I primi amori non si scordano mai, nemmeno
quelli letterari. Ognuno di noi, lo ammetta, ha qualche libro del cuore, un
romanzo letto in un momento particolarmente felice della vita o comunque quando
si cercava proprio quel testo, il libro giusto al momento giusto; per questi determinati
libri si nutre un amore viscerale e comprensibilmente parziale, si tende molto
volentieri a soprassedere sui difetti guardando solo ai pregi.
Poi gli anni passano, la cultura aumenta, la
capacità critica si affina, e spesso viene voglia, ricordando il testo tanto
amato, di rileggerlo per vedere se esso, dopo una nuova lettura, è ancora
capace di suscitare il medesimo innamoramento di tanti anni prima.
Con “Dinastia di morti”, titolo originale
“Strangler’s serenade” pubblicato da Woolrich nel 1951 con lo pseudonimo di
William Irish, avevo appunto un simile rapporto. Lo lessi per la prima volta a
16 anni, nella caldissima estate del 1998, nel mio amato (e ricordato nel post
precedente su Olesker) omnibus “I magnifici sette del giallo” uno dei pochi disponibili nella vecchia
biblioteca comunale del mio paese, e ne rimasi letteralmente folgorato;
straordinarie sequenze di suspense, momenti di pura paura, una piacevole storia
d’amore; tutto quello che può elettrizzare a quell’età. poi, l’anno dopo, vidi
in edicola, ancora fresco di stampa, il classico del giallo n.842 (tradotto
integralmente dalla Francavilla, versione quindi consigliabile anche
l’eidizione più vecchia tradotta da Bruno Just Lazzari non è affatto male), e
lo portai subito a casa; la rilettura risultò altrettanto emozionante, e il
romanzo diventò definitivamente un testo “cult”.
Per cui ieri, in una piovosa domenica
adattissima alle atmosfere del romanzo, ho deciso di rileggerlo con qualche
titubanza; e se mi deludesse? E se uno dei miei coup de foudre letterari, uno
dei libri che mi ha fatto affezionare al genere, risultasse irrimediabilmente
datato? In fondo siamo ben lontani dal grande Woolrich della serie nera, questa
è una delle sue opere minori, un thriller avventuroso con un assassimo da
scoprire in fondo abbastanza convenzionale, per giunta ambientato non in una
grande città o nel profondo sud (palcoscenici ideali dei capolavori
dell’autore) ma in una realtà estremamente rurale, un isolotto di 200 abitanti
tra Boston e New York; insomma, il tutto non era certo nelle corde dell’autore.
Ma vediamola, la trama; un bel giorno di inizio
estate, il giovane ispettore di polizia Champion Prescott, Newyorkese duro e
puro, dopo essere stato ferito in una sparatoria viene mandato forzatamente in
vacanza a Joseph’s Vineyard, sperduto isolotto abitato da contadini e
pescatori. Prescott vi si reca malvolentieri, non si trova con i rurali
abitanti, ma la conoscenza di una bellissima pittrice, Susan Marlow, peraltro
sua concittadina che possiede una casetta nell’isola, lo fa decisamente
acclimatare.
copertina originale "hot"
Non fa nemmeno in tempo ad arrivare che subito
alcune persone iniziano a morire in modi misteriosi; sembrano incidenti, ma
Prescott (che sfiga, povero assassino, compiere i suoi misfatti proprio quando un
segugio della grande mela arriva a rompere le uova nel paniere…) dimostra che
in realtà sono dei raffinati, diabolici omicidi. Le persone continuano a morire
in modi alquanto spettacolari ( omicidi superbamente narrati dall’autore, che
era un creatore di atmosfere nato, efficace anche nei romanzi scritti più di
malavoglia) la comunità chiusa e in fondo violenta come quella dei padri
fondatori insorge e incolpa un povero ritardato, giungendo fino a organizzare
un linciaggio (una sequenza abbastanza anacronistica, nell’east coast degli
anni cinquanta…) sventato da Prescott, che oltre a combattere l’assassino dovrà
combattere anche i pregiudizi. Insomma, pian piano si arriva a capire cosa
collega quelle morti misteriose (un movente abbastanza confuso e cervellotico a
dire il vero, che appesantisce il testo) e dopo una emozionantissima notte
d’orrore che coinvolgerà tutti i protagonisti della vicenda (ovviamente anche
Susan, innamorata cotta del bell’ispettore) tutti i nodi verranno al pettine, e
l’omicida (facilissimo da individuare, visto che l’autore presenta una rosa di
sospettati veramente esigua) pagherà il fio delle sue colpe. E a Prescott non
parrà vero di tornare a NY per riposarsi dalla terribile vacanza, e ovviamente
non tornerà solo.
Dunque, la lettura di questo libro dopo quasi 16
anni dall’ultima volta è stata deludente? No.
Certo, il testo è quello che è; ci sono
incongruenze, forzature un poco puerili, l’idendità dell’assassino è scontata,
la storia d’amore che all’epoca mi parve palpitante è convenzionale al massimo,
e si capisce quanto l’autore fosse a disagio con le storie romantiche a lieto
fine.
Però ci sono tanti momenti esaltanti; il
suspense è gestito egregiamente, i personaggi sono piuttosto verosimili (su
tutti Lon Bardsley, figura di “scemo del villaggio” sfaccettata e attendibile),
i due protagonisti sono simpatici, e il testo non conosce momenti di noia,
spiegone del movente a parte. E l’atmosfera avventurosa quasi da “giallo dei
ragazzi” che permea alcune sequenze in fondo è un valore aggiunto, un piacevole
retrogusto vintage che fa sempre piacere.
Insomma, un Woolrich atipico e molto distante
dai testi più celebrati, ma che nonostante tutto merita di essere letto a
qualsiasi età. Anzi, per un adolescente, meglio cominciare a esplorare la
narrativa dell’autore da un romanzo come questo, piuttosto che dalla serie
nera; per il pessimismo e il fatalismo c’è tempo, prima è meglio divertirsi.
Ciao Damian, grazie per il simpatico aggettivo "Luculliano" e per i complimenti al blog. Puoi citarmi quanto vuoi, anzi ti ringrazio per avermelo chiesto, visto che alcuni mi hanno addirittura copiato pezzi di articoli senza nemmeno chiedere il permesso....a risentirci!
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