Con le prime piogge spazza-estate ( la stagione più amata dagli Italiani e più odiata dal sottoscritto) e annesse temperature fresche, mi prende una voglia irresistibile di lasciarmi andare a qualche romanzo gotico e fosco, perfetta lettura per giorni grigi e sempre più corti.
E siccome i pochi romanzi gotici disponibii in Italiano li ho letti un po tutti ( Ann Radcliffe a parte che mi spaventa un po) ho deciso di riaffrontare, a distanza di parecchi anni dalla prima volta, il testo che per il romanzo dell’orrore è quello che i delitti della rue Morgue sono per la letteratura poliziesca, ovvero The castle of Otranto di Horace Walpole.
Questo libro, molto citato e credo di poter affermare molto poco letto, è ancora presente nelle librerie proprio per questo primato che rappresenta, altrimenti avrebbe verosimilmente fatto la fine di tanti romanzi del settecento, ormai curiosità per filologi e appassionati difficili da reperire anche in lingua.
una vecchia edizione economica che ho molto cara...
Eppure secondo me questo libro merita ancora una lettura e dell’affetto; scritto da un autore prolifico ma non esaltante nel 1764, è uno dei primi esempi di finzione letteraria in cui l’autore dichiara mendacemente di aver riesumato in una oscura biblioteca un manoscritto scritto secoli prima, il quale racconta una fosca storia dei tempi delle crociate, appunto quella che ci si appresta a leggere. Evidentemente questo espediente era all’epoca necessario per retrodatare una storia, ed è stato poi usato da Manzoni, Potocki e tanti altri, non ultimo un ironico Umberto Eco, che fa passare il suo nome della rosa anch’esso per un antico manoscritto ritrovato.
Forse l’ autore optò per questa soluzione in quanto era nelle sue intenzioni scrivere un romanzo di impianto cortese, alla Crethien de Troyes per intendersi ( i cui romanzi cortesi editi nei classici Mondadori sono davvero molto carini); infatti credo che metà delle 130 pagine del testo siano dialoghi in cui i nobili protagonisti usano forme esasperate (e talvolta esasperanti) di cortesia, e infatti la fluidità del dialogo non è certo uno dei pregi di questo strano romanzo; però vi è inventiva, bizzarria, e anche del mistero; infatti la vicenda, pur ammantata di soprannaturale, è anche un vero e proprio “giallo” perchè i misteri legati ai presonaggi sono molti e taluni vengono spiegati solo nell’ultima pagina, come in ogni buon poliziesco.
Dunque, la storia si svolge attorno al 1100 nel castello del bellissimo borgo costiero di Otranto, nella odierna Puglia meridionale, all’estremità del tacco dello stivale; una mia amica vi è stata e ha visitato il castello, e mi ha detto che pur essendoci troppo sole e troppa bellezza per rendere credibile una storia gotica in quei lidi, il maniero è veramente suggestivo e d’effetto.
Qui vi troviamo Manfredi, il signore del posto, un brutale e rozzo tiranno la cui parola è vita o morte per i suoi sudditi; Manfredi è sposato con Ippolita e ha due figli, Corrado e Matilda (anche se nel romanzo i nomi sono anglicizzati, data l’ambientazione mi pare più consono usare i nomi nella versione Italiana), il primo malaticcio e insofferente e la seconda bellissima ma decisa a consacrarsi alla vita monastica, forse per un disgusto verso gli uomini derivatogli dal padre. Il castello è in festa per le nozze del primogenito con la poco entusiasta Ippolita, sposa voluta da Manfredi per oscuri motivi poi spiegati in corso d’opera; ma il matrimonio non s’ha da fare, in quanto Corrado viene trovato morto, schiacciato sotto un elmo di proporzioni gigantesche; è un mistero oscuro e insondabile, come se una forza misteriosa e terribile avesse voluto impedire le nozze.
Manfredi, uomo istintivo e poco portato al raziocinio, non fa nemmeno freddare il corpo del figlio che decide di ripudiare la moglie ormai anziana e sposare lui stesso la riluttante Isabella, in modo da assicurare una discendenza al suo casato; ma da questo momento si attiva un inarrestabile ottovolante di fughe, segreti inconfessabili, fanciulle in pericolo, agnizioni multiple, misteriosi cavalieri muti e minacciosi, servette scaltre, contadini troppo furbi e fieri per essere veramente tali e frati con un passato misterioso. E ovviamente apparizioni e spettri di vario tipo, anche se usati come deus ex machina per risolvere la storia e assolutamente non preponderanti nell’economia della trama; il romanzo in realtà di orrorifico ha ben poco, è più un fosco drammone in cui sono in gioco virtù e vizi decisamente terreni come la gelosia, la brama di potere e soprattutto la lussuria.
Però il romanzo è ancora leggibile e piacevole proprio per una sua peculiarità decisamente da romanzo poliziesco; infatti si palpita per le vicissitudini che occorrono ai buoni, e ci si chiede il perchè della perseveranza diabolica degli atti nefandi del principe Manfredi; insomma, come accade per ogni buon poliziesco la curiosità e la voglia di leggere non vengono mai meno, pur con i ridondanti e artificiosi dialoghi che datano inevitabilmente l’opera, che credo comunque più che degna di essere salvata e tramandata... almeno fino a quando ci saranno persone capaci di commuoversi per fanciulle virtuose minacciate e cavalieri senza macchia e senza paura.
-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE; 8/10
-LEGGIBILITA’ 7/10
-ATMOSFERA 9/10
-HUMOUR 6/10
-SENTIMENTO 10/10
MEDIA VOTO; 8
Non l'ho ancora letto seppure l'abbia spesso incontrato nelle mie ricerche. Mi rifarò con le edizioni zeroquarantanove della Newton, anche se sto leggendo 'La casa dei pini fruscianti' della Green, e l'EBook è infarcito di errori di conversione (vedi CLE al posto di CHE ecc)
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