“Oh, no , ancora un Fergus Hume, che noia!!” diranno i miei pochi ma fedeli lettori. Lo so cari amici, sono già al quarto post sul vecchio Fergus, e vi annuncio subito che non mi fermerò fino a che non avrò recensito tutto il materiale reperibile sull’autore; manca ancora il commento su “L’uomo dai capelli rossi”, poi sui due romanzi editi dalla Garden (Il talismano azzurro e Terrore nell’ombra) e perfino un racconto breve edito dalla Polillo; per cui dovrete bervi l’amaro calice fino in fondo, temo.
Perché “spingo” così tanto un autore ormai sempre più lontano dalla sensibilità moderna? Primo, perché lo adoro e siccome lo staff del blog è composto solo dal sottoscritto il suo parere non è sindacabile, e secondo perché credo che Hume sia uno dei migliori antidoti al “tedio della vita moderna in campagna e in città”, come recitava un antico slogan del giallo Mondadori.
Si, perché ogni volta che il genere umano mi disgusta con le sue meschinità, mi chiudo nella mia stanza, apro un libro di Hume e riprendo fiducia nella vita, curandomi l’anima con quei bei melodrammi a sfondo giallo-rosa, ma un melodramma inteso in senso anglosassone, quindi senza le esagerazioni strappacore stile Invernizio e con un gran senso del ritmo e dei personaggi, stereotipati e prevedibili (come le trame) ma sempre ottimamente gestiti, tanto che sembra di ritrovare ogni volta dei vecchi amici.
Ora, prendiamo questo “Come una morsa”, titolo originale “Jonah’ s luck” e pubblicato per la prima volta nel 1906, uno dei libri migliori dell’autore e anche più rappresentativi della sua poetica. Per adorarlo, vi garantisco, bastano le prime due pagine; si, perché l’autore inizia il romanzo nientemeno che con una citazione dei Miserabili di Victor Hugo, precisamente della famosissima (e sempre meravigliosa, non c’è nulla da fare) sequenza dell’incontro di Jean Valjean con Cosette, quando la bambina vacilla sotto il peso di un enorme secchio d’acqua e l’ex forzato redento le si avvicina e, senza farsi nemmeno sentire, le sfila il manico del secchio dalla manina e glielo porta fino alla locanda dei perfidi Thenardier.
Ora, anche il romanzo di Hume inizia con una ragazza di nome Elizabeth (ma non una bambina, questa è già una giovane donna in età da marito) gracile, pallida e delicata che si trova nella stessa situazione di Cosette; e il Valjean della situazione (anche se ben presto, visto l’inevitabile amore a prima vista tra i due, diventerà un novello Marius) è Jonah Herries, un giovane laureato in medicina la cui pur breve vita ha riservato solo rovesci e amarezze, che si aggira per le native paludi dell’Essex dopo essere fuggito dal crudele capitano di una nave appena giunta in porto, nella quale era medico di bordo. Jonah, dopo aver aiutato la ragazza (che per essere una sguattera ha un aspetto e dei modi decisamente troppo raffinati…) arriva dai perfidi Narby/Thenardier, i gretti e sgarbati padroni della locanda. In questa il giovane, con gli ultimi spiccioli, si ferma per la notte…e il mattino dopo, quando si sveglia, vede accanto a se un rasoio insanguinato, e subito dopo viene scoperto nella stanza attigua un cadavere con la gola tagliata. Tutti i presenti, gente di rara ottusità, sospettano subito del giovane (tranne ovviamente Elizabeth), la polizia viene chiamata ma il giovane, vistosi perso, riesce a fuggire e a darsi alla macchia allo scopo di trovare lui stesso il vero assassino (particolare che Hitchcock avrebbe adorato); la situazione si fa disperata, ma Jonah per una volta nella vita non è solo, con lui c’è la misteriosa ELizabeth, l’intelligente dottor Browne che lo conosce fin da quando era piccolo, e per un pittoresco saltimbanco ex-poliziotto amico di Elizabeth (giusto, dopo i miserabili mettiamoci anche L’uomo che ride con la citazione di Ursus, Hume doveva amare molto Hugo) che nasconde il fuggiasco nel suo carrozzone.
Da qui parte una intricata, complicata e amabilmente improbabile storia a sensazione che dopo innumerevoli confronti anche cruenti tra buoni-buonissimi e cattivi- cattivissimi si risolve tutto per il meglio; Jonah ed Elizabeth si ritrovano felicemente sposati e pure ricchi per una serie di eventi (oddio, che spoiler, non lo avreste mai detto vero?) e i cattivi pagano con gli interessi le loro colpe.
Un’ulteriore motivo di interesse del romanzo è che presenta nella stessa storia addirittura due Dark Ladies; nel 1906 (anno di uscita del romanzo) i personaggi femminili dei romanzi polizieschi e pseudo-tali erano più o meno tutte delle mezze sante, o se delinquevano è perché vi erano costrette da qualche lestofante; invece qui le donne sono capaci di grandi odi e di grandi misfatti, sia per amore che per denaro; una bella novità per l’epoca.
E poi, che ritmo, che splendida struttura narrativa! La storia fila che è un piacere, e se ai tempi della prima uscita il traduttore dei Gialli economici Mondadori ha tagliato qualcosa, lo ha comunque fatto con estrema cura. Come ho detto, la verosimiglianza non è un punto di forza del libro, ma chi se ne frega? Hume in fin dei conti è quanto di più vicino al poliziesco inteso come “fiaba realistica per adulti”, e vi posso garantire che tra le pagine di questo libro per un paio d’ore si viaggia beati in un’altra epoca, forse migliore e forse peggiore della nostra, ma dove almeno si scriveva con estremo garbo e si leggevano con piacere storie deliziose come questa.
Se mi citi Hugo, per quanto mi riguarda, sei già a metà dell'opera: hai tutta la mia attenzione :D Mi segno il titolo!
RispondiEliminaPurtroppo le somiglianze tra Hugo e Hume, a parte il cognome assai simile, si esauriscono nelle prime tre pagine; ma la scena di Cosette è rievocata in modo veramente amabile, quindi ti consiglio davvero la lettura dell'inizio... e delle successive 97 pagine ;)
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