Il
compianto Dino Buzzati è uno dei letterati Italiani del secolo scorso che più
mi è caro, per parecchi motivi; è stato uno dei pochi a rompere gli schemi
dell’asfittica letteratura del tempo votata principalmente al realismo, e soprattutto
non si è mai fatto problemi nell’elogiare la cosiddetta letteratura popolare;
grande estimatore di fantascienza e horror, cultore di fumetti Disney e in
particolare di Carl Barks (famosa la sua splendida prefazione all’Oscar
Mondadori Vita e dollari di Paperon de Paperoni, prima raccolta organica
realizzata in Italia delle storie del genio dell’Oregon) questa passione per il
fantastico e le tinte forti si ritrova anche nei suoi racconti più giustamente
famosi, da “Sette piani” a “Il colombre” fino all’agghiacciante “Il sogno della
scala”, uno dei miei preferiti, nel quale un uomo vede pian piano svanire la
lunga scalinata che sta salendo.
I
suoi romanzi furono pochi, ma sempre di grande effetto; e se il suo più famoso
è senz’altro “Il deserto dei tartari” quello che però sento più mio e a cui
sono più affezionato è senz’altro “Un amore” romanzo del 1963 che a detta di
tutti è il suo capolavoro “Realistico” ma che, dopo una terza rilettura, il
sottoscritto reputa a tutti gli effetti un vero e proprio noir alla James Cain,
che del genere ha dato forse gli esempi più alti, lucidi e disperati; da “Il
postino suona sempre due volte” a “La fiamma del peccato” , per proseguire con
“Serenata” e fino a “Mildred pierce” , i capolavori si sprecano, e mi piace immaginare
che Buzzati li avesse bene in mente quando stese il suo romanzo.
Parliamo,
appunto, di questo “Un amore”. Nella suggestiva cornice di una Milano alle
soglie del boom economico, città già proiettata verso un luminoso futuro ma non
ancora metropoli o “da bere” (Le
descrizioni dei vecchi quartieri pian piano fagocitati dalla ristrutturazione
edilizia sono un vero documento d’epoca, oltre che estremamente emozionanti) si
consuma il dramma di Antonio Dorigo, cinquantenne pubblicitario di successo che
perde pian piano ma inesorabilmente la testa per una giovane prostituta
diciottenne, Adelaide detta Laide, fino a diventare consapevolmente suo
schiavo, scendendo tutta la scala della degradazione morale.
Il
romanzo inizia quasi in sordina, coi loro incontri clandestini nella
sartoria-casa d’appuntamenti di madama Ermelina (la legge Merlin che sancì la
fine delle case chiuse legalizzate era stata da poco approvata) Dorigo è un
tipico uomo del boom, arido e pragmatico, che guadagna bene col suo lavoro, si
permette settimane bianche e incontri con prostitute. Paradossalmente, Laide
(che in Francese peraltro significa “brutta”, e credo che con ciò l’autore
voglia descriverla in un solo aggettivo) non è nemmeno una ragazza per cui vale
la pena perdersi; creatura di rara sgradevolezza, sgarbata, ignorante e di una meschinità
troppo esemplare per non essere autentica, per giunta nemmeno bellissima, ha
solo un fascino ambiguo quasi da bambina (e qui si va sul perturbante, in
quanto si può immaginare una pedofilia latente da parte di Dorigo…) e la
furbizia della cortigiana che considera da stupide lavorare quando con meno
fatica si può guadagnare il triplo. Laide, bugiarda nel sangue, non arretra
davanti a niente; non esita a farsi accompagnare da altri clienti o amanti da
Dorigo, si inventa scuse sempre meno plausibili per giustificare le sue
assenze, è sempre maligna e imbronciata, incapace di qualsiasi tenerezza. Nel
corso del romanzo, Dorigo viene a sapere verità sempre più sconvolgenti; Laide posa per foto pornografiche, eccelle
in pratiche “proibite”, addirittura viene fatto capire che si prostituisce
anche con donne (Cosa, per l’Italiano medio del tempo, oltre ogni
immaginazione) ;ma Dorigo, proprio come gli antieroi di Cain, più è cornuto e
mazziato e più si innamora follemente e si degrada fino al parossismo,
rifiutando in blocco la realtà delle cose, e finendo per ricordare l’assurdo protagonista de “La ballata
dell’amore cieco” di De Andrè. Certo, Laide non chiederà a Dorigo di uccidere
qualcuno, “solo” di uccidere se stesso; manca l’elemento strettamente criminale
quindi, ma il pathos di una vita che lentamente si brucia a causa questa
improbabile e francamente ripugnante dark lady (avesse almeno il fascino di una
Lana Turner o di una Barbara Stanwyck…)
è appunto degno dei migliori neri Americani.
E
anche il finale, confuso e sfuggente, non fa che amplificare la dimensione
desolante in cui il protagonista è precipitato; Laide vuole tenerlo a se,
sembra aver capito i suoi errori, sembra decisa a cambiare vita e gli dice
addirittura di aspettare un figlio da lui; tutto rimane in sospeso, chi ci
vuole credere ci creda sembra voglia dirci Buzzati, ma il lettore smaliziato
non può fare a meno di pensare che questo non sia altro che l’ennesimo inganno
della perfida ragazza, che il figlio è di chissà chi altro, e possiamo
immaginare per Dorigo solo altri dolori, altre umiliazioni, e perché no, anche
un epilogo tragico, alla Cain appunto; dove c’è degrado e disperazione il
delitto germoglia quasi di conseguenza, come un seme malefico.
Insomma,
questo romanzo di Buzzati è non solo un capolavoro della letteratura Italiana
“seria” ma anche un grande noir, teso e
coinvolgente, che anticipa tutta la grande stagione della Milano violenta di
Scerbanenco; per descrivere l’orrore metropolitano e la solitudine umana non
sempre servono il sangue e le pistole.
L'ho letto ormai molti anni fa, quasi una trentina...e ricordo di averlo molto apprezzato, soprattutto per il ritratto di un uomo nei cui tratti psicologici riconoscevo, sia pure in misura minore fortunatamente, alcuni dei miei.
RispondiEliminaLo dovrei rileggere.
Però da quella lontana lettura Laide non la ricordo così ripugnante, fisicamente...mi sembra di rammentare che Buzzati, descrivendola, la paragoni a una Madonna di Antonello da Messina.
Ciao,
RispondiEliminaOvviamente la "bruttezza" di laide è interiore, caratteriale, e la sua meschinità finisce per influire anche sul suo sguardo, sempre accigliato e quindi imbruttito. Poi va da se che una prostituta d'alto bordo sia attraente, almeno fisicamente. In ogni caso ti consiglio la rilettura, è un libro sorprendente.