A qualcuno di voi che è stato bambino e se ne ricorda, il nome di Alan Alexander Milne non deve essere del tutto sconosciuto; infatti si tratta dell’autore che creava le storie del tenero orsetto Winnie the Pooh e dei suoi amici del bosco dei cento acri, una delle cose più deliziose che possano esistere per un piccolo lettore (e non solo).
Il nome di Milne, indissolubilmente legato ai libri per l’infanzia, è noto però anche tra i giallofili in virtù di un romanzo del 1922 che, quasi suo malgrado, è finito per diventare uno degli archetipi supremi del classicissimo giallo all’Inglese della Golden age, quello degli omicidi tra un tè e una partita di golf. Questo unico romanzo giallo di Milne tradotto in Italia (a quanto pare ne scrisse anche un altro, con un ragazza amante dei libri polizieschi che si trova a vivere una vera detectiva story, uno dei libri la cui traduzione desidero di più) già ai tempi gloriosi della prima collana Mondadoriana (numero 26, anno 1930) è infatti diventato universalmente noto grazie soprattutto all’opera di demolizione di uno scrittore che credo sia l’esatto contraltare di Milne, ovvero quel Raymond Chandler che, nel suo celebre saggio “La semplice arte del delitto” prende Il dramma di corte rossa come il romanzo simbolo di ciò che si dovrebbe evitare nei polizieschi, di ciò che uno scrittore veramente bravo non dovrebbe fare, di quanto la detective story Inglese sia ingenua e superata etc.etc….tutto giusto, in fin dei conti Corte rossa è un romanzo assai imperfetto, con molte situazioni forzate e che a rigor di logica fa acqua da tutte le parti, ma Chandler, nella sua furia devastatrice, si dimentica di sottolineare un aspetto del libro che, fortunatamente, pensò a rilevare Rex Stout, col quale avrei passato una serata a conversare assai più volentieri che col bilioso Chandler; Stout, autore finissimo e critico molto arguto, lo definì “semplicemente incantevole”; ed ecco che, con due parole, Stout andò dritto al cuore, all’essenza di questo libro.
Copertina di Abbey per la prima edizione nei libri gialli
Si, perché credo che, assieme a Poirot a Styles court, Corte rossa sia il romanzo giallo di più piacevole lettura mai scritto. A differenza della divina Agatha, Milne non era un giallista nato, non voleva raggiungere chissà quali vette o riscrivere la storia del genere, voleva solo intrattenere il pubblico con un libro divertente e vivace, andando aldilà di ogni più rosea aspettativa.
Leggere “Il dramma di corte rossa” vuol dire rasserenarsi, entrare in un mondo migliore, diverso, garbato, pulito e ordinato, nonostante vi venga commesso un delitto che poi però, come nei migliori romanzi di una volta, ha il suo giusto castigo. E l’atmosfera rilassata e sognante l’abbiamo fin dal memorabile inizio, dove nella imponente magione di Corte rossa (situata nella ridente campagna Inglese e proprietà del ricco signorotto locale Mark Ablett) due donne, una governante e una cameriera, personaggi che rimarranno del tutto marginali ai fini della storia, in una calda giornata estiva durante la quale si ode solo il brusio delle api e una falciatrice lontana chiacchierano amabilmente del più e del meno,per arrivare infine infine a parlare di quello che rischia di essere un evento memorabile e sconvolgente per la sonnacchiosa contea; dopo ben quindici anni infatti il fratello scapestrato e reietto di Mark, Robert Ablett, ha annunciato il suo ritorno dall’Australia dove si era auto-confinato, mettendo il padrone di casa in uno stato di evidente agitazione, a malapena trattenuto in presenza degli ospiti della ricca dimora, simpatici scrocconi sfaccendati che a quel tempo erano parte del tessuto sociale, e tranquillamente tollerati. Quando Robert Ablett, un omaccio trasandato e dai modi rozzi, viene introdotto da una cameriera impaurita nello studio del fratello, quasi subito si ode una detonazione, ed entrando nella stanza si scopre che Robert è stato ucciso con un colpo in piena fronte e che Mark è scomparso. Apparentemente le cose sembrano andate in un solo modo possibile, ma ecco l’elemento di disturbo, ossia un giovane che capita a Corte rossa per puro caso, quasi portato dal vento come l’Innocent Smith delle “avventure di un uomo vivo” di Chesterton; si tratta di Anthony Gillingham, un giovane simpaticamente stravagante che passava da quelle parti a salutare uno degli ospiti di Mark e si ritrova automaticamente ospite a sua volta e detective improvvisato, senza che nessuno dei presenti si chieda troppo chi è quel giovane e cosa ci faccia li; la prima di quelle molte forzature e inverosimiglianze minuziosamente analizzate da Chandler, ma del resto il lettore del Dramma di corte rossa non deve pensare troppo all’ intreccio (che comunque ho trovato, se non verosimile, almeno godibile), molto meglio se si crogiola beato nelle splendide descrizioni della campagna Inglese, nella brillantezza dei dialoghi, nei personaggi deliziosamente British, nel sottile e non invasivo umorismo che permea tutto il libro, anche nei momenti più drammatici; nel suo essere incantevole, come diceva appunto Stout. E se lo si legge con il giusto spirito, il Dramma di corte rossa può diventare uno di quei libri perfetti per riportare il sole in un giorno grigio, un formidabile grimaldello per evadere da quella quotidianità che ogni lettore forte, in fondo in fondo, disprezza.
Sono d'accordo, anche se per certi versi questo romanzo ha una fama immeritata. Non mi riferisco solo al meccanismo poliziesco (che pure è molto ingenuo, secondo me), ma ad una certa tendenza all'effimero.
RispondiEliminaÈ gradevole, elegante, ma troppo leggero. Quindi trovo strano che questo romanzo sia stato conservato, nella mente dei lettori, molto meglio di altri titoli simili (come Bentley, o il primo Berkeley), con i quali ha rapporti molto stretti.
In ogni caso mi piace molto come hai argomentato; ne parlerò forse anche io, prossimamente, nel blog che ho aperto da poco (come ti dicevo qualche tempo fa): Whodunit?Houdini? (questo il link, http://lequattrobare.blogspot.it).
Ciao,
Stefano
Dunque, innanzitutto vivissimi complimenti per il tuo neonato blog (il mio festeggerà un anno proprio domani, ci saranno "festeggiamenti" per la ricorrenza), mi piace moltissmo il titolo, la grafica, il dipinto di Pinter come copertina e soprattutto gli articoli che hai postato, tutti su romanzi validissimi, che stasera mi leggerò con tutto comodo. Con la tua cultura sarà un blog di prim'ordine, ne sono sicuro, e sarà un vero piacere seguirti.
RispondiEliminaTornando a Corte rossa, condivido le tue riserve, e anche se forse non si capisce bene dal mio post io trovo le critiche di Chandler (che sicuramente conoscerai) del tutto giustificate; quello che ho voluto salvare di quest'opera è proprio la piacevolezza, il garbo, e quella leggerezza che che per te è troppa e penalizza il testo ma per me invece è quasi il solo motivo per leggere ancora oggi questo romanzo, perchè veramente l'intreccio e la soluzione finale fanno acqua da tutte le parti e il confronto coi grandissimi del genere (ma anche con Bentley o Berkeley) è del tutto impietoso.
Grazie!
RispondiEliminaChandler è dalla morale facile, parla di eccentricità quando crea personaggi altrettanto inverosimili, e soprattutto critica romanzi che è davvero troppo semplice criticare.
Quando si vuol fare una recensione negativa o, al contrario, positiva, è molto semplice: basta esaltare un lato della medaglia, tacendo del resto. È il gioco è fatto.
Chandler, semplicemente, era parziale in modo quasi manicheo verso l'hard boiled a discapito del giallo classico; molto competente in alcuni fronti, era quasi ridicolo in altri, visto che a parer mio è inaccettabile che preferisca Gardner alla Christie solo perchè "Gardner è suo intimo amico". Fece bene a rispondergli per le rime Dickson Carr nel saggio "Il gioco più bello del mondo", anch'esso parziale ma con molta ironia.
RispondiEliminaIo ho finito "Il dramma di corte rossa" qualche giorno fa, e non mi vergogno a dire che mi è piaciuto moltissimo. Mi è sembrato un giallo sempre sul filo del divertissement, e la sua leggerezza e quasi allegria -non c'è praticamente mai un momento di tensione o di reale pericolo per i due protagonisti, che fra l'altro si divertono come bambini a indagare- l'ho trovata piacevolissima. E' un romanzo che è invecchiato, sì, ma con grazia. Ed è per questo - secondo me- che pur nella sua ingenuità viene ancora citato e ricordato con affetto tutt'oggi (a differenza di altre opere più complesse e ingegnose, ma pesanti e invecchiate male e basta).
RispondiEliminaScusate ragazzi, io non sono un esperto di gialli e narrativa poliziesca, ma un'ultima cosa la devo proprio dire: Che noia 'sto Chandler! Ogni volta che vedo citato il suo saggio in un articolo (o una recensione) mi passa proprio la voglia di leggerlo.
Yue, sapevo che ti sarebbe piaciuto molto, è proprio un libro nelle tue corde! E condivido anche ciò che dici sul fatto che sia invecchiato bene, d'altra parte una graziosa vecchietta è comunque bella da vedere no?
RispondiEliminaSu Chandler che devo dirti? scriveva un genere antitetico a libri come corte rossa, per cu non credo possa piacerti..io l'ho letto anni fa quando ancora subivo il fascino delle atmosfere maudit del noir, fascinazione che ora mi è molto passata...