorso appagante ma anche faticoso nella vasta foresta della letteratura ho talvolta trovato delle radure fiorite, ossia  autori che hanno scritto cose meravigliose e inarrivabili che mi si sono scolpite indelebili nella mente e nel cuore; non dico che essi siano necessariamente  gli autori più grandi in assoluto, ma sono coloro che mi hanno regalato le emozioni più forti.
 Assieme a Poe, Stevenson, Chesterton, Karen Blixen,Wilkie Collins e il suo amico Charles Dickens, Conan Doyle, Adalbert Stifter, Cervantes, Hoffmann, Kipling, H.G. Wells, Agatha Christie,  Joseph Roth e altri che sicuramente non mi sovvengono al momento, la Lagerlof appartiene al ristretto e personalissimo novero di coloro che considero i fuoriclasse della letteratura. Una scrittrice che a dir poco adoro, della quale ho tutte le opere, anche quelle non ristampate dagli anni trenta (non vi dico che fatica per trovare i vecchi volumi Treves o Sonzogno..) e alcune le ho lette varie volte nel corso di un amore per l’autrice ormai più che decennale.

l'autrice da giovane

Grazie alla piccola, graziosa casa editrice Iperborea, che edita testi esclusivamente di autori Nordici, sono tornati il libreria libri-miracolo come “L’imperatore di Portugallia”, storia del grande amore di un padre verso una figlia dissoluta, e soprattutto il meraviglioso “La saga di Gosta Berling” , forse il libro più bello del tardo ottocento europeo, in cui in una prosa epica che nessuna traduzione purtroppo renderà mai al meglio vengono narrate le gesta del bellissimo e vizioso Gosta e di tutte le genti del Varmland, terra d’origine di Selma; un libro talmente ricco e pieno di episodi da rappresentare una intera letteratura da solo, uno splendore eguagliato solo dall’altro capodopera della Lagerlof, il “viaggio meraviglioso di Nils Holgersson” un fantasy sui generis in cui l’autrice fa sua la lezione dei libri della giungla di Kipling per narrare la storia di un bimbo cattivo che viene trasformato in folletto, e che parte con le oche migratrici in un fantastico viaggio attraverso tutta la Svezia, e in ogni capitolo si racconteranno leggende, aneddoti e tradizioni di ogni terra che le oche visiteranno (era questo, in origine, un libro commissionatole dal governo per illustrare la storia della Svezia ai bambini, ma l’autrice andò decisamente oltre) e si vivranno le avventure di Nils e le sue oche contro le belve feroci del nord e le avversità climatiche. Quando alla fine Nils si riabiliterà e riacquisterà le sue dimensioni originarie grazie alla sua espiazione, ormai sarà cresciuto per sempre anche nell’animo.
Purtroppo di questo libro sbalorditivo girano in libreria solo versione scandalosamente tagliate (un po’ come prendere il Don Chisciotte, tagliare l’indagatore indiscreto e tutte le storie secondarie per lasciare solo la trama principale; uno scempio) e l’unica edizione Italiana integrale, di 600 e passa pagine, è quella della collana dei premi Nobel Fabbri, che a dire il vero vedo in giro abbastanza spesso nei mercatini.
Comunque, in questo post approfondiremo quella che quasi tutti considerano un’opera minore dell’autrice, e se certo è imparagonabile a Nils Holgersson o a Gosta Berling  è comunque un gioiello  purissimo, e per quanto mi riguarda un diamante è bello anche se non è grande come il Koh-i-noor.




L’anello rubato (o l’anello dei Lowenskold),scritto nel 1925, è un’opera tarda della Lagerlof, ormai anziana e appagata dal premio Nobel ricevuto nel 1909 e dall’essere considerata la più grande scrittrice in patria, ma comunque ci presenta un’autrice in forma smagliante, che con mano sicura racconta una storia di spettri vagamente “thriller”  sfoderando un grandissimo senso del suspense, degno di una giallista di professione; ma i fuoriclasse sono questi, non c’è altro da fare. Non sarà l’unica opera del genere della scrittrice; nell’ultima parte della sua carriera l’autrice amerà scrivere elaborate e moralistiche storie di fantasmi ( Il carretto fantasma, Il tesoro del signor Arne) e opere di forte impatto emotivo derivate dal feuilleton alla Eugene Sue (L’esiliato,  Il pazzo e la fanciulla). Ovvio che la critica snob abbia minimizzato questa parte dell’opera Lagerlofiana, ma sono testi intensi e godibili che meritano una e più letture.
 Nell’ Anello rubato, ambientato in una primitiva ma orgogliosa  Svezia settecentesca, si narra dei destini delle persone che, volontariamente o meno, si imbattono nel bellissimo anello d’oro rubato del Generale Bengt Lowenskold, fedelissimo di Re Carlo XII. Il vecchio generale al momento della morte volle farsi seppellire con l’anello indosso, cosa risaputa dai paesani, non pochi dei quali si sarebbero impossessati volentieri del gioiello.
L’occasione capita quando la tomba di famiglia viene riaperta per seppellire una bimba morta di scarlattina,  e rimane aperta durante tutta una notte; l’anello viene rubato dal dito del morto da un povero contadino e dalla moglie, e costerà loro la rovina completa; da quel momento, attraverso varie generazioni, l’anello passerà di mano in mano, distruggendo esistenze, spezzando storie d’amore  e sconvolgendo destini, come se lo spettro assetato di vendetta del defunto generale volesse colpire chiunque si trovi a contatto con l’anello, non solo ladri ma anche poveracci vittime delle circostanze; sarà la giovane Malvina Spaak, governante nella magione dei Lowenskold e innamorata del giovane signore, a cercare di porre fine alla maledizione dell’anello.
Quindi questo libro è principalmente una storia di fantasmi intrisa di morale protestante, ma l’intento allegorico non intacca minimamente il fascino di una storia assolutamente perfetta per una domenica di brutto tempo come questa, dove davvero la cosa migliore della vita è allontanare tutto e tutti dalla propria stanza, (non è un delitto cercare un poco di solitudine, come ben sa ogni lettore) gettarsi una comoda coperta addosso e leggere d’un fiato (il testo è abbastanza breve) questo splendido romanzo del brivido, con sequenze di suspense di grande spessore, una su tutte quella dei tre innocenti ingiustamente accusati condannati dal tribunale impotente a prendere una decisione a tirare i dadi per rimettersi al giudizio dell’onnipotente; chi fa il punteggio più basso sarà giustiziato. Questa e altre sequenze esemplari ne fanno quindi un thriller di prim’ordine che certo non sfigura su questo blog, che se vorrete vi regalerà, a vostra discrezione (fortunatamente il libro è disponibile nel catalogo Iperborea), un pomeriggio, una sera, una notte o una mattina piacevolissimi.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  9/10
-LEGGIBILITA’  9/10
-ATMOSFERA  10/10
-HUMOUR   7/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO; 8,8

venerdì 18 ottobre 2013

"UNA PAROLA DI OTTO LETTERE" DI HERBERT ADAMS, UN TIPICISSIMO GIALLO BRITISH DELLA GOLDEN AGE


Se qualcuno venisse da me (magari) e mi chiedesse di consigliargli un romanzo emblematico del filone “Delitto nel verde della campagna inglese”, le mie poche cellule grigie si metterebbero subito in moto; ovviamente il primo titolo che suggerirei sarebbe “Poirot a Styles court” della Christie, perfetto giallo “campagnolo” oltre che forse il poliziesco di più piacevole lettura che esista; poi il “Dramma di corte rossa” di A.A. Milne, poliziesco delizioso e intriso di garbatissimo umorismo, che Rex Stout definì a ragione incantevole. Poi? Perfetto sarebbe “Delitti a volontà” di Joanna Cannan, apoteosi oltre che della campagna inglese anche del tramonto della Gentry; e anche il cupo e inquietantissimo “E i cani abbaiano” di Stagge (uno degli pseudonimi della ditta Patrick Quentin) ambientato in una campagna Americana però “Inglesizzata”, talvolta anche in modo forzato.
E ancora il bellissimo thriller “La scala a chiocciola” di Ethel Lina White, in cui la selvaggia campagna tra Inghilterra e Galles fa da sfondo perfetto alla fosca vicenda narrata, proprio come la brughiera del “Mastino dei Baskerville” di Conan Doyle (pensavate che me ne scordassi eh? E invece...)
E poi? Ce ne saranno molti altri, chissà quanti non ancora tradotti, ma d'ora in poi a chi mi facesse la domanda riportata all'inizio del post consiglieri caldamente anche “Una parola di otto lettere” di Herbert Adams, delizioso scrittore Inglesissimo e campione di Golf, che si dette alla scrittura in tarda età firmando decine di romanzi.

l'autore.

Purtroppo la sua produzione in Italia è arrivata poco e male; due titoli, tra cui quello recensito, tradotti da Polillo, e poi solo traduzioni vetuste e incomplete nella collana dei “romanzi della rosa” Salani, che li scelse forse per la componente sentimentale piuttosto considerevole negli scritti dell'autore; un vero peccato che il giallo Mondadori non lo abbia assolutamente preso in considerazione... chissà poi perchè?
Dunque, questa Parola di otto lettere (titolo originale A word of six letters...quindi quale sarà la parola? Facile intuirlo), scritto nel 1936, recuperato nella bellissima (e ahimè conclusa) collana dei gialli del corriere della sera che ristampava i Polillo a soli 6,90 euro, mi è piaciuto talmente tanto da correre a recuperare l'altro bassotto disponibile, “La stessa sera alla stessa ora” che spero di leggere al più presto.




Ma andiamo con ordine; la storia inizia nientemeno che durante una crociera nei fiordi norvegesi (ah, che bella immagine...) dove un giovane medico capace e determinato, Bruce Dickson, incontra una ragazza carina e gentile che viaggia da sola di nome Ella Chilcott, e parlando con lei scopre che è la nipote del signorotto della contea nella campagna Inglese dove andrà ad esercitare, il vecchio, ricchissimo e orgoglioso colonnello in pensione Bartholomew Blount, . Tra i due nasce una simpatia molto forte, ma che non fa in tempo a concretizzarsi nel breve periodo del viaggio, anche per motivi economici che al tempo erano importanti; il giovane medico non ha ancora una posizione adeguata per chiedere la mano di qualsivoglia fanciulla, e la ragazza ha litigato aspramente con lo zio, che l'ha scacciata di casa, e ora per mantenersi dovrà cercarsi un lavoro come segretaria.
Passano alcuni mesi. E' il compleanno del vecchio colonnello Blount, e lo stuolo di parenti leccapiedi e inetti che sperano in un buon lascito al momento della morte del vecchio Squire si precipitano a rendergli doverosi omaggi. Il vecchio cerca, come sempre, di rendersi il più possibile odioso e di farli sentire delle nullità, ovviamente ci riesce benissimo.
Dopo il ricevimento, nel pomeriggio, il colonnello parte per la sua consueta cavalcata nelle campagne della contea, ma non fa ritorno; lo trovano morto dopo essere caduto dalla sua cavalcatura.
Tutto fa pensare a un colpo apoplettico dovuto all'età, e sperano che non vi sia nessuna inchiesta; ma il giovane Bruce Dickson, non convinto, vuole comunque compiere delle analisi sul sangue del vecchio, e in esso vengono riscontrati forti livelli di Sulfonale, un sonnifero che se preso a forti dosi diventa letale. Quindi il vecchio non è morto per la caduta, ma per il veleno.
Ma un colpo di scena ancora più sorprendente è il testamento di Blount; lascia lasciti irrisori ai parenti leccapiedi e quasi tutte le sue sostanze alla Giovane Ella Chilcott, per il semplice fatto che la ragazza è stata l'unica a tenergli testa. Ovviamente il calcio al vespaio è ufficialmente tirato, e la storia decolla in modo appassionante; seguiamo le indagini condotte dall'ispettore Fraser sulla vita nascosta del vecchio Blount, che soleva andare a trovare durante le sue cavalcate una bellissima donna dai capelli rossi con la quale sembrava essere in grande intimità; seguiamo le paure e i complotti dei viscidi e melliflui parenti di Ella, che ora hanno per la giovane ereditiera lo stesso comportamento che avevano verso lo Squire defunto; e seguiamo anche la dolce e tormentata storia d'amore tra Bruce e Ella, col primo che ora non osa dichiararsi alla ricca ereditiera per il suo status divenuto di colpo inferiore e con lei, innamorata del bel dottorino, che crede che lui rivolga altrove le sue attenzioni.
La storia è sempre più interessante e movimentata man man che si va verso la fine, con pirotecnici attentati, travestimenti, rocambolesche fughe e tormenti esistenziali di stampo vittoriano.
Quando il libro finisce e l'assassino viene condotto in prigione (e gli innamorati all'altare) se ne è veramente dispiaciuti. Bello, bello e ancora bello, una vera fiaba per adulti come tutti i gialli della Golden age citati all'inizio, ma anche un perfetto meccanismo poliziesco. Un libro che rileggerò varie volte con sommo diletto, un vero gioiello. Grazie mille, Polillo editore.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  9/10
-LEGGIBILITA’  10/10 (grazie anche all'ottima traduzione di Marisa Castino Bado)
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   10/10

MEDIA VOTO; 9,2

lunedì 14 ottobre 2013

UN INCANTEVOLE ROMANZO DI REX STOUT; “CHAMPAGNE PER UNO”


Forse una delle lacune di questo blog (un poco di sana autocritica non fa mai male) è l’aver trascurato il giallo americano, che per molti è sinonimo di Hard-boiled, di mitra in azione e belle pupe discinte; vero in parte, ma ovviamente c’è molto di più.

 Il giallo Inglese è quello che amo, ma riconosco che negli Stati uniti si è andati oltre, spaziando tra i sottogeneri; l’America in fondo era troppo grande e variopinta per limitarsi al delitto nella casa di campagna, per cui dopo un inizio sugli stilemi dei grandi autori Britannici  il giallo made in USA ha spiccato il volo per suo conto, producendo non solo gli scrittori pulp o hard-boiled ma anche dei geni isolati, che sono andati per conto loro creando un genere a se stante. Due nomi su tutti, COrnell Woolrich (autore che ho amato alla follia da giovane e adesso sto colpevolmente trascurando.. devo rimediare) e ovviamente Rex Stout.

Se Woolrich ha creato il romanzo nero e dell’attesa spasmodica, Stout ha invece creato un giallo in punta di penna arguto e umoristico, dove i personaggi e gli ambienti contano ben più della trama, che  non poche volte sarebbe anche geniale (come ad esempio nel bellissimo “la lega degli uomini spaventati” ) ma per l’autore l’intreccio giallo è un ricamino a margine dell’affresco, e quindi anche un plot esplosivo finisce per passare in secondo piano rispetto alle fantastiche caratterizzazioni dei personaggi, che fanno dei libri di Stout un documento imprescindibile sulla vita e i costumi dell’alta borghesia Americana  tra gli anni trenta e gli anni settanta, quando l’autore editò gli ultimi romanzi per spegnersi serenamente dopo una lunga e fruttuosa vita.
Stout con l'amata moglie; al contrario di  Wolfe l'autore non era affatto un inveterato misogino.
 

Ora, Stout è un autore lontano dal mio modo di intendere il giallo, ma lo leggo come i Maigret di Simenon, ossia per ritrovare personaggi splendidi e una scrittura finissima e inarrivabile (quando ben tradotta), e ne traggo un divertimento enorme.

Inutile che vi parli del gigantesco Investigatore di Origine Montenegrina che vive a New York, ama il buon cibo e le orchidee e nonostante sia misantropo e misogino riesce a capire la natura umana come nessun altro; Wolfe è un  mito che non ha bisogno di presentazioni, protagonista di romanzi e racconti che restano unici nella storia del genere. Libri che, lo ammetto, una volta letti poi  dimentico alla svelta, e per la maggior parte dei romanzi che ho letto nemmeno ricordo chi sia il colpevole; ma alcuni invece mi sono molto cari, uno su tutti lo splendido Champagne per uno, romanzo del 1959 che considero uno dei suoi capolavori, un romanzo tagliente e umoristico ma anche dolce e sognante, ambientato tra ricchi borghesi fuori dal tempo.

 
 

E soprattutto, cosa a dir poco inusuale per l’epoca, Stout focalizza l’attenzione sul problema delle ragazze madri, che l’America perbenista e ipocrita del tempo considerava alla stregua di prostitute,  da aiutare per pura pietà umana ma non certo perdonando loro fino in fondo i loro “Peccati”.

A tale scopo esisteva un vero e proprio istituto  di carità dove le poverette potevano trovare aiuto per risistemare le loro vite derelitte  (sto usando un tono ironico, badate bene, non mi date del perbenista che sennò mi arrabbio) e in onore del defunto benefattore che ha fondato questo istituto, il signor Robilotti, ogni anno viene tenuta dalla vedova una sontuosa cena nella sua casa di New York dove partecipano, selezionate, alcune di queste sventurate; lo scopo della cena è quello di commemorare il signor Robilotti e magari di far conoscere alle belle abbandonate qualche buon partito che non guarda molto per il sottile.

Ora, per rimpiazzare il nipote della signora Robilotti affetto da Laringite, viene chiamato Archie Goodwin, il giovane e affascinante aiutante del pachidermico Wolfe,  che sebbene ostenti un’aria da condannato, in realtà tra delle belle ragazze ci si trova perfettamente a suo agio.

Durante la cena  fa la conoscenza di una di loro (notare come l’autore abbia una grande simpatia per queste ragazze madri, che dipinge giustamente come donne determinate e risolute, mentre quasi tutti gli altri autori ne avrebbero fatte delle vittime da compiangere) ,una certa Faith Usher, che nonostante sia una ragazza molto intelligente abbia dei propositi suicidi che spiattella tranquillamente ad Archie, confidandogli persino di girare con una fiala di cianuro in tasca. Ora, durante la serata la ragazza muore veramente avvelenata, e tutti pensano a un teatrale suicidio; tutti tranne Archie, che assieme al Deus ex Machina Nero Wolfe smaschererà un diabolico assassino.

In ogni  caso, lo ribadisco, non leggete questo libro per trovarvi un intreccio fenomenale; questa è grande letteratura Americana, argutissima e per nulla narcisistica, non invecchiata di un giorno al contrario di tanti celebrati scrittori Statunitensi coevi a Stout come Faulkner e Kerouac, dei quali non riesco a leggere nemmeno una pagina, sicuramente per colpa mia.

E se davvero leggerete questo Champagne per uno e vi piace, provate anche La guardia al toro, Nero Wolfe e sua figlia, Non ti fidare, I quattro cantoni, Sei per uno e La scatola rossa; i libri di Stout  a mio parere imperdibili, insieme, naturalmente, al suo capolavoro assoluto, La lega degli uomini spaventati, inserito da John DIckson Carr nella sua famosa lista dei dieci migliori gialli  mai scritti.

 

INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10

-LEGGIBILITA’  10/10

-ATMOSFERA  8/10

-HUMOUR   9/10

-SENTIMENTO   8/10

 

MEDIA VOTO; 9

mercoledì 9 ottobre 2013

“L'ENIGMA DELLA DONNA ERRANTE” di Fergus Hume; un esemplare giallo post-Vittoriano.


A volte ti prendono certi pomeriggi in cui sei un po fuori dal mondo, stanco da un turno logorante e col mal di gola provocato  dagli sbalzi di temperatura di un inizio ottobre pazzo come non mai, e ti affidi a ciò che conosci e ami per rilassarti; a quello serve la mia collezione del Giallo economico Newton, a ritrovare belle storie lette tanti anni prima e riprenderle in mano sapendo cosa ti aspetta, ma comunque  felice di ciò, come l'ennesima serata a chiacchierare del più e del meno con l'amico di sempre.
E con Fergus hume, di cui mi sono già occupato in un post dello scorso aprile, si tratta proprio di ritrovare un vecchio e fidato compare; le sue storie misteriose e accattivanti, così sfrontatamente vittoriane, non mancano mai di sedurre il lettore in vena di affascinanti misteri da opporre a una realtà talvolta veramente troppo trasparente.

un sorridente Fergus Hume


Uno dei migliori tra i tantissimi polizieschi pubblicati dall'autore (quasi 150, anche se in Italia ne sono arrivati si e no una decina...Polillo?), o perlomeno uno dei più rappresentativi della sua poetica, è senz'altro questo “Enigma della donna errante”, già proposto nel lontano  1937 nel Giallo economico Mondadori col titolo  “Espiazione”, e questo testo, presumibilmente tutt'altro che integrale, è stato ripreso dai GEM e opportunamente rinfrescato ( e meno male, perchè a quanto pare uno dei personaggi, di nome Grace, era stato ribattezzato “Grazie” in onore al diktat fascista del periodo).

la copertina dell'edizione 1937 (fonte; blog l'oeil de lucien)


Il romanzo risale al 1910, in realtà fuori tempo massimo per un giallo Vittoriano, visto che il detective del momento era l'ultra-scientifico e positivista dottor Thorndyke di Austin Freeman, preludio a trame più rigorose e con meno orpelli gotici.
Ma il Neozelandese Hume, autore di stampo completamente ottocentesco, rimase fino alla fine un fedelissimo discepolo di Wilkie Collins e delle sue atmosfere, non al suo livello (anche perchè nessuno lo fu mai) ma senz'altro un suo degnissimo epigone.
L'enigma della donna errante ha fin dalle prime pagine tutti gli ingredienti del super-mistero; un'anziana ed eccentrica signora viene trovata morta in una camera da lei presa in affitto e arredata in modo stranissimo, con drappi di colore giallo e uno strano mobilio. La donna usava consumare i suoi pasti riccamente abbigliata seppur in totale solitudine, quasi a voler rivivere un determinato momento del suo passato. Inoltre cambia spesso residenza, in quanto ha la concreta paura di essere uccisa da qualcuno, cosa che puntualmente accade.
Della faccenda si occupa un importante detective di Scotland Yard, che apprende da un suo vecchio mentore una strana storia di un delitto commesso vent'anni prima nella camera gialla di un'antica residenza nobiliare di campagna.... da qui prende avvio una indagine che contempla fanciulle innamorate, gentiluomini decaduti e ingiustamente accusati, finti virtuosi, pazzi che forse simulano la loro follia, cameriere scaltre e ricattatrici e soprattutto sentimenti fortissimi di odio e d'amore, di quelli che tanto piacevano al pubblico dell'ottocento, che vedeva tutto bianco o nero e non contemplava o quasi le sfumature.
Poi tutto si conclude in modo abbastanza forzato,fortunoso e prevedibile, tanto che viene da chiedersi il perchè oggi si debba ancora leggere un libro del genere, così involuto e superato; perchè talvolta non conta il risultato quanto l'intenzione, e Hume è uno splendido compagno per una storia davanti al camino ( o al termosifone) in una sera di pioggia, una storia magari scontata ma affascinante e intensa, che nonostante tutto,contro ogni previsione iniziale, riesce ancora a incantare chi ha la pazienza di ascoltarla.


-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10
-LEGGIBILITA’  8/10
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   6/10
-SENTIMENTO   9/10



MEDIA VOTO; 8

giovedì 3 ottobre 2013

INTERMEZZO; UNA STORIA MERAVIGLIOSA




Come ormai sapete, il mio principale divertimento consiste nell’andare in giro per Librerie antiquarie, bancarelle e mercatini dell’usato, a cercare quei libri obliati e dimenticati dei quali spesso vi propino anche le recensioni.
Ma oltre al libro in se stesso, mi piace cercare dai rigattieri anche pezzi di storia del nostro paese, frammenti di passato; e per me le tracce del passato sono soprattutto su libri, giornali e riviste, utili come nessun’altra cosa per raccontare un’epoca; i gusti, le mode, i pensieri di un determinato periodo non si trovano nei saggi pomposi o nei libri di storia, ma su un giornale o su una rivista a dispense.
Ma tra tutti i ritrovamenti carini che ho fatto, credo che questo di ieri li batta tutti; in uno dei mercatini più caotici di Pistoia ho rinvenuto un romanzo di Willi Dias, scrittrice per signorine ormai dimenticata, anche se assieme alla Peverelli era quella che meglio sapeva scrivere, e non mi vergogno a dire che qualcosa di queste scrittrici ho anche letto.
Quindi, alla modica somma di 1,50, vedo questo “La piccola ragazza”, probabilmente  uno dei soliti romanzi melensi e prevedibili seppur pieni di garbo dell’autrice. 




Lo sfoglio indeciso se prenderlo o meno, e quando sto per decidere di lasciarlo al suo destino scorgo, nell’ultima pagina bianca del libro, una grafia elegante e scorrevole. Inforco gli occhiali e leggo attentamente, e ben presto mi accorgo che in quelle righe sono riportate le emozioni e le paure di una ragazza che sta vivendo in tempo reale IL BOMBARDAMENTO DI FIRENZE DEL TRE AGOSTO 1944, quel giorno terribile in cui durante lo stato di emergenza vennero distrutti i ponti della città e molti dei palazzi attorno al ponte vecchio, preludio a un mese terribile nel quale la città venne liberata a un prezzo altissimo di vite umane.
Mi affretto a fare mio il volume, e dopo cena  lo esamino attentamente. Quello che leggo mi commuove e mi lascia perplesso, ma in ogni caso mi rende conscio che ho appena avuto un’esperienza straordinaria; ho letto una testimonianza in tempo reale di un evento estremamente drammatico che non è in nessun libro di storia.
A scrivere parrebbe una ragazza della buona borghesia Fiorentina ( dichiara di essere nella centralissima Piazza dell’Olio, in pratica uno slargo attaccato a Piazza del duomo) molto giovane e abbastanza colta e timorata di Dio, ma che sembra, in quei momenti drammatici, parteggiare per i Tedeschi, e criticare in modo sicuramente ingenuo e superficiale (ma con garbo e senza toni violenti) gli alleati, che a suo dire stanno distruggendo Firenze e l’Italia, come se i ponti non li avessero minati i tedeschi; da qui si evince di come la scrivente fosse una giovinetta tenuta in una relativa ignoranza dalla stessa famiglia, che molto probabilmente aveva buoni rapporti coi nazisti, e la ragazza stessa cita tra i suoi “corteggiatori” (quanta dolcezza in questo appellativo) un certo Werner, nome di chiara origine Tedesca. Il fatto che si esprima come una debuttante fa pensare che la famiglia sia di ceto medio-alto, visto che le ragazze di umili origini non andavano certo parlando di corteggiatori.
Comunque l’ignota dovrebbe essersi chiamata Maria Luisa( o magari è ancora viva? Chissà), ma il cognome è purtroppo illeggibile; ci sono altre due firme, probabilmente di amiche che sono con lei a condividere questo momento, delle quali si legge un cognome, Corsini. Difficile capire però il cognome della scrivente, che in ogni caso è sicuramente Toscana, viste le locuzioni dialettali talvolta adoperate.
Detto questo, ora riporterò in calce il testo della lettera, con punti interrogativi nei passaggi che non ho saputo decifrare.
So che il contenuto potrebbe essere urtante per molti, ma vi invito caldamente a lasciar perdere, in fin dei conti le posizioni politiche di una fanciulla sognante,inesperta e tenuta nell’ignoranza non sono da prendere in considerazione; cercate invece di immedesimarvi nel momento, nella circostanza, di essere anche voi nella Firenze bombardata dove davvero la prossima bomba poteva essere quella decisiva, a vivere un domani incerto nella tenue luce di una fiammella, facendovi coraggio con un libro sentimentale e la preghiera.



 (metto scannerizzazioni del documento, altrimenti sembra di inventarsele certe cose)


3/8/1944, GIOVEDI

Sono le nove meno diciassette minuti; ho terminato la lettura di questo libro nello stesso istante.
Siamo dalle cinque pomeridiane in stato di emergenza. Una tremula fiammella illumina la stanza. Il cannone tuona terribilmente…ininterrottamente…paurosamente… forse tra non molto in queste nostre strade, in questa sognante Firenze, si svolgeranno dei terribili combattimenti e neppure questo gioiello d’arte sarà risparmiato dalle furia devastatrice della guerra… e anche di questo dovremmo ringraziare gl’ Inglesi che hanno riconosciuto e accertato la domanda fatta dal comando Tedesco  di riconoscere Firenze città aperta ( Come chiaramente descritto nel manifesto ? stamane uscito ) E pensare che questi Italiani stanno innalzando laudi di gloria e festa ai nuovi arrivati, incoscienti ancora del male che hanno fatto a questa bella Italia nella loro poca serietà e mancanza di intelligenza ???....  aspettando il nemico e odiando l’alleato. Io non ho punta paura. E spero che il Signore mi aiuti, assieme alla mia famiglia, a scampare i numerosi pericoli che ci minaccino.
Ad ogni modo sarò sempre fedele alla mia idea qualunque cosa avvenga. Se qualche disgrazia succederà il mio ultimo pensiero sarà alla mia patria e…. ai numerosi e cari amici e corteggiatori ed in special modo a D.L. , F.G.  e Werner. E anche alle mie amiche, prima Amanda e Laura, il mio pensiero affettuoso!
Adesso c’è anche una terribile battaglia aerea …che Dio ce la mandi buona e…senza vento.
Il contegno dei DH ? è perfetto, come del resto fino ad ora è stato.
Con  la speranza di rivederli presto far fagotto….?.... col morale altissimo, chiudo questo sfogo e mi firmo

Maria luisa  ?
Marisa, e anche
? Corsini.
Piazza dell’Olio, Firenze.

Questo è quanto.
La calligrafia è elegante e curatissima seppur in una occasione simile, quindi figuriamoci che ottima scrittrice dovesse essere la ragazza quando era tranquilla.
Il tono è colto, da ragazza che ha studiato, le espressioni ricercate ma la punteggiatura non sempre impeccabile; segno di un talento che badava più agli afflati che alla grammatica.
Ma lasciamo perdere la forma, e passiamo alla sostanza; per me questo ritrovamento è stata una esperienza bellissima che ho voluto condividere con voi, ora questo libro tenuto tra le mani di una rosa in boccio in quei momenti drammatici lo custodirò gelosamente come un tesoro prezioso, anche se mi piacerebbe sapere chi è il tapino che si è sbarazzato di un così caro ricordo per settantacinque centesimi netti di ricavato; gente cosi meschina e senza cuore andrebbe presa a calci nel sedere.
Ma non temere, cara dolce  Maria Luisa, il tuo libro non andrà mai più disperso in mercatini polverosi, e le tue parole vivranno ancora per generazioni, cronaca genuina di un’epoca. Spero che ti sia salvata, che tu abbia capito col tempo quanto ti sbagliavi su alcune cose, anche se è facile per me prendere le giuste parti visto che ho i libri di storia che mi hanno illuminato, magari in un momento tanto caotico pure io avrei potuto sbagliare. Spero che qualcuno dei tuoi corteggiatori sia sopravvissuto a quello spaventoso e insensato massacro, ti abbia sposata e resa felice come le eroine dei romanzi di Willi Dias che ti piacevano tanto da riuscire a leggerli anche sotto le bombe, e che ormai non commuoverebbero più quasi nessuna ragazza in fiore, bombardate quotidianamente da messaggi e falsi miti deleteri quasi quanto le V2.