La storia del poliziesco, come per tutti i generi, è fatta di grandi autori riconosciuti ( a volte anche sopravvalutati), di un mare di mestieranti dal discreto al mediocre e infine dagli outsider, ossia coloro la cui produzione è limitata e talvolta nemmeno eccelsa qualitativamente ma che riescono a piazzare 1 o 2 romanzi capolavoro, perfetti e definitivi, che li proiettano per sempre, anche imprevedibilmente, nell’olimpo dei grandi giallisti. In questa categoria mi vengono in mente Hake Talbot, il duo Bristow e Manning, Ethel Lina White, David Frome, Guy Cullingford e tanti altri.
E nella categoria dei grandi outsider rientra sicuramente Helen McCloy, scrittrice americana la cui produzione fu buona ma non trascendentale; di questa autrice ho reperito in Italiano “la stanza del silenzio” che è bello ma non eccezionale, “alias Basil Willing” carino e nulla più e infine Panico, che è stata una delusione totale, in quanto prevedibile, privo di ritmo e con un cifrario talmente complesso che a meno di essere enigmisti sopraffini non è proprio possibile riuscire a decifrare.
Quindi la McCloy avrebbe tutte le caratteristiche della giallista di secondo ordine da ripubblicare nei classici del giallo di tanto in tanto, se non ci avesse lasciato “Come in uno specchio” (In trought glass Darkly), che è un romanzo di tale indiscutibile valore da essere presente in quasi tutte le classifiche più autorevoli, e anche nella mia modestissima Top Ten.
Il libro è disponibile in libreria grazie all’impagabile Polillo (che dell'autrice ha pubblicato anche il già citato Panico), ma era già uscito per Mondadori nella collana dei classici del giallo col titolo “lo specchio del male”; la Polillo ha ripreso pari pari l’ottima traduzione Mondadoriana di Marilena Caselli, per cui se trovate in una bancarella il volumetto Mondadori prendetelo pure tranquilli.
Questo libro, come tutti I capolavori, riesce a essere più cose in una; un libro scritto benissimo, con una tecnica del suspense pressochè insuperata che riesce a mantenere costante l’angoscia per 250 pagine senza il minimo cedimento, personaggi approfonditi dal punto di vista psicologico come raramente se ne trovano nella narrativa di genere e soprattutto una vicenda che fino all’ultimo capitolo sembra soprannaturale e demoniaca per poi avere, come in ogni buon giallo che si rispetti, una soluzione del tutto terrena...anche se permane una certa ambiguità di fondo che non dissolve del tutto l’incubo. In questo il romanzo è più simile ai racconti di Chesterton con padre Brown che agli enigmi impossibili alla Carr, in quanto non presenta atmosfere sovrabbondanti e fuori dal tempo, ma si svolge nell’amena tranquillità di un college per ragazze a un’ora di strada da New York; quanto questa amenità sia apparente, il lettore vedrà da solo.
Parlare di questo romanzo è quasi impossibile senza incorrere in spoiler, cosa che mi guardo bene dal fare perchè se qualcuno si azzardasse a lasciar trapelare anche la minima informazione riguardo alla trama meriterebbe poi contrappassi alla Hammurabi.
Però per invogliare la lettura si può riassumere l’inizio.
Immaginatevi una giovane insegnante di disegno di nome Faustina Crayle, magra e pallida, timida e delicata, quasi una parente stretta di Jane Eyre o di Agnes Grey. Un brutto giorno questa irreprensibile docente viene chiamata in ufficio dalla direttrice e licenziata su due piedi, senza referenze e soprattutto senza che le sia fornito un motivo vero e proprio. Non che il motivo non ci sia, anzi c’è ed è terribile, inquietante; ma l’autrice si diverte a non dircelo, a lasciarci sulle spine.
La povera Faustina se ne va senza una spiegazione e con molti rimpianti, disperata per il proprio futuro; confida le sue pene a un’altra insegnante, Gisela von Hohemens, insegnante madrelingua di tedesco (ma in realtà viennese) bella e giunonica, determinata e volitiva, che incaricherà il suo amico-amante Basil Wiling, lo psichiatra-detective principale personaggio ricorrente della McCloy, di fare luce su un caso che col passare dei giorni assume toni sempre più assurdi e vagamente demoniaci.
Cosa abbia allontanato Faustina dal college lo sapremo solo a pagina 72, ossia quasi a un terzo del libro; a quel punto gli interrogativi si accumulano, sempre più angoscianti, mentre vaghe e recondite presenze spettrali circondano i personaggi ed esulano dalla pagina, ghermendo anche l’attonito lettore che pur al sicuro nella sua stanza inizia a sentirsi minacciato come la povera Faustina. Vi sembro esagerato, che un libro non possa trasmettere una tale partecipazione emotiva? leggetelo e poi me lo ridirete.
Il romanzo poi avrà uno scioglimento da manuale; certo presenterà qualche elemento un po forzato,ma sempre meno di quanto possa succedere nei romanzi di Carr, o in tour-de-forces trionfali ma estremamente azzardati come Dieci piccoli indiani; la spiegazione logica c’è, e pur con qualche crepa tiene alla grande. Ed è questo che fa del romanzo un capolavoro assoluto, riuscire a risolvere una questione sulla carta impossibile in maniera chiara e compiuta. E si che gli indizi per arrivare alla verità ci sono, il romanzo è onesto anche in questo senso; a una terza rilettura, ormai fatto e rifatto fesso, mi sono saltati tutti all’occhio.
In ogni caso in Come in uno specchio non conta tanto l’arrivo quanto il viaggio per raggiungere la meta; l’autrice fa sfoggio di una penna davvero magnifica, con riflessioni importanti e mai banali sull’amore, la giustizia, l’assurdità delle cose che ci capitano; quindi anche un libro sopraffino anche dal punto di vista letterario, al quale contribuisce la già citata eccellente traduzione.
Insomma, come disse Pietro Citati (parlando del Dono di Nabokov), cosa fate ancora a casa? Piantate tutto ciò che state facendo e correte in libreria; “Come in uno specchio” è li che vi aspetta.
-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE; 10/10
-LEGGIBILITA’ 10/10
-ATMOSFERA 10/10
-HUMOUR 8/10
-SENTIMENTO 9/10
MEDIA VOTO; 9,4
Segnato. Per leggere tutto ciò che mi piacerebbe, credo che una sola vita non mi basti, però!
RispondiElimina