Una delle cose più belle che possono capitare a un lettore è quella di trovarsi tra le mani dei romanzi che si scoprono essere tanto nelle proprie corde da scivolare completamente dentro di essi e ridurre la realtà a un fastidioso rumore di fondo, scordandoci perfino di avere fame o dover timbrare il cartellino.
Se siete lettori irriducibili, conoscerete sicuramente tale sensazione, e saprete anche quanto raro sia questo piacere, che di buoni libri ce ne sono tanti ma quelli veramente splendidi e indimenticabili risultano essere assai meno. Nei giorni scorsi, con “The great impersonation” ho provato ancora queste piacevolissimi palpiti.
Edward Phillips Oppenheim era un autore Inglese che scriveva storie tra il thrilling, la spy-story e il melodramma sentimentale; la parte spionistica la conosceva bene perché era lui stesso un agente segreto, e infatti i suoi libri sono sempre vicini all’attualità dei primi 30 anni del secolo scorso. I romanzi dell’autore che ho letto, come il curioso “I gioielli degli Ostrekoff”, cronaca di un’avventurosa fuga di un Inglese e una bella spia dalla Russia in piena rivoluzione, o anche “L’uomo venuto dal cielo”, (che ho nella meravigliosa edizione dei romanzi della palma Mondadori anni 30 che proponevano romanzi sentimentali illustrati, una versione rosa dei Gialli economici)che racconta di un soldato Tedesco che si innamora di una ragazza inglese, denotano che Oppenheim pareva conoscere bene, oltre ai compatrioti, anche altre realtà e mentalità europee, e le sfruttò con maestria nella sua narrativa.
Peccato che, come per Hume e Fletcher, la sua produzione è giunta in Italia abbastanza diffusamente ma in traduzioni talvolta fortemente mutilate; infatti quasi tutti i suoi titoli sono usciti o nei GEM e Romanzi della palma (che si sa essere sforbiciati non poco) o, ancora peggio, nella “Biblioteca delle signorine” della Salani, romanzi che erano curati da traduttori ben più mediocri che quelli della Mondadori, con versioni al limite del leggibile; peccato, perché questo autore avrebbe meritato ben altro trattamento. Inutile sperare in altre traduzioni, inutile sperare anche nella Polillo, Oppheneim è sicuramente destinato all’oblio, troppo ingenuo e demodè in un mondo che predilige i furbi e i disillusi. Ma a salvare una seppur piccola parte della sua produzione e soprattutto a TRADURRE INTEGRALMENTE il suo capolavoro ci ha pensato prima la mai troppo rimpianta Garden Editoriale, e poi la Newton, che nel giallo economico ha rieditato alcuni suoi lavori dei GEM in traduzioni “Opportunamente rivedute e aggiornate” e soprattutto ha riproposto su più ampia scala la traduzione Garden del Grande impostore.
Leggere Oppenheim in traduzione accurata e integrale mi ha fatto lo stesso effetto di Fergus Hume, cioè tanta ammirazione ma anche tanto rimpianto di non avere integrali anche gli altri suoi libri, e non poter quindi giudicarlo per come veramente merita. Ma resta il fatto che, in edizione integrale, questo grande impostore è una vera delizia.
Una premessa; il libro è spesso citato tra i “Ruritanian romance”, ma in realtà non è ascrivibile a questo sottogenere narrativo che come è noto tratta di avventure in regni realistici ma inesistenti nella realtà, con preferenza alle oscure repubbliche balcaniche, forse perché cento e passa anni fa davvero dei Balcani non si sapeva niente. Il romanzo di Oppheneim invece è ambientato in luoghi realmente esistenti; si comincia con l’africa coloniale Tedesca, per finire in Inghilterra non tralasciando una rapida puntatina in Germania.
No, Il grande impostore è da catalogare in quel meraviglioso (almeno per chi scrive) sottogenere del “E’ lui o non è lui?” ossia incentrato su un personaggio che per i più disparati motivi se ne va di casa (o viene creduto morto) e torna dopo anni profondamente cambiato tanto da far chiedere ai suoi stessi cari se la persona è realmente lui o solo un sosia che lo impersona alla perfezione; un canovaccio che nella narrativa Thriller ha spesso prodotto delle vere meraviglie, si pensi al Ritorno dell’erede di Josephine Tey, forse il più alto risultato in questo senso, oppure all’ Automa di Carr dove l’identità incerta di uno dei protagonisti è uno dei punti focali del tortuoso intrigo, o anche al romanzo d’esordio di Patricia Wentworth “Lo smemorato di Colonia” passando per il più moderno “Il capro espiatorio” di Daphne du Maurier, sorta di versione adulta e amara del sosia impostore.
Ma come per ogni filone ci voleva un precursore, un romanzo che aprisse la strada ai pur pregevoli epigoni; e ci pensò appunto Oppenheim, nel 1920, a pubblicare questo godibilissimo mystery che lascia col fiato sospeso fino alla fine, ovviamente se si è bendisposti a sorvolare su quelle licenze che al lettore d’oggi paiono quasi sempre ingenuità narrative.
Scritto quando la grande guerra era ormai terminata, Oppheneim ambienta la vicenda appena prima l’inizio di essa, quando si avvertivano le prime avvisaglie di un possibile conflitto ma nessuno vi credeva veramente, e l’opinione pubblica era spaccata tra coloro che vedevano nel Tedesco un nemico e gli ottimisti che invece ne avevano grande stima e speravano in una proficua amicizia tra i due popoli.
Il sipario si apre nell’Africa coloniale Tedesca (l’attuale Namibia) dove un po’ troppo casualmente due uomini, un Barone Inglese di nome Everard Dominey e un nobile Tedesco di nome Leopold Von Raganstein, che si somigliano moltissimo e per giunta si conoscono anche (erano al college insieme, il mondo è piccolo si sa..) si incontrano nel bel mezzo della savana. L’inglese si trova in quelle lande per sfuggire a un passato burrascoso; è ridotto a un ubriacone disilluso e provato, pieno di debiti e con una moglie un tempo innamorata ma che per una complicata serie di eventi lo crede un assassino e ha promesso di ucciderlo se dovesse mai rivederlo (queste pericolose virate stile Invernizio spesso e volentieri rischiano di far scivolare nel burrone del ridicolo l’autore, che però riesce sempre a dare il colpo di reni e riprendersi prima della catastrofe) Il Tedesco invece è stato esiliato dal suo paese per aver ucciso in duello un pari casta; ma mentre l’Inglese è poco più che un relitto umano, il Tedesco è un uomo determinato, intelligente e nel pieno delle forze, e assieme a un medico e all’aiutante di campo concepisce un piano diabolico; uccidere l’inglese, recarsi in Inghilterra, sostituirsi a lui (naturalmente il Tedesco è poliglotta e sa tutto di Lord Dominey)e avere così accesso alla camera dei Lord e ai piani alti del servizio segreto, per spieggiare con tutto comodo.
Ovviamente però sostituirsi a un’altra persone che viveva una vita antitetica alla propria non è facile per Von Raganstein, che si troverà ad affrontare pericoli e nemici di ogni genere, sempre sul filo del rasoio; a complicare il tutto una moglie affetta da momenti di follia (è perfino perseguitata da un fantasma che ulula ogni notte sotto la sua finestra) ma terribilmente seducente, e innamorata a prima vista di quella bella copia del marito che contrariamente a prima è premuroso con lei, non fuma, non beve e non la tradisce con mezza Contea.
Quindi la storia, che a raccontarla così sembra sciocca e prevedibile, fila via invece come un treno, divertente e brillante e incredibilmente convincente nell’assunto, e con un finale a sorpresa che per potenza e impeccabilità mi ha ricordato quello del “Cerchio rosso” di Wallace.
Insomma, questo cocktail di mistero, spionaggio e passione ha un sapore strano, per gustarlo appieno occorre una grande capacità di sospendere l’incredulità e di far volare la fantasia, cose che molti lettori non amano fare. Ma in ogni caso consiglio di provarlo, sperando che sia presto disponibile l'e-book a 0,49. Scrittori come Oppenheim meritano sempre la nostra attenzione e il nostro rispetto, perché sono riusciti a far credere che storie come “Il grande impostore” potessero essere vere.
Di Oppenheim confesso di non aver letto nulla, pur avendo nella mia collezione (prima che un infausto trasloco mi facesse perdere una buona parte dei volumi -__- ) "A tradimento" e "Il documento segreto" che rammento iniziai a leggere, ma non finì. Il titolo invece oggetto di questo articolo non lo conoscevo, ma da come ne parli è uno di quelli da recuperare. E la lista dei recuperi si allunga in maniera spaventosa, ma ne sono felice ^^ grazie ancora
RispondiEliminaPurtroppo i due Oppheneim che non hai finito sono ripresi da traduzioni vecchie e incomplete, e forse anche per questo ti sei sentita portata a interromperli; purtroppo tanti romanzi di autori molto bravi come Anna Green o Fergus Hume nelle vecchie traduzioni anni trenta risultano talmente tagliate da finire per risultare piatti, sia per lo spessore dei personaggi che per le atmosfere che perdono gran parte della loro potenza evocativa. Ma se ti capita questo "Grande impostore" recuperalo, potrà anche non piacerti ma perlomeno potrai avere un vero riscontro delle potenzialità dell'autore.
RispondiEliminaLetto con molto piacere e piuttosto velocemente. Ci si lascia trasportare volentieri in questa atmosfera d'altri tempi, fatta di onote, misteri, passioni, sensi di colpa, alle soglie della grande guerra. E si sorvola come dici tu sulla parte un po sentimental- teatrale della moglie squilibrata ma poi alla fine tutto torna e questo fa apprezzare ancora di più il romanzo.
RispondiEliminaHo letto l'edizione della Castelvecchi. Omar che tu sappia è integrale?
RispondiEliminaCiao Ornella, credo che si, la Castelvecchi sia la migliore edizione disponibile in Italia di questo romanzo.
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