martedì 26 aprile 2016

"I DODICI DELITTI DI NATALE" DI RHYS BOWEN.

E' inutile che provi a resistere; come ogni volta, appena vedo un libro di Rhys Bowen in edicola, non posso esimermi dal prenderlo, specialmente se è uno della serie con Lady Georgianna Rannoch, la simpatica giovane aristocratica spia/detective per caso che non può fare a meno di risultare simpatica.

Certo, come sempre (e' il mio ennesimo post sull'autrice) consiglio di astenersi a chi cerca un grande enigma giallo, ma una cosa di questa serie va detta; sempre eccellente sul lato della gradevolezza e del romance, dal punto di vista prettamente giallistico nei primi libri era tanto all'acqua di rose da sfiorare l'autoparodia, ma negli ultimi due romanzi essa è invece diventata più robusta e coinvolgente, non è solo più un ricamino a margine di un rosa-giallo; ed era quello che mancava a questa serie per farsi prendere sul serio su tutti i fronti, perchè diciamocelo; Rhys Bowen scrive bene, ma bene davvero, è un'autrice nata con la penna leggera, come Agatha Christie o Georgette Heyer; e se non si fa l'errore, molto comune, di scambiare questa scrittura in punta di penna per superficiale o sciatta rispetto alla prosa più barocca e ricercata di altre gialliste come la Sayers o la Marsh, il divertimento è assicurato.




                                                        La (brutta) copertina del libro.

Questa volta Lady Georgianna è ingaggiata da una famiglia del Devon, in una località  molto vicina al mitico Dartmoor col suo carcere e le sue paludi (abilmente sfruttate nella trama, com'era gistamente auspicabile) per fare da animatrice, lei aristocratica senza il becco di un quattrino che non può permettersi nemmeno un pranzo di natale decente, a una grande festa natalizia che riproduca esattamente quelle storiche Inglesi (evidentemente già demodè nel 1933, anno di ambientazione del romanzo), grandi festeggiamenti dal 20 dicembre al 2 gennaio, il tutto prosaicamente con ospiti paganti visto che anche la famiglia che organizza la cosa, lontanamente nobile, non se la passa bene.
Tutto sembra andare magnificamente; Georgianna viene a sapere che sua madre, attrice sempre sulla breccia, è in un cottage nelle vicinanze per scrivere una commedia nientemeno che col grande Noel Coward, e tra gli ospiti dei coniugi Hawse - Gorzley c'è anche il suo amato Darcy O'Mara, il suo pseudo-fidanzato nobile spiantato come lei sempre impegnato in misteriose missioni ai quattro angoli del globo.
Tutto, insomma, sembra mettersi al meglio; gli ospiti sono tutto sommato trattabili, il cibo abbondante e appetitoso, la neve copiosa assicura un bianco natale, e poi c'è Darcy; ma ovviamente dove c'è Georgianna c'è delitto, ed ecco che nell'immaginario villaggio di Tiddleton-under-Lovey  iniziano una serie di morti sospette apparentemente del tutto slegate tra loro. Pian piano si instaura un'atmosfera di sospetto e tensione (non tale da fermare però tutti i festeggiamenti tradizionali) e la povera Georgianna sarà sempre più coinvolta negli eventi, e in un finale molto teso e incalzante rischia veramente di lasciarci le penne e in modo anche poco simpatico.

Ora, naturalmente ho parlato di buon giallo, non di grande giallo, perchè i difetti ci sono eccome; alcuni aspetti soprattutto legati ai travestimenti dell'omicida  sono un poco campati in aria, e l'idea di accostare il modus operandi dei delitti a una filastrocca piuttosto nota in Inghilterra è ottima ma non viene sfruttata a dovere, si poteva avere una replica in piccolo di Dieci piccoli indiani (O dell'altrettanto suggestivo Dolce, vecchia canzone di morte di Stagge) ma la cosa non si è concretizzata. E poi è totalmente sbagliata la caratterizzazione di Noel Coward; poteva essere un valore aggiunto, ma invece il grande commediografo è stato reso in maniera tanto stereotipata da risultare più una caricatura che altro, un vero peccato.

In ogni caso questo romanzo, seppur natalizio ma uscito ad aprile per meri motivi logistici, è da leggersi perchè veramente divertente e interessante anche come documento, seppur posticcio (se volete uno scritto di prima mano sui grandi natali Inglesi, il must rimane sempre "L' Avventura del dolce di natale" della Christie) su come si svolgevano le festività nella vecchia Inghilterra. Visto che per qualche giorno è ancora in edicola, il mio consiglio è; compratelo e sparatevelo tra il 26 e il 27 dicembre, in piene festività natalizie; impossibile non struggersi dal desiderio di volere essere li col camino acceso, le sciarade e il Christmas pudding, magari quello che sarà il solito natale con +15 gradi e i soliti parenti caciaroni potrebbe acquistare un senso. Io, lo ammetto, sulle prime volevo fare così, ma la Bowen come detto è il mio guilty (ma non troppo...) pleasure ed è impossibile per me posporla.

venerdì 22 aprile 2016

"UNA TORRE PER IL PROFETA" DI MARGARET MILLAR.

Non so se visiterò mai gli Stati uniti. Sono attualmente fuori portata per il sottoscritto, sia economicamente che geograficamente, e poi alla fine sto tanto bene in Italia e preferisco spostarmi con la fantasia. Ma se mai decidessi di varcare l'Atlantico, vorrei visitare per prima cosa la California, fare tappa a San Francisco (il sogno proibito di ogni cultore dell'Hitchcockiano Vertigo) e poi spostarmi per paesi e campagne, in quella terra suggestiva e arida che ricorda in qualche modo la meravigliosa Sicilia, non solo per i vasti agrumeti.

Ma in un certo senso, in questa California rurale e sognante lontanissima da Beverly Hills e Sunset Boulevard vari, ci sono stato grazie alla grande Margaret Millar, forse la scrittrice di neri più eccentrica e raffinata mai esistita, che come il marito Ross MacDonald fece grande il poliziesco Americano, ma lo portò a vette letterarie raggiunte forse solo dal miglior Cain. La Millar coniugò la tradizione del noir, il suspense psicologico e il melodramma vittoriano stile Rinehart creando opere che, come "Occhi nel buio", "La porta stretta" "Sapore di paura"  "Uno sconosciuto nella mia tomba" e altre ancora resteranno dei classici immortali e irraggiungibili.



                                                                     Margaret Millar

Ma, tra tutti, il libro dell'autrice che ho più caro, e che ho letto già tre volte, è "Una torre per il profeta" un romanzo noto tra gli appassionati soprattutto per ciò che ne scrisse Chandler, che dichiarò che fosse la storia poliziesca coi personaggi più scombinati e strani che avesse mai letto. Non ho mai concordato molto con il Chandler saggista, ma stavolta non ho niente da eccepire.

                                                        Prima edizione del romanzo


La storia inizia con un detective spiantato e disincantato, di nome Joe Quinn, che si è giocato tutti i soldi che aveva in tasca a Las Vegas, e ora cerca di raggiungere la sua Los Angeles con mezzi di fortuna. Durante il suo viaggio rimane a piedi da qualche parte nella campagna sperduta, e nel suo girovagare si imbatte in una stranissima comunità pseudoreligiosa  che vive in un edificio sormontato da un'alta torre.
Questa gente, fricchettoni da comune ante-litteram, vive rinunciando alle gioie terrene, vestendo sai di ruvida tela e dedicandosi al lavoro agricolo e alla preghiera, una sorta di microcosmo (realtà diffusissime nell'America del tempo) dove tutti vivono in comunione con la natura, e si chiamano con nomi stranissimi come madre purezza, sorella contrizione o fratello corona di spine. La comunità è retta da un sinistro gran maestro, che impone la sua legge all'apparenza gestendo il suo gregge in modo amorevole, ma in realtà lo tiene spietatamente sotto il suo tacco, come accade in tutte le sette. Quinn, affamato e stanco, fa buon viso a cattivo gioco, e nonostante sia un "Pagano" la comunità lo accoglie  e lo ospita per la notte; durante il breve soggiorno, viene avvicinato da una donna di mezza età, sorella benedizione, che gli consegna un fascio di dollari che aveva conservato di nascosto e lo incarica di ritrovare un certo Patrick O'Gorman, misteriosamente scomparso anni prima.  Il detective, uomo d'onore come tutti gli eroi del noir a cominciare da Marlowe e Spade,  invece di prendere i soldi e fregarsene inizia a indagare sulla faccenda, iniziando un pericoloso e tragico viaggio nel passato che coinvolge anche la (presunta) vedova di O'Gorman (che puntualmente scioglie il cuore di ghiaccio di Quinn) e una donna incarcerata per frode; la pista di O'Gorman finirà poi per intrecciarsi in modo sinistro proprio con la comunità della torre, i cui membri, più che mossi da autentico spirito Francescano, sono li per fuggire dal loro passato...

Insomma, una vicenda ingarbugliata ma che scorre liscia come l'olio, e soprattutto piena di personaggi si eccentrici (e non solo tra i fedeli della comunità...) ma memorabili e ai quali si finisce per affezionarsi; ho sempre adorato, ad esempio, la ragazzina con l'acne che anela a tornare alla vita di tutti i giorni per..potersi comprare una "terrena" crema contro i brufoli, oppure la signora O'Gorman; nell'universo della Millar la fanciulla in pericolo è in realtà una donna segnata dalla vita e con prole a carico, ma a suo modo romantica e dolce come una young lady Vittoriana. E poi, come preannunciato, è un vero tour nella California anni cinquanta più autentica e rurale, fatta di campagne e cittadine tranquille (ovviamente solo in apparenza) non certo l'immagine più tipica che si ha di questo stato meraviglioso ma troppo legato alle sue metropoli e a Hollywood, delle cui altre bellezze si sa poco o nulla.

Un vero e proprio capolavoro del noir, da procurarsi solo nell'edizione dei classici del giallo n. 656 con la traduzione integrale di Maria Luisa Visentini Ottolenghi; la versione del Giallo Mondadori n. 772 , anche se ha una cover da urlo di Jacono, risulta essere tagliuzzata.

lunedì 18 aprile 2016

TRE ANNI DI BLOG!!!





Eccoci arrivati al terzo compleanno del mio blog, compleanno molto felice in quanto, dopo così tanto tempo, questo mio "figlioccio telematico" ha ancora tante persone che lo seguono, sia i fedelissimi della prima ora a cui vanno i miei sentitissimi ringraziamenti, che i nuovi aficionados che sperino diventino a loro volta veterani.
Questo ultimo anno, a parte gli ultimi due mesi di latitanza forzata, è stato abbastanza soddisfacente, in quanto ho cominciato a dare al mio blog la connotazione che mi ero prefisso, ossia uno sguardo a tutto tondo sul mondo del poliziesco e del Mystery senza dimenticare però i cari vecchi gialli Golden age dei quali mi ero occupato, in modo fin troppo monotematico, nei primi due anni. Nei prossimi mesi cercherò di spaziare su novità editoriali, film, fumetti e quanto altro per uno sguardo a 360 su misteri e dintorni, cercando di mantenere invariata la qualità dei miei scritti.

Un caro saluto a tutti coloro che mi hanno seguito, mi seguono e mi seguiranno. A presto!!

mercoledì 13 aprile 2016

"LA COLLERA DI NAPOLI" DI DIEGO LAMA.

Cari amici,

Rieccomi più gagliardo e pimpante di prima, si spera di non doversi assentare più almeno per qualche tempo.

Riprendo più o meno come avevo lasciato, ovvero parlando di autori Italiani; questa volta parliamo di un giovane autore contemporaneo, Diego Lama, e del suo romanzo vincitore dell'ultimo premio Tedeschi, un romanzo storico ambientato nella Napoli che recentemente ho avuto la fortuna di visitare e amare moltissimo.

Ora, non è che io mastichi abitualmente autori odierni perlopiù nostrani, ma a volte variare un poco la solita "zuppa Inglese" (o Americana) Può essere un diversivo molto piacevole, come in questo caso.

Si, perchè "La collera di Napoli", ambientato nella città partenopea  durante un'epidemia di colera scoppiata in un torrido Settembre del 1884, è un romanzo avvincente e potente, che avvince il lettore con ingredienti abbastanza noti ma molto ben amalgamati.





Intanto, come tutti i polizieschi Italiani, si introduce una ben delineata figura di Investigatore; il Commissario Veneruso è un detective panciuto e in la con gli anni abbastanza sui generis, incazzoso come Moltalbano e umano come Maigret, positivo ma senza essere molto simpatico; non un eroe romantico alla Marlowe, ancor meno macchina pensante alla Philo Vance, Veneruso è un uomo di acume che però non riesce a rimanere distaccato, a non farsi travolgere dal marciume che lo circonda.
I suoi agenti, questi molto "alla Montalbano" sono figure sulle prime abbastanza macchiettistiche, ma che acquistano uno spessore inaspettato via via che si procede con la lettura; insomma, nel commissariato della Napoli di fine ottocento ci sentiamo abbastanza a casa.
Ma come detto, il pregio del romanzo non è nelle novità, o in personaggi particolarmente indovinati; in questo caso, quello che conta è la storia, con un ritmo martellante che non conosce soste, e l'atmosfera splendidamente resa; sembra davvero di essere nella Napoli martoriata dal colera e dai funzionari Piemontesi del regno, una città che brama di vivere nel modo anarchico e indipendente da ogni potere che le compete, ma al tempo stesso non sa liberarsi dei suoi fantasmi passati e presenti.
Il caso poliziesco, alla fine, è abbastanza ben riassumibile; un gruppo di giovani ragazze, ospiti di un convento-ornanotrofio in pieno centro, vengono barbaramente uccise e i loro corpi ritrovati sul mare in condizioni pietose. Veneruso e i suoi capiscono ben presto che nel convento avvengono cose poco chiare, e anche se il canovaccio "Confessioni innominabili all'interno di un convento/istituto religioso" con relativi segreti e morbosità è stato sfruttato anche troppo, l'autore riesce comunque a imbastire una solida trama che disorienta con maestria il lettore, regalando un colpo di scena finale assai palpitante. Un giallo in piena regola, quindi, ma che non è  comunque il punto di forza principale del romanzo, che come detto risiede nell'atmosfera e in un'altra cosa; un miracoloso evitare i fin troppo facili stereotipi melodrammatici ai quali si presta ogni opera ambientata a Napoli; la città e i suoi abitanti sono credibilissimi, e anche l'ambientazione vagamente gotica e dark si adatta benissimo all'unica città Italiana che, insieme all'esoterica Torino, possa rivaleggiare con Londra come palcoscenico di vicende cupe e misteriose.

Insomma, questo "La collera di Napoli" non sarà certo un capolavoro, ma come opera prima di un autore ancora giovane è straordinaria; se il buongiorno si vede dal mattino, con Diego Lama abbiamo trovato un autore di prim'ordine. COnsigliato, a Napoletani e non.