martedì 27 maggio 2014

"MAIGRET NELLA CASA DEI FIAMMINGHI" DI GEORGES SIMENON

Come ogni cultore Simenoniano sa, il ciclo dei romanzi con Maigret si divide in due tronconi; il primo che va dal 1930 al 1933, quando il giovane, prodigioso Simenon riusciva a sfornare anche cinque libri in un anno (ovviamente alternandoli ai roman-roman) fino a quando se ne stufò; ma non aveva, come altri prima di lui, fatto i conti col pubblico, che di Maigret ne voleva ancora, eccome; il pragmatico Belga non fu perentorio come Conan Doyle, niente discese nelle cascate del Reichenbach e successiva clamorosa resurrezione, Simenon alla fine della prima serie si limitò a mandare il pacioso commissario in pensione, per cui gli bastò dimenticarsi della cosa e far tornare in azione il suo antieroe, prima in alcuni splendidi racconti brevi e poi in romanzi che uscirono a un ritmo più umano dal 1941 fino al 1972, e che col passare del tempo saranno sempre meno dei polizieschi e sempre più delle struggenti elegie verso quella Parigi che l’autore, esule volontario dopo le assurde accuse di collaborazionismo a suo danno, rievocherà con crescente rimpianto fissando le desolate lande dell’Arizona o del Texas.
L'autore

Senz’altro, da un punto di vista letterario, la seconda parte della serie di Maigret è di più alta qualità, ma il fascino dei primi romanzi del giovane, ruspante e straripante Simenon è assolutamente inarrivabile. I titoli entrati nella memoria collettiva, dal Cane giallo al Caso di Saint Fiacre fino al Crocevia delle tre vedove, appartengono a questa prima serie, che forse ha per punto di forza principale le ambientazioni; se infatti nella seconda parte delle avventure del commissario non si esce praticamente mai da Parigi, nei primi romanzi si viaggia in giro per il Belgio, L’Olanda, la Germania e soprattutto in quella remota, primitiva, perduta provincia Francese mai così ben rappresentata e descritta.
In quanto alla qualità, basta davvero pescare nel mazzo, uno vale l’altro. Forse il primo, Pietr il Lettone, è magari ancora acerbo e con un Maigret ancora in divenire, forse il secondo, Il cavallante della Providence (O Maigret si commuove) è ancora troppo ancorato al feuilleton frequentato dall’autore nei primissimi anni di attività, quando si firmava col nome di George Sim (cosa darei per leggere qualcuno dei suoi primi scritti..) ma dopo un breve rodaggio arrivano tutti ottimi libri con qualche capolavoro, e per chi scrive nella categoria è compreso anche il poco citato ma bellissimo “La casa dei fiamminghi”.


Copertina di Pinter

Siamo in un paese di frontiera tra Francia e Belgio, chiamato Givet. Un paesino minuscolo, dove tutti si conoscono, dove la convivenza tra Francofoni, Fiamminghi e Valloni è spesso difficile, ci si tollera ma a malapena.
In questo microcosmo spazato dal vento del mare del nord, pieno di facce imbronciate e poco socievoli, scoppia un dramma; i Peeters, una famiglia Fiamminga tra le più ricche, invidiate e odiate del posto, è accusata di aver fatto sparire la giovane Germaine, una ragazza di umili origini che era stata l’amante del rampollo Jacques, e da lui aveva avuto un figlio. La scomparsa della ragazza, avvolta nel più fitto mistero, si protrae ormai da giorni e da Parigi, in forma non ufficiale, arriva proprio Maigret a indagare sulla spinosa faccenda.
Inutile dire di più della trama, il plot poliziesco in Simenon vale poco o nulla (tranne in rari casi, come Un’ombra su Maigret) in questo libro sono straordinari altri fattori. Innanzitutto i personaggi femminili, su tutti Anna Peeters, giovane donna robusta, forte e dall’aria mascolina seppur non priva di attrattiva, che in pratica gestisce il menage familiare e adora in modo morboso il fratello Jacques; sua sorella Maria, terrorizzata dal mondo e in preda a segreti tormenti; la giovane Marguerite, frivola e delicata fidanzata di Jacques, che lo adora ciecamente tanto da perdonargli la relazione con Germaine e offrendosi perfino di adottare il frutto della colpa, e anche la stessa Germaine, solo rievocata, descritta come una giovane fragile e tisica ma con un suo fascino sanguigno.
Alla fine Maigret, per risolvere il caso, dovrà solo entrare nella psiche di queste donne, ricostruire la loro storia, le loro emozioni; da quel momento il nome del colpevole viene quasi automatico, e come spesso in Simenon si tratterà di un assassino che è a sua volta vittima, meritevole di umana pietà.
Un romanzo stupendo, che si legge in una sera, preferibilmente uggiosa e piovosa  per immedesimarsi meglio nell’atmosfera brumosa e inquietante di Givet, piccolo mondo antico che è la risposta Francese al villaggetto British teatro di tanti gialli della Golden Age, magari meno divertente ma infinitamente più credibile.

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