Ci sono degli autori che somigliano solo a se
stessi.Unici e inimitabili, che creano un genere tutto loro, e che spesso, col
passare delle generazioni, vengono relegati nel grande limbo dei cari estinti,
in quanto troppo strani, troppo difficili perché gli editori abbiano il coraggio
di riproporli al lettore d’oggi. Per fortuna che case editrici come Adelphi
hanno ancora (chissà per quanto…) il coraggio di ristampare questi cani sciolti
della letteratura, questi libri strani ed enigmatici che creano un genere a se
stante; quello del fantastico puro, in cui, pur in un contesto reale, tutto può
accadere.
Assieme a Lernet Holenia, Gustav Meyrink, Urzidil e
pochissimi altri, il maggior esponente di questa corrente letteraria
sviluppatasi soprattutto nella Mitteleuropa dei primi decenni del secolo scorso
è stato sicuramente Leo Perutz, ebreo Praghese dalla vita errabonda, finissimo
narratore ma anche insigne matematico, dualismo che si fa evidente nei suoi
libri, fantasiosi ma anche rigorosi come teoremi, dove pur restando nei limiti
dell’assurdo tutto torna, tutto è spiegato. Perutz venne definito “Il risultato
di una scappatella di Franz Kafka con Agatha Christie” ma forse non è vero,
visto che della Christie l’autore ha poco o nulla; i suoi intrecci ricordano
più i Thriller Hitchcockiani e le atmosfere alla Dickson Carr, ma giustamente
Kafka, se anche fosse stato più tombeur du femmes di quel che era, non avrebbe
potuto metterli incinta, per cui la definizione, seppur forzata, può starci.
Di Perutz, che prima della ripubblicazione in Adelphi
era assai difficile da recuperare, ho letto con sommo diletto “Dalle nove alle
nove” Thriller al cardiopalma (adorato da Hitchcock, che avrebbe voluto
filmarlo) in cui un uomo di mezza età vaga per una Vienna spettrale compiendo una serie di azioni assurde e prive
di senso per un motivo del tutto imponderabile ( se vi interessa, leggetelo
senza approfondire in rete, visto che quasi tutti lo spoilerano) oppure “Tempo
di spettri” ,ossessionante caccia all’uomo per mezza Europa con beffa finale,
oppure le suggestive leggende fantastiche Praghesi narrate in “Di notte sotto
il ponte di pietra” ; ma tutti i Perutz meritano, per un motivo o per l’altro.
Per chi scrive (non li ho letti ancora tutti) il libro
dell’autore più bello e affascinante è però “Il maestro del giudizio
universale” romanzo del 1923 ambientato però nel 1909 in una Vienna ancora da
Belle epoque, permeata però da presagi di guerra, di catastrofe.
Riassumere il libro è impresa ardua se non improba; si
svolge tutto nel giro di qualche giorno, tra pochi personaggi, e se la prima
parte è un dramma da camera la seconda è un enigma di stampo Carriano sempre
più inquietante e con una soluzione che viola qualsiasi legge scritta e non
scritta del poliziesco classico, ma che è altamente suggestiva e non toglie al
libro di essere considerato uno dei gialli più strani e suggestivi di sempre.
Si, giallo a tutti gli effetti, anche perché, come ho
scoperto dopo aver letto l’edizione Adelphi, il romanzo era già stato
pubblicato nientemento che nella collezione dei libri gialli Mondadori, ossia è
la palmina numero 30; mi piacerebbe sapere chi fu al tempo l’editor così bravo
e lungimirante da includere questo titolo (uno dei pochissimi di autori non
Anglofoni e Italiani) nella leggendaria collana, forse Alberto Tedeschi o forse
no, ma in ogni caso era qualcuno che sapeva il fatto suo; leggere questo libro
nel 1931 deve aver procurato all’Italiano provinciale e privato di forti
emozioni dell’Italia fascista del tempo dei brividi davvero notevoli.
Copertina di Abbey per l'edizione nei libri gialli (fonte; sito fantascienza.com)
La storia, in soldoni, è questa; nella villa Viennese
dell’attore in declino Eugen Bishoff si ritrovano per una serata a tema
musicale il Barone von Yosh, indolente ufficiale segnato dalla guerra
Russo-Giapponese del 1904, L’ingegner Solgrub, affascinante ma antipatico e
scostante, lo stralunato e gnomesco dottor Gorsky e la bellissima Dina, moglie
di Bishoff, che in passato era stata l’amante del Barone. A un certo punto
arriva anche Felix, il fratello di Dina, che odia il barone per l’affronto
all’onore della sorella. In questa compagnia male assortita la serata procede a
fatica, tra frecciatine e rancori mal sopiti; a un certo punto Bishoff racconta
alla compagnia una strana storia di due inspiegabili suicidi di due giovani
ufficiali, persone normalissime che di colpo sono completamente impazziti e
senza alcun motivo si sono tolti la vita, così di punto in bianco. L’attore
annuncia di essere vicino alla spiegazione di quell’assurdo mistero, ma alla
fine della serata, mentre si ritira nelle sue stanze per provare una nuova
parte, si getta dalla finestra, anche lui senza alcun motivo apparente. Prima
di spirare, farfuglia di un uomo
gigantesco dall’aspetto mostruoso che parla Italiano, e di un misterioso
maestro del giudizio universale.
Da qui il barone, che sulle prime vuole fuggire in
quanto accusato dal rancoroso Felix di aver spinto Bishoff al suicidio per poi poter
sposare Dina, intraprende invece una strana e tortuosa indagine, che porta a
una soluzione talmente imprevedibile da non essere nemmeno ipotizzabile, e per
questo il libro è da gustarsi così com’è, senza tentare di capirci qualcosa;
solo in questo modo la lettura di questo seducente e stralunato capolavoro
potrà essere apprezzata appieno, come tutti gli altri romanzi del geniale
romanziere Praghese. Una lettura veloce, leggera, che Bertolt Brecht, che in
altre occasioni spese parole al miele per il poliziesco e per Edgar wallace in
particolare, definì troppo frettolosamente “una buona lettura per viaggi in
treno”; ma una lettura anche profonda, metafisica e sottilmente inquietante, e
che una volta terminata lascia attoniti e felici, come tutti i migliori romanzi
non solo polizieschi.
Amo l'attenzione che Adelphi riserva alla lettura mitteleuropea, e sono certa che prima o poi leggerò pure questo libro - anche perché vorrei leggerli tutti, gli Adelphi. Ma questa è un'altra storia :)
RispondiEliminaSi, concordo con te che moltissimi titoli Adelphi sono notevoli, ma non li vorrei tutti neanche se me li regalassero ;) perché a dirti la verità la casa editrice pubblica anche dei mattoni sopravvalutati e autocompiaciuti che diventano libri di valore solo perché "li pubblica Adelphi", e questo snobismo autoalimentato dalla casa editrice stessa l'ho sempre trovato fastidioso. Anche di Mitteleuropei ce ne sono di ottimi, ma ad esempio molte delle opere di Marai e di Kundera sono sopravvalutatissime, a 20 anni li ho letti tutti e alcuni li ho proprio trovati bruttini. Ma per quanto riguarda i Perutz concordo, sono da prendere tutti.
RispondiEliminaEugen Bischoff non si getta dalla finestra, ma si uccide con un colpo di pistola.
RispondiElimina