Lo statunitense Rufus King appartiene a quella schiera
di autori di polizieschi definiti “robusti artigiani”, ossia quel girone
intermedio che sta tra i grandi e i mestieranti dimenticabili.
Purtroppo, si tende a inserire nella suddetta categoria
autori di ben diverso livello, e se per alcuni è un riconoscimento anche troppo
generoso, per altri la definizione di artigiano va decisamente stretta; e
questo è certamente il caso di Rufus King (e senz’altro anche del suo
formidabile omonimo, l’altro “re” C.
Daly King) un autore del quale ho letto ancora poco, ma quel poco mi ha sempre
ampiamente soddisfatto, tanto da ripromettermi di dedicare alla sua opera tutta
l’attenzione che merita.
Scrittore di grande scorrevolezza, in questo
somigliante più alla Christie o a Quentin che a Van Dine o Carr, Rufus King fu
un perfetto esponente del poliziesco
della golden age, e se non è famoso come altri grandi è perché forse ha avuto la
sfortuna di non essere rispolverato a dovere dalla critica che conta, l’unico
modo, per un autore di genere, di salvarsi dall’oblio.
Gran parte dei romanzi di King vedono protagonista il
tenente Valcour, segugio preparato e uomo raffinato ma senza le esagerazioni di
Poirot e Philo Vance, e meno famoso di loro proprio per questa normalità, come
si sa i grandi detective sono ricordati solo se eccentrici e superomistici.
Ma King non era solo un autore di gialli di stampo
classico, visto che a lui si deve uno dei mystery più ammalianti e seducenti mai concepiti,
ossia quel “Camera chiusa numero 13” dal quale il regista Fritz Lang trasse
quel grandissimo film che è “Dietro la porta chiusa”. Anche se non rappresenta
la poetica del suo autore, Camera chiusa numero 13 è un testo di rara bellezza
che deve essere letto da tutti gli amanti dei thriller al cardiopalma, con in
più una venatura da romanzo gotico che rende la pietanza ancora più saporita e
amplifica egregiamente la suspense.
Ma il romanzo di King che non esito a definire un
capolavoro è “Il dramma del florida”
(Murder by latitude, 1932) , uscito per la prima volta nel 1936 (numero
131 delle palmine, stupendamente tradotta da Piceni) e ristampato nel 2012 nei
classici del giallo, ottenendo un’ottima accoglienza sul blog dei GM.
Splendida, come sempre, copertina di Abbey.
Il romanzo si inserisce nel nutrito filone dei gialli
ambientati in mare, una sfida che era praticamente obbligatoria per ogni grande
autore della Golden age; si farebbe prima a fare un elenco degli autori che NON
hanno scritto un giallo di ambientazione marinaresca, piuttosto che il
contrario.
In ogni caso, Rufus King riesce, grazie anche alla sua
esperienza diretta (aveva lavorato sulle navi) a creare un vero e proprio
microcosmo di assoluta attendibilità, a farci vivere il viaggio, farci sentire
anche noi parte dell’equipaggio o dei passeggeri.
Il Florida, va subito detto, non è una di quelle
lussuose navi da crociera che andavano per la maggiore negli altri romanzi a
tema, ma un modesto piroscafo per gente di media estrazione, che vuole recarsi
alle Bermuda da New York senza spendere troppo. Il romanzo inizia subito col
botto; un uomo (quindi sappiamo subito che l’assassino è di sesso maschile) si
intrattiene con il marconista della nave, che aspetta un messaggio cifrato per
il tenente Valcour, un messaggio che potrebbe risultare fondamentale per
incriminare uno dei passeggeri; l’uomo ride e scherza con l’operatore, e appena
il messaggio giunge lo strangola senza pietà, facendo sparire la missiva.
Quindi siamo già
in pieno dramma, Valcour non è in
viaggio di piacere ma sta cercando di bloccare un pericoloso omicida, che ha
già ucciso a New York e potrebbe uccidere ancora proprio sul piroscafo; Valcour
però non ha la minima idea di chi possa essere, perché non ha una descrizione
fisica o qualche indizio materiale, sa solo che un omicida è nascosto tra la
variegata umanità che popola la modesta imbarcazione.
Oltre a diversi uomini, ci sono anche alcune donne, tra
le quali spicca la signora Poole, enigmatica mangiatrice di uomini non più
giovane ma ancora molto bella, ma soprattutto ricca, che passa da un
matrimonio, o meglio da un divorzio all’altro. Valcour la segue con attenzione,
perché pensa che lei sia la vittima designata, in quanto a New York è stato
trovato morto il suo primo marito, e sul luogo del delitto è stato trovato un
enigmatico messaggio destinato alla signora stessa. Ma da quale mano verrà
colpita? E soprattutto, perché?
E’ questo proiettare subito il lettore nel bel mezzo di
un dramma, piuttosto che cominciare a narrare tutto dall’inizio, uno dei
fattori che rende il romanzo eccezionale. E l’altro motivo, ancora più
importante, è il formidabile innesto di una storia che affonda in un passato
remoto; come in “Trappola per topi”
della Christie l’omicida potrebbe agire
per vendicarsi di abusi e traumi patiti nell’infanzia, in quanto l’enigmatica
signora Poole adottò assieme al primo marito (non ufficialmente) una
trovatella, coccolandola e mantenendola per alcuni anni nel lusso più sfrenato,
per poi abbandonarla a se stessa una volta passato il capriccio, limitandosi a
metterla in un istituto e passandole un mensile per il mantenimento, senza mai
più rivederla; da qui Valcour formula un’agghiacciante ipotesi; se uno dei
passeggeri più giovani fosse in realtà una donna travestita da uomo, che
aspetta solo l’occasione giusta di farla pagare alla perversa “madre adottiva”?
Nel frattempo le morti diventano due, e nel piroscafo
si diffonde un’atmosfera di incubo e di minaccia egregiamente tratteggiata
dall’autore, e l’oceano diventa un luogo claustrofobico e opprimente, e in
questo ricorda il delizioso “Vele insanguinate” della Rinehart, con quel
memorabile assassino armato di ascia.
La suspense si
fa sempre più incalzante, in brevi capitoletti contrassegnati ognuno dalle
coordinate raggiunte dal piroscafo al momento dell’azione (almeno nell’edizione
delle palmine che ho io, non so in quelle successive…) ed è impossibile
smettere di leggere fino al superbo
finale, che ribalta egregiamente tutte le teorie che Valcour ( e il lettore)
avevano elaborato nel frattempo.
Un romanzo davvero imperdibile, di quei rari gioielli
che unisce in se un enigma di prim’ordine, personaggi memorabili e una grande
tensione; quei tre fattori che, almeno per me, fanno il giallo perfetto.
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