Peter
Lovesey, classe 1936, è senz’altro uno dei giallisti contemporanei più giustamente famosi ed
elogiati, e tra i viventi credo sia il miglior continuatore, assieme a Paul
Halter, della tradizione del grande poliziesco classico.
l'autore
Anche
se Lovesey non ha scritto nessun poliziesco per cui usare l’impegnativo titolo
di capolavoro, raramente una sua pagina
mi ha annoiato o fatto cascare le braccia. Dotato di una penna leggera e
accattivante, le sue opere possiedono, se non gli intrecci, una leggibilità
degna della Christie. Ho letto ancora poco dell’autore, ma “Morire dal ridere” giallo
“storico” ambientato nel mondo delle comiche della Keystone di Mack Sennett, mi
era sembrato un romanzo assolutamente impeccabile, così come “Colpo di scena”
uno dei romanzi più recenti in cui compare Peter Diamond, il suo investigatore
più noto. Ambientati in una Inghilterra contemporanea smaliziata e
profondamente trasformata rispetto a quella dei romanzi della Golden Age (credo
che in nessun posto come l’Inghilterra le cose siano cambiate così radicamente
negli ultimi decenni) Lovesey, come Colin Dexter, ci regala però storie non
troppo morbose e orripilanti come i gialli Svedesi che tirano oggigiorno, ma
scrive i libri che scriverebbe la Christie se vivesse nel nostro tempo; e se
negli ultimi suoi romanzi dame Agatha aveva cominciato a suggerire temi ai
tempi proibiti come l’amore saffico o i rapporti familiari morbosi, adesso non
avrebbe problemi a rendere il tutto esplicito; ormai niente è tabù, basta solo
non esagerare con la brutalità, e Lovesey, almeno nei libri che ho letto, non
tracima certo di effettacci pur non risparmiandoci i pugni nello stomaco.
L’opera
che presento in questo post non è un romanzo, ma un racconto di quaranta pagine
circa, che da il titolo a un bel supergiallo (caro, vecchio, estinto
supergiallo…) del 2003 curato da Mauro Boncompagni e che comprendeva parecchi
racconti di Lovesey, tra cui un apocrifo Sherlockiano.
Il
racconto mi ha conquistato fin dalla prima riga soprattutto a causa
dell’ambietazione, ossia quel Somerset paludoso e misterioso con quelle contee
coi nomi che terminano in “moor”, luoghi resi mitici non solo dal Conan Doyle
del Mastino dei Baskerville, ma anche da Edgar Wallace, che in più di una sua
storia fa evadere prigionieri dalla famigerata prigione di Dartmoor, siano essi
poveri innocenti in cerca di riabilitazione o criminali incalliti che fuggono
per vendicarsi di chi, in quel posto, ce li ha mandati.
Lovesey
però ci racconta il Somerset di un secolo dopo gli eventi del Mastino; siamo
infatti nel 1995, data facilmente intuibile visto che due dei protagonisti
della vicenda vanno al cinema a vedere “Seven” l’agghiacciante pellicola di
David Fincher con Brad Pitt e Morgan Freeman che rimarrà come uno dei classici
di fine millennio.
Le
atmosfere tetre delle paludi di giuncaglie non mancano, ma Lovesey ci descrive
realtà molto più prosaiche, ossia una coppietta che si apparta per consumare
uno squallido rapporto sessuale in mezzo agli acquitrini, con lei, una
ragazzina ben lontana dalle composte fanciulle di Wallaciana memoria, che si
spazientisce perché il suo lui non viene subito al dunque e lei, completamente
nuda nella brughiera notturna, prende freddo. Quindi ragazze incoscienti, che
si appartano nella notte buia con uno sconosciuto, e infatti, perché anche se
adesso i tabù sono caduti alla gente bisogna lo stesso fare attenzione, la
ragazza viene strangolata senza pietà.
Ci
spostiamo poi un uno dei molti pub di quella landa desolata, quasi una “bassa”
Inglese, dove la giovane cameriera Alison Harker, di una bellezza quasi
preraffaellita, sprecata a servire drink e birra ai rozzi sfaccendati della
zona, fa conoscenza con Tony, un uomo affascinante, distinto e facoltoso che
gira in Mercedes e passa da quelle parti per caso. Tra i due c’è subito
attrazione, lui la invita ad uscire e lei accetta, e passa una bella serata
anche se si stupisce del fatto che lui non la porti subito a letto; lo sguardo di
Lovesey sui rapporti di coppia, almeno in questo racconto, è desolante; sembra
che, tra uomini e donne, ci si avvicini solo per un motivo, e qualsiasi
romanticismo diventa quasi sospettoso. Infatti, quando un altro cadavere,
sempre di una giovane donna, viene ritrovato, e un poliziotto suppone che l’omicida
sia un maniaco seriale il cui raptus omicida scatta quando riceve delle avances
da una donna consenziente, Alison viene sfiorata dal terribile sospetto che lo
strangolatore di Sedgemoor sia proprio il suo Tony, che ha tutti i requisiti
per esserlo, cosa che finisce per pensare anche la popolazione del luogo, che,
killer o non killer, non gradisce chi viene a corteggiare le loro donne…
Tutta
la prima parte del racconto, l’evolversi del rapporto tra Alison e Tony e il
tarlo del sospetto che divora la giovane donna, è di una intensità eccezionale,
con una suspense degna della “Scala a chiocciola” di Ethel lina White; peccato
però che nella parte conclusiva il racconto inizi a sfilacciarsi un poco e
diventare inverosimile; infatti, con tutta la mia buona volontà, non mi riesce
immaginare, nell’Inghilterra di venti anni fa, un branco di ragazzotti che
perpetra linciaggi stile ku klux klan col beneplacito del resto della
popolazione, come anche l’identità del
colpevole finisce per essere assai prevedibile per un lettore un minimo
smaliziato; tutti elementi che finiscono per deturpare una vicenda che, con una
ventina di pagine in più e senza esagerazioni, poteva risultare un piccolo
gioiello prezioso, ma che così resta “solo” una buona storia.
Però,
lasciatemelo dire; so che ormai i rapporti tra uomini e donne sono come li descrive
Lovesey (se non peggio) e non ho nulla in contrario, ma che nostalgia, che
nostalgia per le virginali ragazze in pericolo di Wallace, in fondo molto più
sexy di una Alison qualsiasi proprio per quel loro reiterato, provocante pudore.
Al solito, grazie. Temevo non postassi più nulla.
RispondiEliminaGrazie. No, perchè non dovrei postare più niente? ogni tanto ralento perchè non ho tempo di leggere e quindi di commentare, ma non intendo lasciare, nei limiti del possibile.
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