domenica 10 novembre 2013

“IL SETTE BELLO” DI ALESSANDRO VARALDO, IL PRIMO GIALLO MADE IN ITALY.


Nel 1931, negli anni felici dell’era fascista (bastava non avere opinioni..) il grande successo che raccolsero i neonati gialli Mondadori di autori stranieri spinsero il volonteroso regime a misurarsi coi grandi Anglosassoni e creare un giallo di autori Italiani, col presupposto che l’ingegno Italico non era secondo a nessuna Christie o Wallace; pratica ancora oggi in uso, seppur con molto meno garbo e stile, vedi il proliferare di epigoni Italiani del disgustoso e sessista (secondo affidabilissimi pareri) 50 sfumature di grigio.
Insomma, fatto sta che Mondadori lanciò il guanto di sfida agli autori nostrani, e il primo a raccoglierlo e misurarsi col poliziesco fu Alessandro Varaldo, un robusto narratore Ligure che aveva una fama consolidata come romanziere di melodrammi sentimentali, un esperto e colto letterato che ormai 53enne volle cimentarsi nell’impresa non da poco di divenire l’Edgar Wallace Italiano. Dico questo non per caso, ma perché Wallace era di gran lunga l’autore più stampato e amato nella collana dei libri gialli fino a quel momento, e “il sette bello” risente appieno delle atmosfere e dei plot Wallaciani.
A parer mio Varaldo riuscì nell’impresa, non tanto per la qualità intrinseca dell’opera che è piuttosto altalenante, ma perché seppe creare ciò che in quel momento il regime si auspicava; un giallo all’Italiana, unico e inimitabile a sua volta, che pur tenendo conto degli elementi del poliziesco classico  sapesse mescolarli poi a una sensibilità tutta Italiana, che comprendesse macchiette di paese, uso (simpatico e moderato, altro che Camilleri) del dialetto e soprattutto una certa melodrammaticità di fondo dalla quale la narrativa d’evasione Italiana non ha mai, ma proprio mai, saputo affrancarsi.
In ogni caso la fortuna del romanzo dura tuttora, visto che dopo l’introvabile Palmina del 1931 è stato ristampato come il numero 1 dell’interessantissima collana dei GIM, ossia  “Gialli italiani Mondadori”, 15 uscite dove, in parallelo ai classici del giallo, vennero ristampati i romanzi nostrani più importanti degli anni trenta, (Varaldo ma anche Mariotti, Scerbanenco, D’errico, De stefani, Lanocita, Vailati..) e nel 2006 è stato ristampato dalla casa editrice De Ferrari nella deliziosa collana “piccoli classici Italiani”. Il romanzo è tuttora comodamente disponibile, e costa 16 euro.

L'eidzione che ho io dei GIM, 1977

L'edizione disponibile in libreria


Dunque, si è detto di opera di qualità altalenante, ma è meglio dire che si tratta di un romanzo un po’ spaccato in due, con una bellissima ed evocativa prima parte e una seconda un poco zoppicante e confusa, dove l’autore sfocia in una maldestra quanto ridondante imitazione dei plot metropolitani di Edgar Wallace.
Ma la prima parte, a parer mio, è di rara bellezza e merita un posto d’onore nell’esigua schiera dei romanzi d’evasione Italiani del novecento.
Siamo nel pieno centro di Roma, una metropoli volutamente rappresentata come una piccola città, dove tutti più o meno si conoscono di vista e capita di incontrare più volte una stessa persona per puro caso. Una Roma ordinata, spensierata e ottimista come l’Italia dei coevi, deliziosi film di Mario Camerini; il regime fascista, cosa curiosa, non vi è evocato nemmeno per caso, quindi non abbiate timore, se vi capitasse di leggerlo, di trovarci tirate nazionalistiche  o elogi all’uomo nuovo; l’Italia  del Sette bello è tranquilla e sonnacchiosa, ancora memore della grande guerra e per questo smaniosa di serenità.
In questa credibile seppur finta Arcadia ci sono 4 amici di lunga data, uniti da una robusta e cameratesca amicizia di stampo decisamente latino, che si ritrovano tutti i giorni a pranzare all’osteria del gambero verde, in piazza Cola di Rienzo; questi sono Giovanni Revere, eterno studente ultratrentenne alla terza laurea, il maggiore dei bersaglieri Biondo Biondi “Ovviamente Toscano visto il nome” e il pittore senza troppe aspirazioni Giacomo Serra; il quarto amico è in realtà una donna, Maddalena Terzi detta Maud, studentessa di medicina di origine Umbra molto giovane e carina, della quale i tre sono un po’ tutti innamorati; notare come in questo primo giallo le maglie della censura che poi afflissero gli autori nostrani di gialli sono pressoché inesistenti, visto che abbiamo una giovane e bella ragazza tanto emancipata da frequentare uomini non sposati (anche se ovviamente essa è un modello di virtù) e i personaggi, buoni ma anche cattivi, sono tutti Italiani, cosa impensabile solo pochissimi anni dopo, quando un decreto del regime stabilì che gli Italiani sono un popolo che non ha in se il germe del delitto e quindi non potevano esistere Italiani cattivi (sic).
Un bel giorno i quattro, spinti dalla noia, decidono di rispondere a uno stranissimo annuncio nel quale “una donna bellissima e ricchissima richiede un giovane coraggioso” e quando si recano all’indirizzo fornito da una seconda lettera di risposta, non appena suonano il campanello odono una detonazione; quando riusciranno ad entrare trovano una vecchia morta e una giovane in stato di choc, giovane che somiglia in modo inquietante a Maud… da questo momento i quattro si ritrovano dentro un marasma a metà tra l’incubo e quell’avventura tanto sospirata, durante la quale verranno accoltellati, rapiti, fronteggeranno misteriosi nemici, piccoli delinquentelli di borgata ma anche equivoci nobili e nobildonne; ma tutto andrà ovviamente per il meglio, perché con loro c’è Ascanio Bonichi, formidabile ispettore con folti baffi e l’ingegno di un segugio, un qualcosa a metà tra Poirot e il Corsaro nero (visto che Varaldo era di Ventimiglia come quest’ultimo…).
Peccato che l’autore a metà della storia cali subito il “sette bello”, ossia scopra il suo gioco, e chiarisca gran parte dei misteri così abilmente disseminati fino a quel momento; il tutto diventa quindi un gioco prevedibile e noiosetto, e i fedeli lettori del giallo Mondadori già all’epoca dovettero ravvisare le somiglianze, ma in peggio, coi capolavori di Wallace, e purtroppo le scene d’azione mosce, con poca suspense e tirate per le lunghe rendono improponibile il confronto col sommo autore Inglese.
Il finale poi chiarisce gli ultimi misteri ancora irrisolti e fa convolare a nozze due coppie, e tutti saranno felici tranne uno, che si rassegnerà a fare “Il quinto”, oggi si direbbe lo sfigato, del gruppo.
 Ecco, sono consapevole che magari non vi ho invogliati moltissimo alla lettura di questo sette bello, ma nonostante tutto, se trovate i una bancarella l’edizione dei GIM  o includete in un ordine online l’edizione della De Ferrari, vi consiglio comunque di leggerlo, perché almeno nella prima parte è un libro di rara piacevolezza e simpatia, scritto con una prosa amabilmente ricercata ma per nulla pomposa, dove uomini che si conoscono da anni celiano con garbo e si danno a malapena del tu, dove ci si porta rispetto reciproco e si apprezzano le piccole cose della vita come un pranzo in un’osteria in mezzo ai vicoli di Trastevere a base di abbacchio e vino pastoso, o una passeggiata verso il Pantheon o piazza Navona deserta; per un romano la lettura è quasi d’obbligo, e per i non romani che sono stati a Roma è comunque una lettura salutare, per sognare del tempo in cui la metropoli era comunque vivibile e ordinata, non il regno del caos e della diffidenza che è diventata adesso.

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