Il team di autori noto con lo pseudonimo di
patrick Quentin (4 autori, due uomini, Richard Webb e Hugh Wheeler, e la
saltuaria collaborazione di due donne, Martha Mott Kelly e Mary louise Aswell; queste
collaborarono con Webb nella stesura dei gialli degli anni trenta a fina Q.
Patrick, ma quando la firma divenne quella di Patrick quentin gli autori furono
quasi eslusivamente Webb e Wheeler, e poi il solo Wheeler dal 1953 in poi, anno
in cui Webb smise di scrivere.
La grande maggioranza dei libri sono stati
scritti dai due uomini, e il vero genio del gruppo era forse Webb, infatti,
scomparso lui, gli ultimi libri firmati Patrick Quentin appaiono dei puri noir,
talvolta splendidi (controcorrente) altre volte più convenzionali; ma Webb era
l’artefice delle trame da giallo classico all’Inglese, degli intrecci
impeccabili. Non per niente, anche se quasi tutti i libri firmati Quentin sono
ambientati negli stati uniti, Webb e Wheeler erano due Inglesi purosangue, e
forse è questo uno dei motivi del loro successo; gialli americani mutuati da
una visione britannica del genere.
Quasi mai il nome di Patrick Quentin viene
associato al gotha del poliziesco, ma secondo me non è giusto; questa firma,
forse perché collettiva, è stata fortemente sottovalutata dalla critica, ma
almeno qui da noi è una delle più longeve e ristampate; apparsi per la prima
volta nelle mitiche palmine degli anni trenta, sono stati una delle punte di diamante del giallo
americanofilo del dopoguerra, ristampati costantemente nei classici fino ai
giorni nostri, visto che ogni anno un Quentin o uno Stagge li rivedo sempre,
con enorme soddisfazione, in edicola; io li ho tutti, ma ho piacere che li
continuino a divulgare.
Questo costante proliferare non è per caso; gli
autori veramente longevi sono ormai pochi, tutti quelli più famosi e
conosciuti; ma anche tra i titani come Christie, Stout, Carr, Queen o Wallace il
povero e sottovalutato Quentin, sgomitando, riesce sempre ad essere costantemente
ripubblicato.
Come ripeto, nulla è per caso, e la redazione
del giallo Mondadori potrà essere parziale o talvolta poco accorta, ma non è
certo stupida; chi compra e legge un Quentin difficilmente rimane deluso, e
desidera di provare altri titoli della collana, se quello è il target medio di
essa. Sono quegli autori che fanno affezionare ai classici del giallo, che ne
assicurano la periodicità costante; facile puntare sui titani, ma nessuno di
loro ha scritto tanto da assicurare la bellezza di 2 uscite mensili; e perché
una collana così impegnativa per quantità e qualità continui ancora ad
assicurare buoni titoli, ci vogliono per forza i robusti artigiani, gli autori
meno celebrati di altri che però affascinano il lettore e tengono sempre alta
la bandiera (gialla…); Quentin, ma anche la sempreverde Mignon Eberhart della
quale abbiamo avuto proprio il mese scorso un validissimo inedito, Gardner coi suoi tanti ma sempre validi Perry
Mason, Ed Mcbain e il suo distretto 87, il poeta delle ombre Cornell Woolrich, Donald
Westlake e tanti altri che sono da sempre la spina dorsale di una collana che
esce, ricordiamolo, dal 1929.
E Patrick Quentin credo sia l’autore (ormai ne
parlerò come fosse una persona, ho detto e ripetuto che si tratta di uno
pseudonimo) perfetto per dare lustro a un genere, a una tradizione; di
invidiabile leggibilità, iniziò con gialli tra tè e pasticcini in puro stile
british per poi passare, dopo gli anni trenta, al giallo americano commisto col
noir e la violenza metropolitana fino ad arrivare al Thriller psicologico puro
nell’ultima fase “Wheeleriana” della sua produzione; basta leggere il suo primo
libro “Tè e veleno” del 1931 e “Controcorrente” del 1960 per capire di quanto
questo team ha saputo non solo modificare il proprio stile, ma anche cavalcare
la storia del genere e le sue mode, risultando così attuale al tempo e
piacevolmente vintage adesso.
Ok, magari non avrà scritto nessun capolavoro
assoluto, ma degli ormai parecchi Quentin che ho letto nemmeno uno tra questi
mi ha fatto cascare le braccia, mai. Ovviamente, chi scrive preferisce i primi
degli anni trenta, ma non disdegna nemmeno quelli “ammerigani”, perché sono
prodotti impeccabili.
E poi, chi dice che Quentin non abbia mai
scritto capolavori? I critici, ma non certo il sottoscritto, perché considero
gialli di primissimo livello almeno “Presagio di morte”, “E i cani abbaiano” ,
“Il segreto della morte”, “Controcorrente” e il libro di cui parlerò in questo
post, “Troppe lettere per Grace”, forse la migliore delle fioriture tardive
della Golden-age del giallo, come giustamente dice Mauro Boncompagni in un suo
articolo.
Perché questo gioiello assoluto , dapprima
passato nei GM ridotto e poi ritradotto integralmente da Marilena Caselli nella
versione apparsa nel classico del giallo 741 (sola e unica versione da
reperire, mi raccomando) sia così
misconosciuto è un vero mistero, così come è strano che la Polillo snobbi
questo autore, che meriterebbe più di un bassotto ( e visto che ha già usato traduzioni Mondadori, non credo sia nemmeno un problema di diritti).
Scritto da Webb e Wheeler, questo romanzo del
1939 è l’ultimo Quentin che segue uno schema da giallo classico all’Inglese
(tralasciando gli Stagge) ed è forse il suo libro più perfetto e appassionante,
certo quello dalla risoluzione più brillante.
L’ambientazione è quella, tanto cara alla
Polillo ( e anche al sottoscritto, visto che dopo Miss Pym è il secondo giallo
accademico consecutivo che recensisco; evidentemente, invecchiando si ha voglia
di gioventù), di un college poco lontano da New York, location che ricorda il
capolavoro “Come in uno specchio” di Helen McCloy; ma se in quel caso l’istituto
era solo per donne, qui abbiamo il classico college Americano dove ragazzi e
ragazze studiano e convivono giorno dopo giorno, con tanto di giardinetto
riservato ai convegni amorosi.
In questo microcosmo possono crearsi bellissimi rapporti di
amicizia e amore, ma anche morbosi legami ossessivi; una di queste persone che
sembra stare al college esclusivamente per seminare zizzania è Grace Houg, una
studentessa carina, pallida e dotata ma fortemente complessata e resa instabile
da recenti fatti gravi accaduti nella sua famiglia, su tutti la rovina
finanziaria e il conseguente suicidio del padre; Grace, che studia nel college
assieme all’aitante fratello Jerry, sportivo e studente modello desiderato
dalle ragazze più belle (le stesse che ovviamente dileggiano Grace), somatizza
tutto questo e da ragazza timida, goffa e invidiosa ma sostanzialmente innocua si trasforma in una
persona equivoca, che ricatta e scredita, e che finisce per innescare un perverso
gioco di omicidi e violenze; oltre a questo la vita sociale della ragazza,
circoscritta a pochissime persone, diviene intensa e misteriosa; molte lettere,
a cadenza quasi quotidiana, le giungono, ma nessuna delle sue amiche, nemmeno
la migliore di esse, riesce a sapere chi è il mittente misterioso; lo scoprire
chi è il misterioso ammiratore di Grace è uno dei punti focali dell’intero
romanzo.
La fosca vicenda è narrata in prima persona dalla
protagonista Lee Lovering, compagna di
stanza e migliore amica di Grace, una bella ed equilibratissima giovane
americana modello per la quale è già difficile immaginare un mondo meno che
idilliaco, figuriamoci affrontarlo; per fortuna avrà al suo fianco due studenti
entrambi bellissimi e innamorati di lei, il già citato Jerry Hough e Steve
Carteris, che al contrario di Jerry che ha perso tutto è anche benestante, e
soprattutto avrà vicino l’arguto tenente
Trant, che fin dall’inizio della spirale
di violenza che travolgerà Grace e tutte le persone che le ruotano attorno sarà
al fianco della ragazza, usandola come esca per l’assassino ma al tempo stesso
proteggendola dalle insidie dello
stesso; solo rischiando infatti questo diabolico omicida potrà essere
smascherato, cosa che l’astuto tenente non mancherà di fare.
Come sapete sono contrario allo svisceramento
delle trame, e in questo caso più che mai; quello che ho raccontato è solo lo
scheletro, l’ossatura del romanzo, ma ci sono molti personaggi caratterizzati
in modo eccellente, splendide descrizione della New York del tempo (specialmente
dei teatri, che hanno grande importanza in questa storia) misteri che si
accumulano e trovano una spiegazione con un’ottima alternanza e soprattutto un
eccellente doppio colpo di scena finale (altra cosa in comune col Miss Pym
della Tey) che rende il romanzo avvincente veramente fino all’ultima riga.
Ora, se lo trovate, provate a leggere questo “Troppe
lettere per Grace” e ditemi se non è un giallo di primissimo livello, e
chiedetevi stupiti come la firma Patrick Quentin non abbia la risonanza dei
titani; ma non temete, un Quentin in edicola lo troverete sempre, almeno finchè questo tipo di narrativa resterà in
auge e la più longeva e gloriosa collana di libri Italiana continuerà ad
uscire; si spera per sempre, dai.
-INTRECCIO
E SOLUZIONE FINALE; 9/10
-LEGGIBILITA’ 9/10
-ATMOSFERA 9/10
-HUMOUR 8/10
-SENTIMENTO 9/10
MEDIA VOTO; 8,8
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