Dopo "Il pensionante", anelavo fortemente di
leggere un altro romanzo della Lowndes, ma l’unico altro titolo che sapevo essere
stato tradotto in italiano era nientemeno che la palmina numero 8 del 1930, mai
ristampata e quindi un libro molto raro da reperire; mi ero quasi rassegnato ad
attendere la classica botta di fortuna che può arrivare domani o mai, quando
scopro che una piccola biblioteca di Firenze, la biblioteca del Palagio
nell’incantevole piazzetta di parte Guelfa (nei pressi di piazza della Signoria)
ha nel suo catalogo PRATICAMENTE TUTTA LA COLLANA DEI LIBRI GIALLI, anche i più
rari e introvabili. Sono il sogno di ogni giallofilo, e questo sogno è a pochi
chilometri da casa mia. Purtroppo il prestito non è ammesso, si possono solo
leggere in sede, ma che importa? Ora so dove passare il mio tempo libero,e se
vi interessa e siete della zona ora lo sapete anche voi. Vantaggi di vivere a
Firenze.
E quando mi sono chiesto con quale delle palmine più
rare cominciare la lettura, ecco che la semisconosciuta Marie Belloc Lowndes si
è imposta su tutti gli altri autori più blasonati, come se un sesto senso mi
indirizzasse al suo libro. E, credetemi, il mio sesto senso ha avuto molta,
molta ragione.
Ora, io vorrei proprio essere uno di quelli che decide
le ristampe nei classici del giallo Mondadori. Certo, durerei poco, perché non
farei altro che ristampare Palmine d'antan (finendo per stufare i lettori
affezionati ad autori più contemporanei) , con quelle traduzioni accurate e
modernissime che basterebbe solo rinfrescare, e soprattutto quei titoli
veramente validi, che sinceramente non mi paiono nemmeno datati; certo, se per
datato si intende vecchio, allora tutto si data prima o poi, ma se per datato
si intende superato, spiacente (anzi no) di dire che questo romanzo della
Lowndes scritto negli anni venti dà bellamente le paghe a tanti thrillers odierni.
Perché sinceramente da tempo non mi capitava di leggere
un dramma d’anime tanto lucido ed efficace, e un tale ritratto al vetriolo
della ricca borghesia Inglese degli anni venti. Sarà che quell’epoca ha su di
me un fascino irresistibile, sarà che l’autrice abbonda in particolari e
sfumature tale da restituircela con grande vigore, fatto sta che sono
irrimediabilmente innamorato di questo libro, e vorrei tanto ma tanto poterlo
ritrovare nelle librerie o nelle edicole.
Copertina di Abbey
Tanto per la tematica spinosa che per il ricorso alla
inverted story, questo romanzo mi ha richiamato alla mente il celebre
"L'omicidio è un affare serio" di Frances Iles alias Anthony
Berkeley; come vedremo, i punti in comune tra i due libri sono parecchi.
Il romanzo inizia con un prologo ambientato in un’aula
di tribunale, dove si discute il caso dell’omicidio di un ricco e meschino
borghese di nome ( purtroppo devo usare i nomi Italianizzati, unico difetto
della leggendaria collana Mondadoriana) Battista Raydon, avvelenato con
l’arsenico e del cui omicidio è sospettata la bellissima, frivola e sensuale moglie
Eva, già vedova di guerra al suo secondo matrimonio, una farfallina spensierata
e inconsapevole dei problemi che crea la sua condotta, una cicala (Toscani,
niente battutine scontate) tra le formiche, un personaggio che si dovrebbe
odiare e al quale invece ci si affeziona quasi.
Battista ed Eva vivono in una incantevole casa nella
campagna vicino a Londra, una bucolica magione denominata “Il mulino”, voluta soprattutto dalla donna. La casa è
mandata avanti con efficienza da Adele Strain, anch’essa vedova di guerra con
figlio a carico, governante e dama di compagnia, personaggio chiave del libro;
amica di vecchia data di Eva, le due vivevano insieme ai tempi della guerra, e
Adele, ancor giovane ma precocemente sfiorita e priva di bellezza, accorta e
pratica quanto Eva è distratta e scapestrata, riesce a far quadrare il bilancio
nonostante le dispendiose abitudini di Eva, che si contrappongono tra l’altro
alla natura avida e gretta di Battista, che si rifiuta perfino di concedere all'amatissimo
figlio di Adele di andare a trovare la madre al Mulino per non dovergli dare da
mangiare.
Il conflitto tra la dispendiosa moglie e il controllato
marito giunge al culmine quando alcuni creditori si presentano a Battista
reclamando debiti per quasi tremila sterline, cifra enorme per l’epoca; Battista
obbliga la moglie a intaccare pesantemente la sua rendita di vedova di guerra
per pagare i debiti, ma proprio in quei giorni l’elegante e piacente Giacomo Mintlaw
, fiamma di Eva ai tempi della guerra, ritorna ricchissimo dal Canada (dove ha
fatto fortuna con la corsa all'oro) e subito ricontatta la giovane donna, che
ai vecchi tempi si limitava a flirtare con lui (e forse a concedersi di tanto
in tanto, penso..) senza pensare a far le cose seriamente, mentre per Giacomo
lei era ed è rimasta l’amore della vita; rivedendolo di nascosto al marito la donna, intimamente
lusingata da queste attenzioni, seppur sposata ricomincia con nonchalance quello
snervante gioco d'amore. Giacomo, manovrato come un burattino, non esita a
pagare i debiti di Eva evidantole ogni altro gravoso fastidio, ma Battista, che
ovviamente non sa dell'esistenza di Giacomo, pensa che le finanze della coppia
siano ormai gravemente intaccate, e impone alla moglie alcune restrizioni tra
cui quella di licenziare Adele, cosa che la donna, in fondo stufa dell'amica
che con la sua praticità le impone limitazioni e doveri per lei seccanti, accetta
di fare a malincuore ma senza troppi patemi. Ma Adele, alla prospettiva di
ritrovarsi povera, senza un lavoro e con un figlio ancora piccolo da mantenere
(nel terribile capitolo in cui un impiegato dell'agenzia di collocamento le
spiega garbatamente che di donne brutte nessuno sa che farsene si capisce
quanto in fondo le cose siano sempre andate nello stesso desolante modo) decide
di rubare dell'arsenico e avvelenare il cocktail serale di Battista, sia per rimanere al Mulino (sa
benissimo che Eva, incapace di cavarsela da sola, la farebbe restare) che per
favorire un successivo matrimonio di Eva col dolce e simpatico Giacomo. Quando
Battista, che soffriva da tempo di ulcera allo stomaco, muore tra atroci
tormenti (spietatamente esposti dall'autrice), l'anziano dottore del villaggio
non sospetta minimamente che la morte sia dovuta ad altro che a una
perforazione ulcerosa; ma la madre di Battista, che da sempre odia Eva, quando
tutto sembra ormai archiviato convince le autorità a effettuare un'autopsia, la
tremenda verità viene scoperta e, dopo che il suo ambiguo rapporto con Giacomo viene
alla luce, Eva viene accusata del delitto e arrestata.
Quindi, a questo punto, si innesca il meccanismo del
suspense; cosa farà Adele? lascera condannare l'amica o espierà la sua colpa? e
poi Eva, col suo appeal e la sua aria da bambina distratta, potrà comunque convincere
i giurati della sua effettiva innocenza? E, proprio come nell' "Omicidio è
un affare serio", ci troviamo divisi tra la voglia di giustizia e la pietà
per il colpevole; Adele è forse una persona migliore di Eva e una vittima di
quella società che lei ha sempre onorato come un comportamento fino a quel
momento irreprensibile, ma al tempo stesso ci fa orrore che Eva, seppur con le
sue mancanze, venga impiccata per qualcosa che non ha commesso. Battista
Raydon, come l'odiosa moglie del dottor Bickleigh, merita forse un severo
castigo per la sua grettezza, ma non certo una morte lenta e dolorosa come
l'avvelenamento da Arsenico.
Nello splendido finale poi l'incubo si dissolverà, ma a
caro prezzo per tutti. Non voglio spoilerare più di quanto abbia già fatto
perchè questo libro, magari cercandolo nelle biblioteche (non ci sarà solo a
Firenze) merita assolutamente di essere letto, vissuto e amato, perchè oltre a
essere una inverted story e un procedural di prima categoria è perfetto un con grande convinzione,
sarebbe un romanzo pressochè perfetto per essere riproposto dalla Polillo nei
suoi bassotti. Ma visto che la traduzione in Italiano esiste ed è bellissima
(come tutte quelle di Giuseppina Taddei), la Mondadori non potrebbe estrarre
dal suo caveau questo lingotto d’oro? Editor, se mai leggeste queste righe, un
pensierino fatecelo, perché non è giusto che grandi romanzi come questo siano
destinati a rimanere una rarità. esempio di
“melodramma contenuto” di stile Anglosassone, nel senso che seppur i personaggi
amino, odino e spasimino lo fanno senza andare sopra le righe, e l’autrice
riesce a trasmetterci emozioni sconvolgenti senza nemmeno una scena madre, il
tutto con grandissima eleganza, proprio come nel "Pensionante" aveva
saputo appassionarci all'apparentemente deprimente esistenza quotidiana di due
vecchi senza un soldo. Non so se due indizi facciano la prova che la Lowndes
era un’autrice di prima grandezza, ma certamente questi romanzi disponibili nel
nostro paese sono due capolavori di stile, di gusto e di tensione emotiva. E
questo, lo dico
Fantastico! Pensare che avevi un tale "tesoro" così vicino e a portata di mano! Mi sembra quasi inutile aggiungere che la tua recensione mi ha fatto venire una voglia matta di leggerlo (come sai, io amo moltissimo le inverted story) , ma al momento non ho in programma gite a Firenze, quindi non mi rimane che sperare in un eventuale ristampa. La vedo poco probabile, ma chissà!
RispondiEliminaMagari nel prossimo autunno, in una di quelle giornate corte, grigie e piovose fatte apposta per leggere, potresti prenderti una giornata per rintanarti nella biblioteca in compagnia di questo libro; anche perchè la ristampa la vedo davvero improbabile, ormai da troppo tempo non vengono riesumate le antiche palmine...
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