Diciamoci la verità; chi di noi almeno una volta, fin
da bambino, non si è lasciato affascinare da uno dei mondi perduti più citati e
sfruttati dall’immaginario collettivo come l’antico Egitto delle piramidi, dei
Faraoni e delle bellissime Principesse? Tutte le forme di narrativa possibili, dalla
letteratura al cinema fino ai cartoni animati, hanno sfruttato il filone. Ogni
grande eroe dei fumetti vi ha avuto a che fare (perfino Tex Willer, perché
l’antico Egitto si esporta anche nel far west, zero problemi) e come vedremo
quasi ogni giallista classico.
Innanzitutto, va detto, il sotto filone Egiziano è
tuttora vivo e vegeto nella letteratura d’evasione contemporanea. Ovviamente
viene subito alla mente il ciclo di romanzi di ELizabeth Peters con la sua
intrepida Indiana Jones in gonnella Amelia Peabody, che col marito Radcliffe sarà
protagonista di godibili vicende ambientate nell’Egitto di fine ottocento,
all’epoca terra di conquista sia di archeologi che di volgari tombaroli. Molto
note anche le avventure del giudice Amerotke, nate dalla penna dell’eclettico
Paul Doherty, maestro del giallo storico contemporaneo.
Grande successo ebbe, negli anni novanta, la trilogia
thriller “Keophs” di Christian Jacq, già autore del fortunatissimo ciclo di
Ramses, una delle mie letture preferite dell’adolescenza.
Anche Wilbur Smith, il titano dell’avventura
contemporanea (anche se da parecchi anni ormai non ne imbrocca mezza) non ha
resistito al fascino delle piramidi, regalandoci libri memorabili come “Il Dio
del fiume” e soprattutto “Il settimo papiro”, bellissima spedizione senza
esclusione di colpi per ritrovare una
tomba perduta lungo il Nilo, un libro
che ai tempi mi folgorò e che davvero dovrei rileggere, perché merita. Insomma,
un successo che non conosce requie, anche se a noi interessa la sua variante “gialla”.
Per chi scrive, il romanzo che ha dato il “La” alla
fascinazione dei Britannici per l’antico Egitto è stato un libro non eccelso e carente nello stile (come molte
opere dell’autore, purtroppo) ma imitato a oltranza di Bram Stoker, ovvero “Il gioiello delle
sette stelle”. Il libro è una delirante avventura a metà tra l’horror e il
fantasy, con una antica e malvagia Dea, che
dopo essersi risvegliata durante un’incauta spedizione archeologica cerca di
reincarnarsi nel corpo di una dolce fanciulla, figlia dello scienziato he
comanda la spedizione. Temo che ormai, viste le numerose varianti, la storia
abbia perso mordente per il lettore odierno, ma indubbiamente rappresenta alla perfezione tutto il bagaglio
di questo particolare filone; statuette e mummie che si animano di notte nei
musei e nelle facoltà accademiche, misteriosi e minacciosi stranieri che
cercano di riappropriarsi del maltolto (e giustamente, visto che spesso gli
archeologi non andavano per il sottile), ragazze dalla pelle olivastra e gli
occhi viola che si aggirano furtive per saloni e strade buie, omicidi rituali e
strane iscrizioni; i migliori romanzi
“Egiziani” sono ambientati a Londra e dintorni, ovviamente compare spesso il British museum (La sala egizia fu filmata
anche da Hitchcock nello splendido finale di Blackmail, il suo primo film
sonoro) ma in ogni caso Musei, Atenei, isolate magioni di campagna, vicoli bui
e fetidi Docks sono l’ambiente eterogeneo quanto naturale per queste storie.
Il filone dell’ “Egyptian Mystery ” prese piede nei
primi anni del ventesimo secolo, e quasi tutti gli addetti ai lavori colorarono
di sfumature Egiziane alcuni loro lavori; da Fergus Hume (L’uomo dai capelli
rossi) a Sax Rohmer (che nel divertente ma involontariamente ridicolo “Occhi
nel buio” mette in scena tutti i cliches del mistero Egizio sconfinando
goffamente nel soprannaturale), passando per John Dickson Carr (L’arte di
uccidere) e per finire ovviamente ad Agatha Christie, che dell’Egitto aveva una
conoscenza di prima mano, grazie ai viaggi compiuti col secondo marito
archeologo Max Mallowan; citazione obbligatoria per Poirot sul Nilo, per il
graziosissimo racconto “La maledizione della tomba egizia” i cui Poirot e
Hastings condividono la vita degli archeologi, per finire a due opere che nell’antico
Egitto sono direttamente ambientate, ossia il famoso “C’era una volta” e un
misconosciuto dramma teatrale, “Nel regno di Akhenaton”, pubblicato nel secondo
volume di “Tutto il teatro di Agatha Christie”, quattro libri ormai introvabili
seppur pubblicati negli Oscar Mondadori solo nel decennio scorso, e che DEVONO
essere ristampati.
In ogni caso, il grande capolavoro dell’ Egyptian Mystery è e rimarrà “L’occhio di Osiride” di Richard Austin
Freeman, un romanzo eccezionale datato 1911 che la Polillo ha ripubblicato da
pochi giorni.
L'EDIZIONE DEI GEM
Secondo romanzo dell’autore dopo il convincente “L’impronta
scarlatta”, fu tradotto per la prima volta ( piuttosto tagliato, ahimè) da
Alberto Tedeschi, poi il giallo Mondadori lo rieditò nella collana dei “Grandi
del mistero” con una nuova traduzione Integrale di Laura Grimaldi, versione
riportata nel classico del giallo n. 759. E ora la Polillo, sempre in
traduzione Integrale di M. Dellatorre, rende comodamente disponibile in ogni
libreria questa pietra miliare del poliziesco, un romanzo anche importante,
oltre che bellissimo.
La forza del libro risiede nella perfetta convivenza di
tre fattori; un intrigo poliziesco che soddisferà anche i “duri e puri” dell’enigma
arzigogolato e contorto, delle bellissime descrizioni della Londra di inizio
Novecento degne del miglior Chesterton e una grande, vera e sentita storia d’amore,
mi azzarderei a dire la più bella di tutto il poliziesco, in quanto non è
invadente rispetto all’intreccio, ma si amalgama con esso, quasi a offrire
delle pause rilassanti in mezzo a un caso estremamente complesso. Non è come nei
romanzi della Heyer e della Eberhart ( ottime autrici, intendiamoci) nella
quale la Love Story “deve” esserci e spesso finisce per ridondare rispetto alla
trama, in questo l’occhio di Osiride tutto combina alla perfezione.
E, altra cosa non trascurabile, in questo romanzo l’antico
Egitto non è solo evocato o usato per creare suggestioni più o meno a buon
mercato, qui si dedicano intere pagine a questa antica e misteriosa civiltà, si
apprendono nozioni interessanti ( splendide le pagine ambientate al British
Museum, dove tra l’altro ha inizio l’idillio dei due giovani protagonisti) e
alla fine della lettura si sa un po di più di Antico Egitto, non moltissimo
certo, ma qualcosa si.
Raccontare la trama è praticamente impossibile, non mi
ci provo neanche; c’è un uomo, appassionato Egittologo, che è scomparso, un
complicatissimo testamento legato alla sua persona, due giovani che si
innamorano, il geniale Thorndike che indaga e risolve il caso in modo
spettacolare. Vi basti questo, tutto quello che potete fare è procurarvi il
libro e immergersi in un romanzo “totale” in quanto accontenterà i romantici
come il sottoscritto, coloro che vivono il poliziesco come una grande sfida
intelletuale e, infine, coloro che “semplicemente”
amano i libri scritti come Dio comanda.
Buona lettura.
"Artemidoro, Addio!"
RispondiEliminaLe parti ambientate nel british museum sono dolcissime e poetiche. Ma di questo romanzo ho amato tutto: l'intreccio giallo (anche se il colpo di scena finale è facilmente intuibile), la storia d'amore fra il dottorino e la figlia dell'egittologo, i dialoghi brillanti...
L'ho scoperto su tuo consiglio, quindi ti ringrazio.
I dialoghi davanti alla statua di Artemidoro sono una delle vette romantiche assolute del poliziesco, assolutamente imperdibili. Noterai come, contrariamente ad altri gialli recensiti, della trama dica poco o niente, proprio perché credo che sia un libro tutto da scoprire, perché in ogni pagina ci sono elementi interessanti. Certo, magari qualcuno potrà essere un poco annoiato dalla scena processuale a metà romanzo, o qualcun altro proprio dall'idillio sentimentale, ma credo che nessuno potrà dirsi scontento di un libro come questo.
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