Se, invece di parlare di libri letti sul momento, per questo blog avessi seguito il mio percorso di lettore di gialli dall’adolescenza ad oggi, avrei parlato del grande Cornell Woolrich già da parecchio tempo,e più di una volta. Ma questo autore, che mi sono letto e riletto anni fa, da qualche anno lo avevo un poco accantonato; ma per fortuna non sono uno di quei lettori che ha una memoria di ferro, e a distanza di qualche anno mi piace tornare a leggere un libro che ho apprezzato in passato, e con Woolrich la cosa è doppiamente consigliabile, visto che i suoi plot febbrili e angoscianti si bevono a una velocità tale da non aver certo la voglia di apprezzare le sfumature e le sottigliezze psicologiche, cosa che invece si può fare a una rilettura più distesa…ma non troppo, visto che il gorgo fatale delle sue storie finisce sempre per avviluppare il lettore senza pietà alcuna.
Innanzitutto, due parole su questo autore geniale quanto tormentato, che a parer mio non si può definire a pieno titolo un giallista; no, in lui il Whodunit è presente poco o nulla, fa solo capolino in alcuni dei suoi romanzi più convenzionali e con meno pretese come “Dinastia di morti” o “L’alibi nero”. Ma se non era un giallista classico, non era nemmeno un seguace di Chandler o Hammett, visto che non si trovano nelle sue pagine romantici detective alla Marlowe ne tantomeno gangster spavaldi e pieni di coraggio; i personaggi di Woolrich erano come lui, degli “sbagliati”, dei disadattati in balia degli eventi della vita, spesso per loro stessa colpa. Quindi, a quale corrente del poliziesco ascrivere Woolrich? A nessuna, lui fa storia a se. Era un autore di Suspense, anzi era ed è IL suspense; con la sua opera ha ispirato Hitchcock in modo palese, e i grandi film del maestro nella seconda metà degli anni cinquanta devono molto al suo universo(non solo per il soggetto della finestra sul cortile, molto Woolrich entrerà ancora nei suoi film più maturi e disincantati, vedi Il ladro o Frenzy) e ha dato inizio a un filone letterario (dopo di lui frequentato in modo approssimativo quando non maldestro, come l’horror made in Usa dopo la lezione di Lovecraft) in cui l’angoscia, l’orrore e la violenza si mescolano talvolta mirabilmente alla poesia, e tanti suoi romanzi e racconti possono infatti leggersi come dei poemi sui bassifondi di quelle metropoli americane anni ’40 delle quali ormai è diventato mitico anche il degrado.
L’autore è conosciuto universalmente per la sua serie nera, ossia quei romanzi in cui appare nel titolo la parola “Nero” (Angelo nero, Appuntamenti in nero, L’alibi nero, L’incubo nero, La sposa era in nero,Sipario nero) ma per chi scrive, e forse solo per lui, pur essendo libri di primissimo livello non sono la parte migliore della sua produzione; no, il sottoscritto ha un vero debole per quei romanzi che uscirono a firma William Irish (pseudonimo dovuto al fatto che l’autore collaborava presso due diiversi case editrici nello stesso periodo) ossia Vertigine senza fine, Ho sposato un’ombra, La donna fantasma, Si parte alle sei e Dinastia di morti; ora, a parte l’ultimo citato che è un simpatico Whodunit dalle tinte horror che da ragazzino ho adorato ma che è palesemente un prodotto più commerciale e fuori dalle corde dell’autore, i restanti quattro sono dei veri capolavori, anche se per me la vera vetta assoluta di Woolrich è il magnifico “La notte ha mille occhi”, una storia nel quale l’attesa spasmodica di un evento di morte predetto da un sensitivo diventa quasi intollerabile, tanto che ne consiglio la lettura solo ai cuori forti.
Però, è bene tenere a mente una cosa molto importante; Woolrich è sempre uscito in traduzioni vergognosamente mutilate e censurate , uno scandalo a cui per fortuna si pose fine negli anni ottanta, quando tutti i romanzi dell’autore vennero ritradotti da sicurezze come Boncompagni e la Francavilla, traduzione uscite prima in Omnibus (adesso piuttosto rari) e poi, fortunatamente, nei più comuni e accessibili classici del giallo…quindi buttate a mare tutte le edizioni precedenti al periodo suddetto e procuratevi le ritraduzioni, farete un favore a voi stessi.
E di tutti i libri di Woolrich, il più dilaniato in sede di traduzione è proprio il bellissimo Vertigine senza fine (Waltz into Darkness, 1948) un vero e proprio viaggio nella degradazione morale, nel crimine e nella follia di un americano tutto d’un pezzo e di sanissimi principi che incontra un vero demonio in gonnella, in un’ambientazione da brividi, ossia la New Orleans di fine ottocento ( unico libro dell’autore non ambientato in scenari a lui contemporanei).
Come vedremo, questa è una storia illogica, totalmente assurda; ma tutto il mondo di Woolrich in teoria lo sarebbe, anche se a dire il vero lo trovo più vero di tanti altri romanzi del periodo, anche non polizieschi; e se si può parlare di vicende assurde, i personaggi e le loro angosce sono credibilissimi, ed è questo che conta.
Abbiamo un uomo ancora nel fiore degli anni, Louis Durand, ricco possidente nel sud appena liberato dalla schiavitù. Un uomo provato da una terribile esperienza in gioventù (la sua promessa sposa era morta di febbre gialla poco prima del loro matrimonio) che a trentasette anni, più maturo e consapevole, decide di rivolgersi a un’agenzia che mette in contatto agiati gentiluomini e gentildonne perché questi possano avviare una corrispondenza ad eventuale scopo matrimoniale. E Durand la sua anima gemella sembra trovarla nella mite Julia, una zitella sua coetanea che vive a Saint Louis e come lui aspira a un’unione serena e senza mondanità. La foto che lei gli invia nel corso delle loro fitte missive mostra una donna non brutta ne bella, dall’aria posata e remissiva, proprio il tipo di moglie che Durand vorrebbe. Ma quando il battello da Saint Louis attracca a New Orleans, la donna che Durand si trova davanti non è affatto quella che aspettava, ma una bellissima ventenne bionda, minuta, sensuale e altamente desiderabile, una Brigitte Bardot prima maniera per intendersi. La ragazza riesce a convincere Durand di essere proprio lei la Julia che attendeva, di averle inviato la foto di una zia perché lui la accettasse non per la sua bellezza ma per altre doti, e finisce così per convincere lo straniato ma compiaciuto futuro marito a fidarsi delle sue parole, e i due si sposano il pomeriggio stesso dell’arrivo di lei.
All’inizio le cose sembrano andate benissimo tra i due colombi; Durand è al settimo cielo, è ammirato e invidiato sia per la sua fortuna che per la bellissima e giovane moglie, e Julia diventa la donna più bramata della città. Ma la loro felicità inizia pian piano ad essere turbata da eventi dapprima minimi ma sempre più inquietanti; perché Julia beve avidamente il caffè, quando nelle lettere diceva di odiarlo? Perché la costumata figlia di buona famiglia assume pose sconvenienti e tiene sigari nel cassetto? Perché lascia morire di fame e di sete il canarino che tanto diceva di adorare? E soprattutto, perché non si fa viva con l’adorata sorella Bertha, da lei tanto amata?
Da qui prende il via il viaggio all’inferno di Louis Durand, un antieroe che più che i personaggi del coevo Hard-boiled finisce, per un’idiozia totale e pietosa, per ricordare il protagonista della “Ballata dell’amore cieco” di Fabrizio de Andrè. E anche la misteriosa Julia (che ormai avrete capito non essere ciò che si pensava) non somiglia per nulla alla Femme Fatale stile Barbara Stanwych, perché pur essendo un personaggio totalmente negativo e quasi mostruoso ha in se un poco dell’ingenuità e della fragilità di una bambina capricciosa, e il lettore non potrà mai odiarla per come merita, non fose altro per la carica erotica e la sensualità di cui Woolrich (che pur essendo dichiaratamente omosessuale seppe descrivere le donne come nessun altro) la ammanta. Anche perché nel palpitante, umanissimo finale verrà a galla una verità che, se nulla ha a che fare con l’intreccio vero e proprio, sorprende il lettore come un colpo di teatro, e getta un inopinato, imprevedibile raggio di sole nelle tenebre di quel nerissimo fiore prodotto da quell’amore estremo e maledetto.
Questo dramma d’anime umanissimo e profondo raccontato senza rinunciare a una struttura thriller di prim’ordine fanno di “Waltz into Darkness” un vero capolavoro della letteratura Americana del Novecento, da leggere e rileggere in attesa che qualcuno si svegli e si accorga che Woolrich è un grande classico da portare nelle librerie, onde essere comodamente disponibile per ogni lettore. Nel frattempo, se vi va, potete cercare il classico del giallo numero 1138 del novembre 2006 , con Banderas e Angelina Jolie in copertina, visto che da questo romanzo fu tratto il dimenticabilissimo “Original sin” con le due star come protagonisti, e negli anni sessanta ne fu fatta anche una riduzione anche da Francois Truffaut
(il cui orrendo titolo Italiano recita “La mia droga si chiama Julie) senz’altro di buona fattura ma molto modificata rispetto al romanzo, e con un tocco Francese che con Woolrich ci incastra abbastanza poco.
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RispondiEliminaLe donne di Woolrich sono semplicemente tra le creazioni più felici della letteratura americana del ventesimo secolo, non solo nei romanzi ma nei tanti, splendidi racconti che in molti casi raggiungono vette ancora più elevate che nei romanzi. Quando parlerò di nuovo di Woolrich, sarà per i racconti brevi...
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