Gli esordi dei grandi autori di libri polizieschi non
sono stati certo tutti dello stesso livello; c’è chi ha iniziato col botto
piazzando subito un romanzo-capolavoro ( Agatha Christie, John Dickson Carr,
Anna Katherine Green, Mignon Eberhart, Edgar Wallace, A.E.W. Mason) Esordi
molto buoni ma inferiori alle opere successive ( Arthur Conan Doyle, S.S. Van
Dine, Rex Stout, Dorothy Sayers, Cornell
Woolrich, Patrick Quentin, Ellery
Queen, Josephine Tey, Anthony
Berkeley) e altri esordi un poco incerti e migliorabili (Christianna
Brand, Charlotte Armstrong, Mary Rinehart), dovuti sia alla giovane età dello
scrivente sia al rodaggio di esso verso un genere mai affrontato prima.
Per la grande Margery Allingham, una delle autrici più
originali della storia del giallo, che scrisse alcuni dei libri più geniali e
sregolati del genere come “Morte di un fantasma”, “Dolce pericolo” e
soprattutto il complicatissimo e affascinante “L’ora del becchino” ( uno dei
gialli più ostici da affrontare, visto che non è affatto facile seguirne
l’intreccio e la prosa quasi alla Lewis Carroll, e anche il sottoscritto lo ha
assunto a piccole dosi ) è valsa invece la regola dell’esordio incerto, molto
volonteroso e pieno di spunti ma che non lasciava certo presagire l’altissima
qualità della produzione successiva.
E la Allingham è cresciuta di qualità proprio assieme
allo stesso genere poliziesco, visto che il suo primo romanzo “Il mistero di
White cottage”, scritto a 24 anni, fu edito nel 1928, periodo di piena
golden-age zeppo di capolavori importantissimi; in questi anni fatati per il
poliziesco, la Allingham fece un esordio in punta di piedi, stilisticamente
goffo e maldestro, ma con un intreccio sempre interessante e soprattutto una strabiliante soluzione
finale innovativa e molto coraggiosa al tempo, che verrà poi ripresa dalla regina Agatha
Christie per uno dei suoi libri più celebrati; per ovvi motivi non posso dire
quale, però ancora una volta la Christie è ricordata universalmente per una
innovazione alla quale in realtà qualcuno aveva già pensato; era successo anche
con 10 piccoli Indiani, la cui idea centrale era ripresa da “L’ospite
invisibile” di Bristow e Manning, solo che Agatha con la sua maestria schiantava
e relegava all’oblio qualsiasi precursore, privandolo dell’effettivo merito
della “scoperta” di un intreccio o di un finale altamente innovativo. Non è
giusto, ma così va il mondo; però è anche corretto dare a Cesare quel che è di
Cesare, per cui è cosa giustissima anche dare risalto al testo della Allingham,
reso disponibile in Italiano solo molto recentemente, nel giallo Mondadori
numero 3005 del 27/5/ 2010, e tradotto splendidamente da Grazia Griffini.
Una lacuna che si doveva colmare, è che è stata
colmata; leggere questo libro infatti è indispensabile per capire il cammino
dell’autrice, per capire in pieno la sua evoluzione stilistica.
La storia, narrata con uno stile davvero acerbo ma
anche fresco e simpatico, narra di un giovane, Jerry Challonner, che da un
passaggio a una ragazza molto dolce e carina afflitta da un bagaglio pesante e
una dolorosa bolla sul tallone; proprio mentre sta salutando la ragazza si ode
un colpo di pistola, e una cameriera esce urlando di terrore dalla casa dove
risiede la ragazza, ovvero il White Cottage del titolo.
In questa candida magione abita la famiglia
Christensen; Roger, il capofamiglia invalido dopo un incidente, sua moglie
Grace e la loro bambina Joan, affettuosamente accudita dalla bambinaia Norah,
una vecchia signora che era stata la bambinaia della stessa Grace e che ama la
donna come se fosse sua figlia. La dolce ragazza sui vent’anni con la bolla sul
tallone si chiama Norah, ed è la sorellina di Grace.
Jerry, che guarda caso è figlio del grande è figlio
dell’ispettore capo di Scotland Yard W.T. Challonner, chiama subito il padre
che prontamente accorre; il morto è un certo Eric Crowther, vicino di casa dei
Christensen, uno scienziato molto intelligente ma odiato da tutte le persone
che hanno a che fare con lui, dai suoi domestici fino alla stessa famiglia
Christensen, i cui componenti tormenta e ricatta con sadica crudeltà; quindi appare
fin troppo chiaro che a sparare a Crowther con un fucile da caccia è stato uno
di loro.
Il caso appare al formidabile W.T. Challoner, quasi un
Maigret ante litteram tanta è grande la sua umanità ( e anche il suo girovita a
quanto pare non scherza), ben più complesso di come poteva apparire sulle
prime, e infatti le indagini, tra i Christensen e gli equivoci ex-domestici del morto, saranno
lunghe e laboriose, e costringeranno l’ispettore e il figlio a muoversi in Inghilterra
e anche in Francia fino ad arrivare a Mentone, l’ultimo paese abitato che si
trova prima di varcare il confine Italiano e arrivare a Ventimiglia; dalla
campagna Inglese al confine Italiano attraverso tutta la Francia è un bel
viaggiare, per un giallo classico. Quindi un libro molto vario e movimentato,
con un intreccio poliziesco classico mischiato
a un pizzico di quell’esotismo da
riviera Francese tanto caro a A.E.W. Mason e alla prima Agatha Christie, visto
che c’è anche il mitico “treno azzurro” che andava da Calais alla costa azzurra;
un qualcosa di molto piacevole quanto gratuito, visto che il mistero si risolve
tutto in Inghilterra e la parte Francese è più un pretesto per movimentare la
trama che altro, con delle situazioni decisamente forzate e improbabili storyline
alla Conan Doyle con echi di sette pericolose ed ex-galeotti ricattati.
Comunque, anche con questo stile approssimativo e un
senso dell’intreccio un po’ vago il
romanzo diverte, è scorrevole e leggero e il lettore arriva magari perplesso ma
non affaticato fino al superbo finale, che eleva l’opera da una sufficienza
stentatissima a un bell’ottimo; si può dire quel che si vuole, ma in un libro
giallo un bel finale conta molto, e da solo può rivalutare tutta un’opera. Senza un grande finale “L’assassinio di Roger
Ackroyd” sarebbe ritenuto uno dei più noiosi e melensi libri della Christie,
mentre invece è uno dei più celebrati.
In
ogni caso, un libro che un neofita può anche evitare, ma per un appassionato è
una lettura assai consigliabile, anche perché la Allingham è un’autrice che una
volta letta difficilmente non la si approfondisce, e quindi vale assolutamente
la pena di avere nello sfavillante collier della propria biblioteca di gialli
anche un piccolo diamante grezzo come questo.
Questo mi manca, non ho un buon feeling con la Allingham, forse proprio a causa de "L'ora del becchino" che finì con difficoltà, ma che ora vorrei rileggere, essendo diventata una lettrice di gialli più "matura". Di certo non è una scrittrice banale e il suo esordio letterario potrebbe servire a riavvicinarmici. Grazie per l'ennesimo articolo interessante ^^
RispondiEliminaGrazie a te! Infatti la Allingham può talvolta indisporre e irritare, ma mai la si potrà definire un'autrice piatta o banale. E la forza di questo White cottage è proprio la sua stesura apparentemente semplicissima, che però risulta anche incredibilmente fresca e godibile come le sue opere non saranno mai più.
RispondiEliminaIo ho letto pochi giorni fa "Oscuri Presagi", e l'ho trovato bellissimo. Quasi un omaggio alla letteratura ed al periodo vittoriano (con tanto di vecchissima matriarca, una giovane ragazza che si innamora di un personaggio affascinante ma ambiguo, misteriosi "mori" che si aggirano nella notte e spedizioni in luoghi esotici) . Quasi una sensational novel, anche se è stato scritto in pieni anni 40.
RispondiEliminaPer il resto non ho letto altro: Il mistero di White Cottage non l'ho ancora letto, o meglio, non mi è ancora arrivato. Spero non sia andato perso a causa delle poste italiane.
Oh mamma, questi pieghi di libri sono angoscianti; io ormai da 9 giorni aspetto un libro, e spero davvero non sia andato perso perché era una palmina rara, senza sovraccoperta ma con un testo molto interessante. Comunque a mali estremi te lo presto io. E grazie della dritta su oscuri presagi, dopo Lord Peter e L'altro me lo leggo con piacere!!
RispondiEliminaCiao Omar! Complimenti per questo magnifico blog! Ti volevo chiedere se sai dove posso trovare "Troppe lettere per Grace" di Quentin. Ho letto la tua recensione!
RispondiEliminaCiao Giuseppe, benvenuto sul mio blog e grazie per l'apprezzamento.
RispondiEliminaPer quanto riguarda "troppe lettere per Grace", l'unica edizione che ti consiglio di recuperare è quella nel classico del giallo 741 del 20/6/1995, che ha una traduzione integrale (cosa che non avveniva nelle precedenti edizioni del romanzo). Su Ebay e comprovendolibri ce ne sono varie copie, e se non vuoi avvalerti di Internet l'unica risorsa sono bancarelle e mercatini, ma ci vuole fortuna.
In effetti, in giro per mercatini -pur trovando spesso vari libri di Quentin- questo non l'ho mai visto.
RispondiEliminaCome tutti i classici del giallo dal 500 all'800, purtroppo si trovano peggio che degli altri; forse perchè in quel periodo la collana editava materiale davvero eccezionale, e chi li ha se li tiene, giustamente.
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