lunedì 4 dicembre 2017

AGATHA CHRISTIE E IL CINEMA - PARTE 1

Cari amici,

avere finalmente un filo in più di tempo da dedicare al blog mi permette di intraprendere un itinerario tematico che da molto tempo mi sta a cuore, ovvero un’analisi il più possibile esaustiva di tutti i lungometraggi (per il cinema e per la tv) derivanti da opere della signora del giallo.
Premessa; il sottobosco delle pellicole Agathiane non è proprio un sottobosco, ma una vera giungla Malese; fin dal 1928, infatti, si sono fatti film, ma il cinema non ha mai veramente scoperto la Christie fino agli anni sessanta; e delle pellicole più datate molte sono ormai andate perdute o non sono disponibili in home video (almeno in Italia); per cui ci occuperemo delle opere perlomeno reperibili, anche solo in lingua originale.
Cominciamo innanzitutto con una prima classificazione;

-I film con la F maiuscola; le opere universalmente note, dirette da registi affermati e con cast all-stars, che ognuno di noi ha visto almeno una volta nella vita, da “Testimone d’accusa” di Billy Wilder all’Orient Express di Kenneth Branagh in questi giorni in sala (sul quale ho ben poca fiducia; non andrò al cinema perché sono allergico al dolby surround sparato a livelli intollerabili e al pubblico che sclicchetta sugli smarthpone disturbando la visione, appena esce in videoteca lo prenderò a noleggio, ma sono sul prevenuto andante)

-Le riduzioni di “Dieci piccoli indiani”; un vero e proprio filone a parte, con opere figlie della rispettive epoca, non sempre riuscite ma comunque con motivi di interesse.

-Le opere “semiserie” degli anni sessanta; ovvero la tetralogia della Miss Marple con Margaret Rutherford e “Poirot e il caso Amanda” con Tony Randall; figlie, queste, di un sottofilone in voga nel cinema Inglese di quegli anni nel quale il poliziesco veniva trattato perlopiù in chiave comico-grottesca, molto gradevole da un lato ma con l’aspetto investigativo altamente banalizzato e sacrificato, per cui questi film sono generalmente amati dal grosso pubblico e odiati dai puristi.

-I film per la TV di livello; film non destinati alle sale cinematografiche ma comunque prodotti ad alto budget e con un cast di tutto rispetto (I Poirot con Peter Ustinov, la Miss Marple di Helen Hayes, il Tommy e Tuppence con Francesca Annis e James Warwick, altri film di buona fattura tratti da opere varie)

-La serie di Miss Marple uscita dal 1984 al 1992 con Joan Hickson; in questa serie per la prima volta si da dignità e spessore sia al testo di partenza che al personaggio di Miss Marple; Joan Hickson era perfetta in tutto e per tutto e i film, lunghi e articolati, seguono molto fedelmente il romanzo di partenza, accontentando i puristi ma rischiando l’oleografia e la staticità in più passaggi.

-La serie di Miss Marple prodotta dal 2004 in poi con prima Geraldine McEwan (stagioni 1-3) e poi con Julia McKenzie (stagioni 4-6), serie molto ben fatta e gradevolissima, con riduzioni però molto meno fedeli al testo che nella serie con la Hickson e che comprende anche la trasposizione di opere che in origine erano senza personaggi fissi, con Miss Marple introdotta a forza per giustificare la presenza delle pellicole della serie; operazione abbastanza riuscita ma ovviamente discutibile.

-I lungometraggi della serie di Poirot con David Suchet; finalmente, con questa serie capolavoro, si regala al pubblico il Poirot più autentico, con una serie di corti e lungometraggi assolutamente ben fatti, non sempre riusciti ma in qualche caso addirittura memorabili (di questa serie ho parlato in un recente post dello scorso luglio).

-La serie “Agatha Christie Hours” ; recuperata da Malavasi in un’ottima edizione in dvd, questi dieci mediometraggi di un’ora l’uno tratti da racconti minori e non polizieschi (ma soprannaturali, sentimentali, brillanti) è ASSOLUTAMENTE da recuperare e analizzare.

Bene, ora un poco di ordine è stato fatto, passiamo adesso a ricordare i più noti interpreti sullo schermo dei maggiori detective creati da Dame Agatha;

-HERCULE POIROT;

-TONY RANDALL
 (Poirot e il caso Amanda)



-ALBERT FINNEY
(Assassinio sull’Orient Express versione 1974)


-PETER USTINOV
(Assassinio sul Nilo, Delitto sotto il sole, Appuntamento con la morte, Caccia al delitto, Tredici a tavola, Delitto in tre atti)



-DAVID SUCHET
 (tutta la serie di Poirot, 1989-2013)


- ALFRED MOLINA
 (Assassinio sull’orient express versione 2001)

                                                  fonte; Getty Images



-KENNETH BRANAGH
(Assassinio sull’orient-express versione 2017).





Giudizi; Il Poirot di Tony Randall, segaligno e troppo buffo (quasi un emulo del Closeau di Peter Sellers, al quale in principio sembra fosse destinata la parte) è un altro elemento poco riuscito di un film già nato maluccio di per se, che ha qualche momento divertente ma sembra veramente fatto apposta per irritare gli amanti di un romanzo meraviglioso come “La serie infernale”; Albert Finney è molto bravo ma l’ho sempre trovato un elemento stonato in un film che è la quintessenza dell’intonazione tra attori e decor; troppo giovane e troppo bello per la parte, per risultare un Poirot credibile Finney deve muoversi grottescamente (con un torcicollo perenne) e comportarsi da saltimbanco, risultando ancora più ridicolo di Tony Randall.
Peter Ustinov invece, caratterista che vale tanto oro quanto pesa (e considerata la mole..) ci regala un Poirot magnifico e simpaticissimo, ma anch’esso troppo lontano dal modello descritto della Christie; il Poirot di Ustinov ha ben poco di dandy e vagamente effemminato, ha anzi una forza virile a stento soffocata in atteggiamenti affettati poco convinti.
David Suchet, invece, è il Poirot perfetto e ineguagliabile, che ormai si è imposto anche nell’immaginario collettivo di tutti noi, scalzando proprio Ustinov, fino ad allora il Poirot più noto e amato.
Sul Poirot di Alfred Molina, attore che amo come un mal di denti in giorno di natale, stendiamo il classico velo pietoso (e anche sul film, cari miei, ci sarà ben poco da entusiasmarsi); di Kenneth Branagh vi saprò dire poi (anche se con quei baffoni Austro-ungarici si parte già maluccio…).



MISS MARPLE;



-MARGARET RUTHERFORD
 (Assassinio sul treno, Assassinio al galoppatoio, Assassinio sul palcoscenico, Assassinio a bordo)



-ANGELA LANSBURY
 (Assassinio allo specchio versione 1980)



-HELEN HAYES
( Assassinio allo specchio versione 1985 (tratto però da giochi di prestigio…) e Miss Marple nei Caraibi versione 1983)





-JOAN HICKSON (serie 1984-1992)



-GERALDINE McEWAN  (Serie 2004-2013, prime tre stagioni)



-JULIA McKENZIE (serie 2004-2013, stagioni 4-6)




Giudizio; dunque, inizio col chiarire una cosa; anche se i 4 film con Margaret Rutherford che fa una Miss Marple gioviale, esuberante e simpaticona che è praticamente l’antitesi del personaggio creato dalla Christie, e con dei film che di poliziesco hanno davvero poco e sono più delle commedie brillanti venate di giallo, io sono comunque un fan di questa serie diretta da George Pollock, perché la Rutherford, oltre che un’attrice meravigliosa, è veramente di una simpatia contagiosa, un ciclone devastatore che anzichè essere perfettamente parte integrante della piccola comunità di St.Mary Mead ne sconvolge invece la morale e le regole ferree; film talmente astrusi e fuori contesto da non poter quasi essere inseriti in questo elenco (addirittura l’ultimo film della serie, Assassinio a bordo, non deriva da alcuna opera della Christie!!) criticati pesantemente anche da Agatha stessa all’epoca della loro uscita, ma che per me sono un indimenticabile graffito di un’epoca dove si, il giallo era considerato proprio un genere-burletta, ma dove perlomeno ci si divertiva saporitamente e senza prendersi sul serio.
Sulla Miss Marple di Angela Lansbury…beh, chi mi conosce bene sa che ho per questa attrice un rapporto di amore-odio ormai epico, nel senso che detesto quasi tutto quello che ha interpretato (a cominciare dal mefitico La signora in giallo) ma ne riconosco appieno il talento maiuscolo; in ogni caso la sua Miss Marple, comunque non la protagonista del gradevole film di Guy Hamilton (c’era Liz Taylor, quindi niente spazio ad altre primedonne…) è troppo altera e aristocratica, non ha niente della vecchietta dimessa e quasi invisibile creata dalla Christie.
Helen Hayes, grande attrice americana indimenticabile in classici come “Addio alle armi” e “Anastasia” è una Miss Marple convincente e già più vicina ai canoni, ma si gigioneggia sempre troppo; con Joan Hickson, invece, altra gloria del teatro e del cinema british, si trova l’inteprete perfetta, per me la Miss Marple per antonomasia come lo è David Suchet per Poirot.
Geraldine McEwan e Julia McKezie sono due interpreti veramente ottime, che derivano direttamente dalla Hickson; preferisco la seconda alla prima, comunque.

-TOMMY  E TUPPENCE;
Dal 1983 al 1984 fu prodotta una serie denominata partners in crime, in Italiano “In due si indaga meglio” composta da un lungometraggio, Avversario segreto, più dieci episodi brevi tutti disponibili sul sito della Malavasi editore) con  Francesca Annis e James Warwick; devo ancora visionare questa serie e non posso dare un giudizio, ma gli interpreti sembrano azzeccatissimi. 



Partners in crime è stata poi ripresa anche nel 2015, con l’adattamento (tre puntate da 50 minuti ognuno) dei romanzi “Avversario segreto” e “Quinta colonna” interpreti Jessica Raine (la protagonista della bellissima serie Call the Midwife) e David Williams; per queste feste conto di fare una maratona di Tommy e Tuppence, poi vi saprò dire.



I personaggi di Tommy e Tuppence sono stati interpretati anche in due film piuttosto singolari, entrambi trasposizioni del tardo “Sento i pollici che prudono” dove i due sono ormai una coppia di mezza età; il primo è un film della serie di Miss Marple dove inopinatamente quest’ultima duetta con la Tuppence impersonata da Greta Scacchi e con Tommy interpretato da Anthony Andrews, la seconda pellicola invece è di produzione Francese e piuttosto fedele al romanzo (anche se come al solito gli amici transalpini “Francesizzano” il tutto e il british-style se ne va a ramengo) e con l’affiatato duo Andrè Dussollier-Catherine Frot; se i due Tommy anzianotti sono piuttosto corretti, le Tuppence della Scacchi e della Frot sono un filo troppo giovani e ancora sexy per essere credibili come paciose casalinghe nell’autunno della vita.


                                             Andre Dussollier e Catherine Frot


                   Anthony Andrews e Greta Scacchi con Geraldine McEwan


-PARKER PYNE;
Questo singolare personaggio di anziano e saggio “detective dell’anima” che con la sua opera aiuta le persone a ritrovare la propria felicità, è apparso in due episodi della serie “Agatha Christie hours”; gli da il volto  il bravo caratterista Maurice Denham.




Bene, dopo questo primo post-panoramica seguiranno altri articoli a tema (attendete fiduciosi…ma senza troppa fretta) e spero che alla fine della rassegna chi si approccia al cinema tratto dalle opere della nostra beniamina potrà perlomeno avere le idee più chiare. State connessi!

venerdì 20 ottobre 2017

"LA RAGAZZA SBAGLIATA" DI GIAMPAOLO SIMI.

 Anche se non seguo la narrativa poliziesca contemporanea, Italiana o straniera che sia, ogni tanto si legge una trama e la si trova veramente accattivante, un qualcosa di minimamente nuovo e originale, e ciò che nasce come una piacevole suggestione poi diventa una vera e propria voglia di leggerlo (quante volte sarà capitato a noi lettori di essere attratti da qualcosa che non leggiamo abitualmente?)



E per me questo romanzo di Giampaolo Simi di attrattive ne aveva parecchie; l'ambientazione in Versilia, terra con la quale ogni Toscano, in un dato momento della sua vita, si è trovato e si trova a che fare; l'avevo evitata per tutta l'adolescenza e poi ho imparato a scoprirla e amarla con mia moglie.
Poi i rimandi continui agli anni novanta, che pian piano stanno diventando storia, passato remoto; già la fiction "1992" con Stefano Accorsi e Miriam Leone mi fece sentire un poco più vecchio, e le pennellate dell'autore, che non mitizza o edulcora (per quello ormai ci sono gli anni ottanta, per tanti epoca d'oro....di non so che) sono molto precise e restituiscono con maestria il clima di quegli anni.

Poi, dulcis in fundo (stavo per scrivere last but non least, ma quanto è più bello il latino?) una storia davvero accattivante; Dario Corbo, un giornalista di mezza età dalla vita mezzo rovinata per colpa sia sua che delle circostanze si ritrova suo malgrado a indagare di nuovo su un caso di omicidio dell'ormai lontano 1993, una ragazza barbaramente uccisa, almeno così si crede, dalla sua amica dell'epoca, Nora Beckford, figlia di un noto scultore inglese che vive in una tenuta sopra Pietrasanta; la Beckford, diciottenne tormentata, ninfomane e facente uso di droghe, alla fine di un lungo processo viene condannata a quindici anni di prigione, che sconta tutti; quando esce e il suo nome torna alla ribalta per una mostra delle opere del padre da lei stessa voluta e organizzata, il mondo del giornalismo si scatena, vuole riportare in auge la vicenda, tutto il solido squallido teatrino che ormai impera in prima serata sulle reti ammiraglie e in tutte le edicole; ma mentre Corbo, su istigazione di un pubblico ministero, si avvicina alla stessa Nora e inizia a condividerne la vita, strani eventi iniziano ad accadere e ben presto è chiaro che per qualcuno la storia non è ancora finita.

Non svelo altro perchè la trama si mantiene avvincente fino (quasi) alla fine, ma devo dire che questo libro mi ha francamente un poco spiazzato; ora, non è certo colpa di Simi che è senz'altro uno scrittore di talento, ma il ritratto che fa dell'Italia contemporanea e dei suoi abitanti è raggelante; come mi diceva mio nonno già una generazione fa nel suo cantilenante accento di Pian del voglio, "Oggi tutti ch'an tanta roba, ma nessuno che canta più per la strada"; i personaggi del romanzo, a partire da Corbo, la ex-moglie, il figlio, i colleghi giornalisti, la stessa Nora, sono personaggi chiusi in se stessi, nelle loro frustrazioni e nei loro fallimenti, si rincoglioniscono di nozioni e di tecnologia più per incasinarsi la vita che per semplificarsela, e alla fine la simpatia e l'empatia per questi personaggi finisce per essere pari allo zero; forse Simi voleva trasmettere proprio questo, ma i suoi personaggi (a partire dallo stesso Corbo) sono di un'antipatia tale che alla fine la più simpatica è Nora Beckford, che almeno ha un qualcosa per essere tormentata.

Anche l'estate che ci presenta l'autore è una stagione per niente piacevole, quasi violenta; afa, stress, affollamento, gente ancora più nervosa in vacanza che al lavoro, e devo dire che fa centro perchè, piacevole o meno che sia, questo libro rispecchia fin troppo bene ciò che (purtroppo) stiamo diventando. Almeno negli anni novanta si creavano ancora miracoli come "Anime salve" di De Andrè, oggi nemmeno quello. (A proposito, ho molto gradito le continue citazioni a questo album capolavoro, ma mamma mia quanto fa sempre trendy citare De Andrè appena possibile....)

L'intreccio giallo alla fine è abbastanza accessorio, e si risolve in modo non del tutto convincente; ma come ripeto i punti di forza del romanzo sono altri, e il libro è avvincente, pur se non divertente.

In ogni caso una cosa è certa; l'Italia e gli italiani, sia del 1993 che del 2016, ne escono con le ossa rotte e i sogni buttati a mare. E ormai davvero nessuno canta più, nemmeno a Pian del voglio.

lunedì 18 settembre 2017

"OMICIDIO A ROAD HILL HOUSE, OVVERO INVENZIONE E ROVINA DI UN DETECTIVE" DI KATE SUMMERSCALE.

L'età vittoriana, adesso più che mai, anche nel nostro paese, con i continui revival di Sherlock Holmes, Anne Perry autrice più venduta nei GM, riproposte di Wilkie Collins, della Braddon e di altri maestri del romanzo a tinte fosche, sta vivendo una specie di nuova giovinezza. In realtà come resistere a un'epoca ampiamente documentata dai suoi stessi contemporanei, piena di slancio positivista e di grandi innovazioni tecniche? fu il rinascimento Inglese, l'impero al massimo del suo fasto, un qualcosa di irripetibile.
E come ogni grande epoca, a partire dall'antico Egitto, l'immaginario collettivo ne ha ormai tenuto solo il buono, solo l'affascinante, tralasciando l'altra faccia della medaglia; di fronte alla piramide di Cheope o a San Pietro, chi se ne importa ormai dei braccianti e degli schiavi che morirono di stenti nel costruire queste opere immani? e così dell'epoca Vittoriana si è tenuto solo la grande letteratura, che spesso ne denunciava (a partire da  Dickens) le storture e le aberrazioni, ma ciò veniva fatto con tale maestria da rendere la miseria umana materia per romanzi estremamente appassionanti.



Kate Summerscale, invece, vuole mostrarci l'altro lato del giardino, e lo fa con quello che resta una delle migliori opere degli ultimi anni. E fortunatamente non scrive un romanzo, e nemmeno un romanzo-saggio, ma proprio un saggio, uno studio approfondito; dico fortunatamente perchè romanzare ulteriormente una materia già romanzesca di suo avrebbe finito per far apparire il tutto ridondante, mentre la ricostruzione puntigliosa (ma condotta con mano sempre leggera, mai questo libro infatti potrebbe definirsi un mattone) lascia del tutto soddisfatti.

                                                                    Kate Summerscale

L'autrice esamina fin nei minimi particolari un fatto realmente accaduto nel 1860, ovvero il terribile omicidio del piccolo Saville Kent, ultimo nato di una famiglia benestante del villaggio di Road nel Whiltshire, trovato nelle latrine adiacenti la casa (una volta i bagni erano esterni alle abitazioni) quasi decapitato, in mezzo alla lordura. Un crimine particolarmente cruento ed efferato, e del tutto inspiegabile; perchè accanirsi con tale ferocia su un innocente pargolo di tre anni soltanto?
Delle indagini viene incaricato il grande detective Whicker, che servirà come modello di tanti investigatori della letteratura, su tutti il sergente Cuff de "La pietra di luna" di Wilkie Collins, romanzo scritto pochi anni dopo il caso Kent. Whicker, segugio onesto, sicuro di se ed estremamente coraggioso, spazza via le ipotesi più "di comodo" ovvero quelle di un tentativo di rapimento finito male, o di altre responsabilità di ignoti, finendo per puntare il dito verso la famiglia Kent, indagando sul passato del capofamiglia Saville, sulla di lui seconda moglie, ex bambinaia dei due figli più grandi, Constance e William, legati da un affetto morboso, e giungerà a una verità agghiacciante, che però non sarà accettata dalla morale dell'epoca; Freud non aveva ancora sconvolto il mondo, per cui la giuria giudica Whicker un pazzo e un insensato, determinandone appunto una repentina caduta.

Ma qual era questa verità sconvolgente?

 (ATTENZIONE, SPOILER; pur essendo un saggio su una storia ben nota potreste non volervi inficiare il piacere della scoperta)



 Ora, il caso Kent in Italia è poco conosciuto, ma nel Regno Unito il nome di Costance Kent è famoso quasi come quello di di Jack the ripper. Fu la stessa ragazza, infatti, qualche anno dopo il delitto, spinta da una crisi di coscienza, ad autoaccusarsi del crimine, precisando, senza mai ritrattare, di aver agito tutto da sola, di averlo fatto perchè odiava la matrigna. Questa confessione riabiliterà il nome di Whicker, ma non sarà mai creduta fino in fondo; troppi indizi fanno pensare che la ragazza non abbia agito da sola, che in realtà stia coprendo il fratello William, quasi sicuramente co-autore ma avviato a una brillante carriera da microbiologo; una sorella-amante innamorata, che sacrifica la sua vita per lui? fatto sta che si salva dall'impiccagione solo perchè minorenne all'epoca del delitto, e viene condannata a vari anni di carcere, che alla fine saranno 20 tondi. Quando esce, ormai 41enne, si ricongiunge al fratello in Tasmania dove lui risiede per delle ricerche connesse al suo lavoro, cambia nome e si diploma come infermiera, dove si distinguerà per zelo in numerose epidemie di tifo, espiando così la sua (presunta) grave colpa.

 L'autrice, infatti, non da soluzioni, lascia intendere ma senza sentenziare, quello che le preme è regalarci un affresco della mentalità dell'uomo vittoriano, affascinato dalle scoperte scientifiche e geografiche ma incapace di accettare le aberrazioni della mente, irrimediabilmente classista e moralmente represso.

Inoltre l'autrice regala anche sprazzi di cultura letteraria, analizzando (forse talvolta un poco superficialmente) capolavori della sensational novel come Il segreto di Lady Audley, la Pietra di luna, la Donna in bianco, Casa desolata, dove il lato oscuro dell'età Vittoriana è ben presente, elemento di fascino imperituro dove fascino, in realtà, non dovrebbe essercene; è forse stata questa la grande forza dell'immaginario british dell'epoca, rendere piacevole e divertente l'innominabile e il perverso ammantandolo di mistero e di pruderie.

mercoledì 19 luglio 2017

"POIROT" ANALISI DI UNA SERIE CAPOLAVORO.




Ormai da qualche anno, per me e mia moglie le serate d’autunno che si fanno fresche dopo il caldo terribile dell’estate, dell’Italia d’ottobre con le giornate più corte e la luce più tenue che inizia a somigliare all’Inghilterra, significa ricominciare a rivedere la maggior parte degli episodi della serie di Poirot con David Suchet.


                             La famosa sigla iniziale


Per me questo è un amore di vecchia data; era il natale del 1997 quando la DeAgostini pubblicò una nuova sfiziosa collana di vhs dal colore giallo vivo che presentava i film più famosi con Poirot protagonista (la prima uscita era Assassinio sull’Orient- express di Lumet, a cui seguiva Assassinio sul Nilo di Guilermin, e poi, esauriti i classici, questi telefilm della serie britannica della quale si sapeva poco o niente; ma ahimè non avevo i soldi per seguire la collana, e aspettai alcuni anni quando la serie venne riproposta, con un nuovo doppiaggio e miglior cura editoriale, dalla Malavasi editore, che tuttora ne detiene i diritti; quella collana la collezionai tutta in dvd, e li custodisco ancora gelosamente. Col passare degli anni ho contagiato con la mia passione anche mia moglie,  e come detto per noi Poirot è diventato una vera e propria tradizione nelle sere fredde da divano e copertina di lana (che nostalgia, con questo caldo..).
Alcuni episodi li conosciamo ormai a memoria, tanto da anticiparne le battute, ma ormai è come la partita di scacchi o di domino alla sera; la si fa per assaporarne il puro piacere, come il ritrovare di vecchi e cari amici che sanno sempre farti stare bene.

Perché il miracolo di questa serie televisiva Inglese targata ITV, andata in onda dal 1989 al 2013 per un totale di 13 stagioni non consecutive, è proprio questo; riuscire a creare un’empatia assoluta con lo spettatore attraverso la simpatia dei personaggi e la bellezza del paesaggio inglese, riuscendo a far passare in secondo piano le trame ridotte in modo sempre troppo semplicistico rispetto all’originale; perché, come sostengo da sempre, è quasi impossibile tradurre sullo schermo Agatha Christie, perché le sue storie e gli indizi che semina sono troppo legati alla parola scritta, con l’immagine perdono efficacia e risultano prevedibili; occultare un indizio alla mente di un lettore è più agevole, occultarlo agli occhi diventa troppo complicato, e alcuni romanzi e racconti brevi che risultano dei veri rompicapo, trasposti diventano spesso scontati.
Ma la serie di Poirot ha avuto molte vite, molte differenti sfumature;  in 24 anni la televisione ha fatto progressi enormi, i telefilm ormai sono considerati una forma d’arte sulla quale investire soldi e grandi attori, e chi vede un Poirot dell’ultima stagione e subito dopo un episodio della prima stenta a credere che si tratti della stessa serie, tanto l’episodio del 1989 potrebbe risultare lento, semplicistico, girato alla buona; datato, in una parola.
Ma un elemento è rimasto inalterato dalla prima all’ultima puntata, e ne ha decretato innegabilmente il successo; l’interprete del personaggio Poirot, ovvero il grande attore David Suchet. Britannico, classe 1946, già raffinato attore teatrale con diversi film al suo attivo (in un film del 1985 tratto da “Carte in tavola”, con Peter Ustinov come Poirot, Suchet per ironia della sorte vi interpreta…l’ispettore Japp!) Suchet riesce nel miracolo di DIVENTARE Poirot, interpretando il personaggio con una tale aderenza da oscurare tutti coloro che lo hanno fatto prima e lo faranno poi (qualcuno, dopo Suchet, avrà il coraggio di interpretare l’investigatore Belga? Forse tra qualche decennio…) e imponendosi nell’immaginario collettivo di miliori di spettatori entusiasti.




                Philip Jackson, Davis Suchet, Pauline Moran e Hugh Fraser


E azzeccati sono anche gli altri interpreti; se Hugh Fraser è un Hastings magnifico che con Suchet forma un binomio praticamente perfetto, i personaggi di Japp e soprattutto della segretaria Miss Lemon, presenti molto di rado e molto defilati nell’opera della Christie, qui acquistano spessore e simpatia; Japp è il simpatico baffone Philip Jackson, mentre Miss Lemon, che serve a dare un tocco di leggerezza alle sequenze ambientate nell’appartamento di Poirot (ma talvolta partecipa attivamente alle indagini) è una bravissima Pauline Moran.
Un altro personaggio fisso delle ultime stagioni   (e dei romanzi della maturità della Christie), l’alter ego dell’autrice Ariadne Oliver, è interpretato in maniera impareggiabile da una grande Zoe Wanamaker, attrice notissima in patria e da noi ricordata soprattutto per essere la Madama Bumb dei film di Harry Potter.


                         David Suchet e Zoe Wanamaker


Ma tutti gli interpreti sono caratteristi ottimi e soprattutto facce giustissime per la storia che si rappresenta; la cura dei dettagli, dei costumi e dei paesaggi, che nelle ultime stagioni sarà addirittura maniacale, è sempre stata uno dei punti di forza della serie. E le sequenze  più rilassate, con Poirot e Hastings che giocano a carte o al Monopoly,  sono rese con grande maestria, e l’empatia coi personaggi è ai massimi livelli, tanto vorresti essere li con loro. E poi ricordiamo le voci italiane davvero sopraffine, precisamente di Eugenio Marinelli (Poirot) e Luigi la Monica (Hastings).
Come detto, la serie si sviluppa attraverso un periodo temporale abbastanza ampio, e vive molte vite; per comodità possiamo dividerla in due fasi, ovvero quella 1989 – 1993 nella quale uscirono molti episodi di 45 minuti tratti da racconti brevi (e qualche lungometraggio, ma come un’eccezione) e quella dal 1997 in poi dove invece si sono filmati i romanzi, con meno episodi ma che sono dei veri e propri lungometraggi, che vanno dai 90 ai 104 minuti di durata, dove pian piano si abbandonano tutti i luoghi comuni della serie compresi comprimari come  Japp e Miss Lemon, e con Hastings che compare solo nei film tratti dai romanzi nel quale è effettivamente coprotagonista, per ottenere prodotti più validi artisticamente anche se più freddi e asettici, come sottolineeremo più avanti.

Innanzitutto, una precisazione; è stato filmato praticamente tutto il corpus scritto da Agatha Christie con Poirot protgonista, sia con che senza Hastings; i lavori che non sono stati trasposti sono due racconti brevi, “L’eredità dei Lemesurier” ed è un peccato perché da questo bel racconto si poteva trarre un episodio coi fiocchi, ma forse il tema “forte” ( SPOILER; un padre che vuole uccidere il figlio piccolo) lo ha reso infilmabile, e “Il mistero di Market Basing” non un racconto dei più memorabili. E anche della raccolta “Le fatiche di Hercule” è stato fatto un lungometraggio nel 2013 nel quale si cerca di legare tra loro, in maniera  poco riuscita, alcuni dei 12 racconti dell’antologia, che però andava, per lo spessore delle trame, filmata episodio per episodio.
In ogni caso i romanzi ci sono tutti, compreso “Sipario” ovviamente uscito per ultimo e nel quale si assiste al toccante congedo di Poirot (e di Suchet stesso, che non interpreterà più il personaggio) dagli spettatori.

Gli episodi brevi sono in totale 36, tutti distribuiti, come detto, nelle prime 5 stagioni. La quarta stagione vedrà solo lungometraggi, mentre nelle prime tre i film lunghi sono soltanto due, anche se di ottima fattura, ovvero “Il pericolo senza nome” e “Poirot a Styles court” primo romanzo della Christie con Poirot che purtroppo non è stato anche il primo a essere filmato. (Per consultare gli episodi uno ad uno vi rimando alla ottima pagina Wikipedia apposita, con la lista completa degli episodi della serie)
I lungometraggi sono invece in totale34, pari pari i romanzi dell’autrice con Poirot; in totale, quindi, la serie si compone di settanta episodi.
Si è parlato di prime stagioni naif, poi di un telefilm sempre più ambizioso, che nelle ultime stagioni è diventato vero e proprio cinema di serie A, anche con grandi attori americani (Ricordiano tra gli altri Elliott Gould, Barbara Hershey, Jessica Chastain), due fasi nettamente distinte; io preferisco di gran lunga quella naif, i primi leggendari episodi, perché appunto viene preservato intatto non tanto le trame (a volte modificate inserendo un inseguimento, una lotta, una storia d’amore) ma lo spirito, l’atmosfera trasmessa dai libri;  si vive sullo schermo quello che si vive tra le pagine. Mentre invece le stagioni più recenti presentano prodotti come detto più professionali ma asettici e oltretutto con inserimenti del tutto estranei all’opera e al pensiero della Christie; caso più eclatante la disastrosa trasposizione di “Assassinio sull’orient-express” dove forse per non realizzare un prodotto troppo epigonale al capolavoro di Lumet del 1975 si è puntato su un Poirot in piena crisi di coscienza, serio, tirato, maschera quasi tragica, che contrasta in modo stridente col Poirot sempre sicuro di se fino all’arroganza, che manda gente sulla forca (o la perdona, come in Orient-Express) senza avere il minimo scrupolo di coscienza; questo è il classico film della serie che non riuscirei mai ad apprezzare, ma mi rendo conto che ad altri possa piacere molto, infatti, in questi tempi di Sherlock targato BBC dove ormai si spinge solo sul pedale dell’acceleratore e si procede per accumuli, le prime stagioni possono risultare del tutto inguardabili. Ma per chi, come me, è un “Poirottiano” della prima ora, ed è legato ai primi episodi, non può che gradire di più questi ultimi.
A ognuno il suo Poirot, quindi, ma io rimango un “naivete” convinto, pur apprezzando moltissimo anche alcuni degli ultimi episodi.
Per un neofita che si approcci adesso alla serie (ricordo che la serie viene trasmessa ogni sabato pomeriggio su Rete4 dalle 16 e 45 in poi, a ciclo continio; adesso è ripresa da poco, siamo al quarto episodio della prima stagione, potrebbe essere una buona occasione per riviverla dall’inizio) i titoli per me imperdibili  del primo periodo sono “Accadde in cornovaglia” , “Il pericolo senza nome”, “Poirot a Styles court” (con una campagna dell’Essex splendidamente filmata) “Doppia colpa”, “La miniera perduta”, “Doppio indizio” (con la quasi love-story tra Poirot e la contessa Vera Rossakoff, molto più esplicita che nel racconto omonimo) “La serie infernale” (dove il binomio Poirot – Hastings funziona a meraviglia) e “Aiuto Poirot” (con la memorabile love story di Hastings) mentre delle ultime stagioni consiglio caldamente “Tragedia in tre atti” (un vero gioiello, splendidamente diretto e interpretato) “Se morisse mio marito”, “Poirot e la strage degli innocenti”, “Sfida a Poirot”, “La sagra del delitto” e “Gli elefanti hanno buona memoria”, questi ultimi quattro titoli quasi più gradevoli e appassionanti dei romanzi stessi.

 E anche l’ultimo episodio “Sipario” pur con qualche esagerazione melodrammatica è molto ben fatto e conclude degnamente la serie, oltre a vedere il ritorno di  Hugh Fraser nei panni di un incanutito Hastings; sarà difficile trattenere una lacrimuccia a visione ultimata, e anche a me, devo dire, è scappata, pensando soprattutto a quel ragazzino che quasi vent’anni prima metteva da parte i soldini per comprarsi (quando ci riusciva..) quelle mitiche vhs tutte gialle.

giovedì 13 luglio 2017

JANE AUSTEN, OVVERO…UNA GRANDE GIALLISTA MANCATA?



Ormai tanti anni fa, in seconda media, la prof dell’epoca ci dette da scegliere un libro a piacere dalla piccola biblioteca scolastica. Io mi fiondai subito sul Gordon Pym di Poe (e chiamami bischero…), ma fui incuriosito dalla scelta di una mia compagniuccia che puntò senza esitazioni su un oscar Mondadori dalla copertina elegante, dal titolo stuzzicante “Orgoglio e pregiudizio” intrigante per il suo stesso significato arcano, perché sapevo a malapena cosa volesse dire orgoglio e non conoscevo affatto il termine “pregiudizio” (poi tutti noi  lo abbiamo imparato anche troppo bene…) però pensavo (e pensava anche la  mia amica) che fosse un romanzo storico-avventuroso. Qualche giorno dopo le chiesi lumi, e lei con aria perplessa rispose “Beh, è scritto bene, ma…non succede niente. Però, davvero, mi sembra proprio scritto bene” Questo giudizio ebbe il potere di allontanarmi dalla scrittrice per tutta l’adolescenza, e dei grandi autori Inglesi l’ho scoperta per ultima, nei primi mesi in cui frequentavo la mia attuale moglie, che lo aveva letto e me lo consigliò senza esitazioni.



Approfittando di uno sconto, presi le edizioni economiche di “Ragione e sentimento”, “Emma” e appunto “Orgoglio e pregiudizio”; e siccome avevo apprezzato già opere nelle quali “non accadeva niente” dal punto di vista avventuroso, quei libri furono un vero piacere, anche se non scoccò subito la scintilla; è stata alla seconda rilettura che ho capito di quanto Pride and prejudice fosse un capolavoro assoluto, un libro degno di stare accanto ai migliori di ogni tempo.
E ora che, recentemente, mi sono letto il delizioso “Northanger abbey”  tra un giallo e l’altro, mi è venuto da pensare; ma che GRANDISSIMA giallista poteva essere Jane Austen?
A quel punto la fantasia ha cominciato a galoppare; se invece di morire prematuramente a soli 42 anni avesse goduto di ottima salute per altrettanti, come si sarebbe evoluta la sua scrittura? Avrebbe proseguito la strada di “Persuasione” verso opere più autunnali e intimistiche, oppure sarebbe stata attratta dal romanzo più di consumo, verso la serialità, verso i feuilleton Dumasiani e Dickensiani? Interrogativi che rimarranno senza risposta, ma in ogni caso una cosa è certa; ci furono autrici che grazie al “Metodo Jane Austen” scrissero i più grandi gialli di tutti i tempi.
E che cosa sarebbe, questo metodo Austen? Una scrittura leggera come la seta ma resistente come l’acciaio, sempre chiara e fluida, che riesca ad avvincere il lettore raccontando di persone attorno a un tavolo da tè, o a un ballo. Una leggerezza, peraltro, assolutamente inedita prima in quel periodo di romanzi filosofici geniali ma non certo scorrevoli. John Dickson Carr, che era un grandissimo ma non aveva ne leggerezza ne scorrevolezza, nel suo capolavoro  “L’automa” fa pronunciare al protagonista un’invettiva contro la Austen e le scrittrici “da femmine” in favore degli autori di romanzi avventurosi, commettendo un peccato mortale, perché Jane Austen fu la maestra di calibri massimi nella storia del genere.
Cominciamo dalla regina di esse, Agatha Christie; cosa sono molti suoi romanzi, specialmente quelli con Miss Marple, se non dei veri e propri romanzi Austeniani con delitto? Prendiamone tre emblematici, ovvero “La morte nel villaggio” del 1930, “Un delitto avrà luogo” del 1950 e “Istantanea di un delitto” del 1956; tre libri che raccontano l’Inghilterra provinciale, i villaggetti e i vicariati, i ricevimenti e le visite di cortesia, tutto un mondo genuinamente Austeniano reso con una scrittura praticamente identica, anche se ovviamente meno profonda, visto che dame Agatha era un’autrice programmatica che doveva far uscire un libro all’anno, mentre la Austen un’artista vera e propria non prigioniera (o almeno non quanto la Christie) di editor, agenti e contratti milionari.
Un’autrice spesso definita “La Jane Austen del ventesimo secolo”, ovvero Georgette Heyer, non solo riprese pari pari le ambientazione regency diventate di culto dopo la riscoperta della Austen in patria per ambientarvi alcune tra le più deliziose storie sentimentali del novecento, ma – è un caso direte voi? – scrisse anche dei veri e propri gialli, ben 12, scritti sempre garbati e raffinati (specialmente il primo “Passi nel buio” presenta smaccate somiglianze con Northanger Abbey)  con in più l’elemento poliziesco; visto che una scrittura saporitamente Austeniana porta di per se a scrivere dei mystery?
Anche Josephine Tey, forse la più raffinata giallista di sempre assieme alla Allingham (ma sempre avvincente, al contrario di quest’ultima che o è grandissima o è tediosa) presenta in certi suoi libri un’architettura tipicamente Austeniana; basta rileggere certe scene salottiere scritte in punta di penna ne “La strana scomparsa di Leslie” per capire quanto la Tey avesse fatto tesoro della grande maestra.
Anche P.D. James, nel suo ultimo romanzo prima della scomparsa “Morte a Pemberley” immagina un seguito in salsa poliziesca di Orgoglio e pregiudizio, con Elizabeth e Darcy investigatori dilettanti; ma lo stile pesante e ampolloso della James è quanto di più diverso ci sia da quello Austeniano, il contrasto è stridente, e tutta l’operazione ben poco riuscita.
Ma, a mio modesto parere, la scrittrice che si avvicina di più alla Austen come stile ma anche come spessore è Dorothy Sayers. Questa letterata tout court, che tradusse Dante e scriveva gialli un poco per soldi e un poco per autentico piacere personale, ha in comune con la Austen un particolare non da poco; era una vera artista, che non scendeva a compromessi con il lettore; leggere la Sayers nei suoi romanzi meno riusciti è una bella esperienza ma anche la classica montagna da scalare con la fatica che a tratti occulta il mero piacere della lettura, mentre la Sayers dei capolavori è veramente una delle espressioni più alte del novecento inglese e un puro godimento  per il lettore.
Prendiamo quello che a mio avviso è il suo romanzo più Austeniano, ovvero “Lord Peter e l’altro”; Austeniano non tanto nell’ambientazione (Londra e il mondo del giornalismo) quanto nelle dinamiche sociali e nella viva rappresentazione di un mondo contemporaneo fortemente caratterizzato e colto alla perfezione fin nei minimi dettagli; per capire il periodo regency bisogna leggere la Austen, per capire l’inghilterra vittoriana va letto “Middlemarch” della Eliot, ma la chiave per l’inghilterra del novecento era nei romanzi della Sayers, che non scrisse a getto come altre gialliste, ma  era artista anche in questo, scriveva libri accuratissimi nei quali racchiudeva un mondo e quando la sua vena si inaridì non continuò col pilota automatico come la Christie  ma passò ad altro, con coerenza appunto da autrice vera.
Ma la Austen non ebbe il tempo di avere crisi creative ne di scrivere romanzi alimentari, perché una malattia (a quanto pare il morbo di Addison, allora sconosciuto) se la portò via ancora giovane, esattamente due secoli or sono; e proprio ieri, in edicola, è uscito con Repubblica e l’espresso il primo romanzo(Ragione  e sentimento) di una simpatica collana che a un prezzo popolare (5,90 a volume, il prezzo di un giallo Mondadori) propone tutto il corpus dell’autrice, compresi l’incompiuto Sanditon, le lettere e una biografia scritta dal nipote che attualmente risulta difficile reperire in libreria. Io sono fortemente tentato (ho già preso il primo), visto anche le traduzioni a quanto pare riprese da Mondadori, recenti e ben fatte, di farmi una collezione Austen “In tinta unita”, anche se poi leggo più volentieri le opere dell’autrice in inverno davanti a una tazza di tè piuttosto che con questo caldo micidiale; ma i libri, per fortuna, non hanno scadenza.


E mentre rileggerò, continuerò a chiedermelo; ma che grande, che arguta e finissima giallista sarebbe stata  Jane Austen?