Da sempre, in un romanzo, di qualunque genere esso
sia, un pizzico di umorismo mi è sempre
piaciuto. Il giallo classico, in questo, non fa certo eccezione; Nero Wolfe e Archie
Goodwin non sarebbero la coppia al fulmicotone che sono senza le loro continue schermaglie,
così come le bonarie prese in giro di Poirot ad Hastings contribuiscono più di
ogni altra cosa a rendere memorabile il cameratismo tra i due. Edmund Crispin,
col suo delizioso umorismo british, arricchisce ulteriormente i suoi già
saporiti manicaretti, Così come Donald Westlake con le sue situazioni
paradossali, e arguzie di finissima fattura si trovano anche in un
insospettabile come Chandler.
Ma, lo ammetto, se talvolta ho sorriso leggendo gialli,
fino ad adesso non avevo mai riso di gusto come leggendo questo romanzo di
Harry Olesker, mestierante oggi dimenticato. Precisiamo; questo libro non è una
smaccata parodia del genere scritta
apposta per far ridere, è un giallo che ha un suo discreto rigore, e potrebbe
stare in piedi anche senza l’umorismo, sarebbe “solo” una delle centinaia di
gialli che uscivano nei primi anni sessanta, testi piuttosto ordinari
nobilitati dalle copertine di Jacono e penalizzati dalla scarsa cura editoriale dell’epoca. Ma
quello che invece rende “ricordabile” questo Alla larga da Broadway, tanto da
essere incluso nel gustosissimo omnibus-monstre (il solo, assieme al primo di
Philo Vance, da me posseduto quando ero adolescente) “I magnifici sette del
giallo” dove venivano presentati sette romanzi per sette tipologie diverse di
poliziesco; c’era il thriller con “Appuntamenti in nero” di Woolrich, il giallo
di stampo classico con “E’ un reato dottor Fell” di Carr, l’hard boiled con James Hadley Chase (Colpo a
feddo), il giallo metropolitano con Frank Kane (il cancro della metropoli), il
poliziesco d'azione con il simil-Wallace J.J. Marric (Gideon di Scotland Yard)
l’avventura orrorifica con “Dinastia di morti” sempre di Woolrich (mamma mia
quanto mi piacque, che nostalgia di quella palpitante notte estiva in cui lo
divorai…) e il filone del giallo umoristico, invero non molto nutrito, era
rappresentato proprio dal romanzo di cui parlo in questa occasione.
L'omnibus da me sponsorizzato (copertina di Pinter)
Accattivante fin dalle prime battute, ci presenta una
protagonista deliziosa quanto irritante,
a metà tra le svampite sexy e poco intelligenti stile pin-up e le protagoniste
delle Screwball comedy anni trenta: il suo nome è Dorothy Dawn, ventitré
anni, bionda sensualissima quanto
ingenua, consapevole della sua carica erotica e non proprio un modello di virtù , che è arrivata nella New York degli anni
cinquanta direttamente da Bad River, Wyoming, millecento anime metà delle quali
hanno tentato di mettere le mani addosso alla ragazza. Si trova nella grande
mela perché vorrebbe recitare e cantare ( il suo maestro di Bad River l’ha convinta
di possedere un inesistente talento, ma solo per sedurla…) e perché, vista la
lontananza tra i due, il suo fidanzato vicesceriffo Morty Blake si svegli e le
chieda finalmente di sposarlo. In fondo, quindi, una onesta e sana ragazza
americana, solo un filino troppo sexy per restare incolume nella grande mela.
Prima edizione GM 1961 (cover di Jacono)
Infatti, dopo una disastrosa audizione per un musical,
viene abbordata dal regista di esso, artista di successo e sposato con la diva
del momento, di nome George Robin; è chiaro che quest’ultimo vuole solo
portarsi a letto Dorothy e infatti la ragazza, brilla dopo i tanti cocktail
“Gibson” offertile dal regista, finisce per farsi portare da quest’ultimo nel
suo appartamento, entrambi fradici per essere stati sorpresi da un temporale
estivo. La ragazza si fa baciare, ma non concede altro. Lui allora sembra
arrendersi, e concede perfino alla ragazza di spogliarsi da sola e mettere ad
asciugare i suoi vestiti al fuoco del camino; ma per un malaugurato incidente i
vestiti della ragazza finiscono tra le fiamme, e lei rimane in casa di un estraneo
vestita solo di un asciugamano arrotolato attorno al corpo alla meno peggio
(chissà che batticuore, per i lettori del 1961…).Cavallerescamente, Robin si
offre di andare a casa della ragazza, poco distante, per prenderle altri
vestiti, e lei rimane sola. Mentre, per cercare un qualche pigiama, fruga
nell’armadio della camera, dentro di esso trova un qualcosa di inaspettato; il
cadavere di una donna…
Intrigante cover originale.
Nelle successive cento pagine le cose si complicano, la
povera Dorothy passa da un inconveniente all’altro, viene aggredita da uomini e
donne, ma l’idealista fanciulla, in fondo in fondo vero angelo del focolare,
non demorde e si fa in quattro per arrivare alla verità, coadiuvata in questo
da un flemmatico e paterno ispettore. Una verità abbastanza banale e scontata,
ma non è per questo che il romanzo si legge, lo spasso sono le battute, come “Mettermi
in testa una canzone, per me, significa soltanto ripararmi i capelli con lo
spartito quando piove” oppure "Le sole porte che finora si erano
spalancate per me a New York sono quelle con la scritta uscita". O ancora possiamo
godere di alcune situazioni irresistibili, come il povero fidanzato venuto a trovarla
per riportarla a casa e la vede accapare a notte fonda, ubriaca, in compagnia
di un poliziotto e vestita solo di un’asciugamano. Insomma, questo “Alla larga
da Broadway” come intreccio giallo è abbastanza irrilevante, ma in questo caso
non conta la meta, conta il viaggio; ci si diverte, e questo basta.
Insomma, un’adorabile sciocchezzuola da leggere magari
tra due gialli più impegnativi, adattissima per, citando la Settimana enigmistica,
“rinfrancar lo spirito tra un enigma e l’altro” .
Io il giallo classico fino ad ora più comico che abbia letto è stato "Delitto a bordo" di Carr
RispondiEliminaAh si? mai letto. RIcordo alcune sequenze con Fell e Merrivale molto conviviali, ma non ho mai pensato a Carr come un umorista. Proverò a leggerlo.
RispondiEliminaMah, dire che "Delitto a bordo" sia davvero comico è un po' forzato... Certo che Carr, ma soprattutto nei romanzi con H.M., un po' di comicità cerca sempre di inserirla.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaSinceramente l'umorismo Carriano l'ho sempre trovato un po troppo triviale e forzato, e infatti Merrivale come personaggio lo sopporto abbastanza poco. Stout è molto più divertente, a mio avviso.
RispondiEliminaIl punto è che Carr non è un autore interessato allo sviluppo dei personaggi, Lui punta tutto sul meccanismo e sulla situazione misteriosa (impossibile, nella maggior parte dei casi); di conseguenza il momento "comico" serve come comic relief o come modo per distrarre l'attenzione del lettore. In questo senso, e credo a ragione, lo senti forzato.
RispondiEliminaPurtroppo credo che l'umorismo triviale che usa Carr finisca per appesantire ulteriormente dei testi che, talvolta, sono già pesantucci di loro (come è ormai noto, io non sono un Carriano doc come altri appassionati). Proprio recentemente ho gettato la spugna per la seconda volta con "Delitti da mille e una notte"..troppo assurdo, troppo grottesco, proverò a riprenderlo in seguito... mi sono dovuto "riprendere" con un libro di Josephine Tey, tutta un'altra leggerezza e tutto un altro garbo.
RispondiEliminaNeppure io amo Carr incondizionatamente, anche se devo dire che alcuni suoi romanzi sono davvero molto belli. Ma, dato che apprezzo di più storie meno "esagerate" e scritte meglio e personaggi più sfaccettati, la mia preferenza va ad altri autori. La Tey (esordio a parte) è un'ottima narratrice.
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