sabato 25 luglio 2015

"UNO STRANO CLIENTE" DI FREDRIC BROWN.


 

Bene, non vedevo l’ora di parlare di Fredric Brown. Chi era? Un maledetto genio della letteratura , poeta degli assurdi universi, cantore dei vagabondi nello spazio, uno che può far passare la voglia di scrivere agli aspiranti scrittori, che potrebbero  sentirsi a disagio per manifesta e palese inferiorità; maestro del racconto folgorante, ed emblema di tutto un modo di concepire la letteratura fantastica Americana, quella delle riviste che ospitavano racconti Fantascientifici, Horror, Thriller e Pulp, dove si fecero le ossa e spesso rimasero  assoluti titani come Robert Bloch, Ray Bradbury, Richard Matheson, poeti dei racconti a un cent la parola, che dovevano intrattenere un pubblico di bassa cultura avido di emozioni   ma che finirono per segnare e plasmare un’epoca, quella della grande fantascienza, di serie capolavoro come “Ai confini della realtà”, della potenza della fantasia. La favolosa, irripetibile America degli anni cinquanta, dalla quale tutti discendiamo un po’. Tutto ciò che adesso vediamo al cinema e in tv viene dall’opera di questi incredibili, talvolta patetici e assurdi, maestri infaticabili della penna, Salgari d’oltreoceano che fabbricavano storie meravigliose ora oggetto di culto e ospitate in collane per intenditori; forse la critica è sempre snob verso questa gente, ma il pubblico no, il pubblico li ha capiti fin da subito, e i loro figli, nipoti e pronipoti continuano ad amarli come grandi classici inattaccabili dal tempo e dalle mode.
 
L'autore
 

Fredric Brown era un sognatore, come detto un Salgariano, che non cantava di giungle o di pirati ma di universi sconfinati, perché al suo genio il solo pianeta Terra andava stretto; di giorno lavorava come correttore di bozze e di sera, con l’aiuto dell’alcool, scriveva storie. Quando aveva voglia d’avventura, faceva lunghi viaggi in pullmann per le vie degli States. Viene ricordato per la produzione fantastica, ma fu anche un grande giallista, perché era di quei geni totali, forse il vero, autentico erede in patria di Poe per la versatilità e folgorante brevità dei suoi scritti, e come lui bevitore, attratto dalle donne, dagli amori impossibili.

Ovviamente, essendo un autore profondamente e veracemente Americano, non scrisse Whodunit di scuola Inglese; i suoi romanzi e racconti sono più vicino ai thriller puri. Il suo miglior lavoro nel genere è forse “The night of the Jabberworck” geniale e allucinata vicenda scandita di derivazione Carrolliana, pubblicato da noi col titolo di “Tutto in una notte” da Mondadori oppure come “Il visitatore che non c’era” da Polillo. Ottimo anche “Screaming mimi”, ovvero “La statua che urla” che ispirò anche uno dei primissimi film di Dario Argento.

Ma il thriller firmato Brown a cui sono più affezionato per una serie di motivi è senz’altro “Uno strano cliente” , romanzo del 1951 dal titolo originale "Death has many doors" pubblicato prima nella serie gialla Garzanti (che pubblicò a suo tempo molti gialli dell’autore) e poi nei classici del giallo Mondadori, che riprende l’ottima traduzione di Livio Cortesi della prima edizione. Si tratta delle quinta avventura con la coppia di investigatori Am e Ed Hunter, rispettivamente zio e nipote, che agiscono in una Chicago già metropoli moderna, tentacolare e spietata.
 

Cover edizione originale e Garzanti, che vertono entrambe su una piccante scena madre....
 
 

Questa volta, ai due efficienti, onesti detective, l’anzianotto e fatalista Am e il giovane, piacente e scanzonato Ed,  capita nell’ufficio Sally Doerr, una ragazza dai capelli rossi e di bell’aspetto, anche se “Niente di troppo notevole, ma poteva tenere il campo fin quando non fosse arrivata una vera bellezza”  molto giovane e spaurita, che sostiene di essere minacciata…dai marziani (Strano, i marziani in Brown, ma pensa…) che  a quanto pare la tormentano con telefonate minacciose perseguitandola senza requie. Am decide di metterla alla porta, ma Ed, attratto da quella rossa innocente e sensuale al tempo stesso, decide di starle vicino, di proteggerla, e la invita a bere un drink. Sally si rivela  ben lontana dallo stereotipo della “vergine Americana” tutta casa e chiesa (evidentemente nelle metropoli dove nessuno conosce nessuno, allora come adesso, i tabù e la morale erano ben più elastici..), che lavora mantenendosi da sola in un appartamentino, beve drink e fuma sigarette, e a 22 anni ha già avuto vari partner, anche di una sola sera.

Ben presto i due giovani si intendono, e Sally ben presto propone a Ed di farle da guardia del corpo installandosi nell’appartamento di lei, in quanto, stando a quello che la ragazza ha raccontato, la visita extraterrestre potrebbe avere luogo proprio quella notte. Lui ovviamente accetta, la serata d’estate è caldissima come solo a Chicago, e non avrebbe dormito comunque, e anche se la tensione sessuale tra i due è palpabile, lui da bravo ragazzo si apposta fuori dalla porta di lei (il lavoro è lavoro…), mentre Sally, dopo essersi completamente denudata (mi immagino i lettori degli anni cinquanta che batticuore, e anche adesso…) si sdraia sul suo letto, forse desiderosa, come dirà poi il cinico Am, che a Ed venisse la voglia di andare a far due chiacchiere con lei.

In effetti, nel bel mezzo della notte, Ed si affaccia, e si, la vede senza veli, ma la ragazza presenta una strana rigidità e non respira; ben presto Ed si rende conto che è deceduta. Il medico personale di Sally, dopo essere stato avvertito, asserisce che la ragazza soffriva di gravi disturbi cardiaci, e quello che è successo poteva accadere in ogni momento. Ben presto Ed viene scagionato da ogni responsabilità e la morte sembra naturale, ma il giovane non si da pace; non crede ai marziani, ma crede che qualcuno volesse fare del male a Sally, anche se non riesce proprio a capire perché ci si dovesse accanire con la povera, sempliciotta, inoffensiva Sally.

Ed fa visita alla famiglia di Sally, e scopre che è stata adottata, assieme alla sorella minore Dorothy, dai coniugi Stanton (parenti dei veri genitori delle due ragazze, deceduti anni prima), che vivono fuori città assieme allo strambo zio Ray, vecchia spugna seppur non privo di acume, e a un inquietante nipotino che si diletta in sciocchi scherzi.

Il tempo passa, e tutto pare tornare alla normalità, Ed stesso si convince pian piano che Sally era nient’altro che una povera cardiopatica con manie di persecuzione. Ma un giorno bussa alla porta degli Hunter una ragazza appena ventenne che somiglia moltissimo a Sally; è ovviamente Dorothy, e anche lei ha bisogno di protezione; per un presentimento non ben definito è convinta che qualcuno voglia ucciderla quella notte. Ed, ormai in balia degli eventi, accetta di fare da cavalier servente, ed esce con la ragazza, disinibita come Sally ma più intelligente e più sensuale; dopo una cena, la ragazza insiste per andare a fare un bagno fuori città; Ed la accompagna, raggiungono un lago isolato, finiscono di bere una bottiglia di Whisky, vanno su di giri e si baciano. Lui vorrebbe “concludere” subito, ma lei lo prega di attendere ancora, ha estremo bisogno di tuffarsi nelle nere acque del lago, di rinfrescarsi; si spoglia completamente (Brown insiste nel tenere alto il tasso erotico, e lo fa con  continue, raffinate e mai volgari allusioni, senza scadere mai nella pornografia…almeno nella traduzione Italiana, sia chiaro) e si getta in acqua, nuotando con decisione, e ben più velocemente dell’impacciato Ed, verso una zattera che si trova al centro del lago; peccato, però, che quella fantomatica zattera la veda solo Dorothy…

Basta, inutile raccontare ancora, basta solo dire al mistero si aggiunge mistero, che a una camera chiusa si aggiunge un delitto impossibile,  per una vicenda sempre più assurda e inquietante nella quale Fredric Brown si conferma un giallista di grandissimo talento, nella tradizione di Carr, Talbot e Rawson. E se la spiegazione del secondo delitto è forse “azzardatina” come nei Carr più spericolati, quella del primo caso è assolutamente geniale e coerente.

In ogni caso, questo “Uno strano cliente” ha dalla sua, oltre che i virtuosismi dell’intreccio, anche una scrittura martellante e mai noiosa, personaggi veri e umanissimi, dialoghi pieni di verve e, come sottolineato prima,  è pervaso da un erotismo elegantissimo che personalmente apprezzo purchè, appunto, resti elegante.

A mio modesto parere, un vero capolavoro. In quanto a voi, fate come me; se vedete su un giallo il nome Fredric Brown, prendetelo,  se vi va male è un ottimo romanzo, se vi va bene, come in questo caso, è un masterpiece.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 15 luglio 2015

AMARCORD; UNO STUDIO IN ROSSO, DEL MIO AMICO ARTHUR.


Dei tanti amici dell'infanzia e dell'adolescenza me ne sono rimasti davvero pochi, due o tre al massimo. Ma per fortuna, oltre che persone che vanno e vengono, da ragazzo ho stretto altre amicizie, che si sono rivelate tenaci e durature molto più di quelle "reali". Questi amici si chiamano Edgar Allan, Robert Louis, Agatha, Louisa May, Jack, Charles, Jules;  dopo un periodo di adorazione assoluta, li frequento spesso anche oggi, magari a lunghi intervalli e non tanto come vorrei, ma ogni anno passo a trovarli. Ma tra tutti, colui che ultimamente passo a trovare più spesso, grazie anche alla vitalità e al culto del personaggio da lui creato, è Arthur.

Lo conobbi in un pomeriggio di sabato di fine novembre dell'anno 1998, un pomeriggio già diventato sera, una sera  fredda e brumosa degna di Londra o della sua natia Edimburgo, ma non ero in Baker Street o in Scozia, ero in quella che al tempo era l'unica libreria decente di Pistoia. C'era un bel cofanetto Newton, di un giallo vivace, che conteneva quattro libroni e costava nemmeno ventimila lire; giusto quelle che avevo in tasca, residuo dei regali del sedicesimo compleanno appena trascorso. Il cofanetto recitava, perentorio "Tutto Sherlock Holmes" di Arthur Conan Doyle. Bel nome, Conan Doyle, mi ricordava Conan il barbaro, era "pieno de possanza" come direbbe Verdone. E poi questo Sherlock Holmes, così famoso, così amato, di cui non sapevo però praticamente nulla; era un'occasione unica.
 
 

Esco dalla libreria, prendo il malinconico autobus Lamporecchio - Empoli delle 18 e 05, arrivo a casa mezz'ora dopo. Ancora non ho aperto il cofanetto incellophanato, deve essere un rito sacro, non posso farlo in un autobus triste e malandato.

Arrivo, consueta pizza del sabato sera coi miei genitori, e, dopo il caffè, inizio a fare amicizia. Arthur è  li che mi aspetta, non ama tergiversare, è un signore pratico, dall'aspetto militaresco, mi incute rispetto e simpatia al tempo stesso, almeno così ricordo da una foto vista in una vecchia antologia. Inizio a conoscerlo leggendo la prefazione del primo volume, perchè non c'era Internet che ti diceva all'istante chi e cosa faceva il tizio, lo dovevi scoprire alla vecchia maniera, documentandoti sui libri. Un tipo niente male;  medico sulle navi in giro per mezzo mondo e poi nelle zone popolari di Londra, scrittore che frequentò tutti i generi popolari allora in voga , giornalista alle Olimpiadi, positivista e Darwiniano e poi, di contro, spiritista; un vero figlio del suo tempo, così interessante proprio per le sue contraddizioni.

Bene, faccio una bella doccia calda, mi infilo il pigiama, telefonata della buonanotte alla mia ragazza del tempo, e poi si parte, inizia il viaggio, inizia la scoperta di un autore e di un personaggio che mi cambieranno la vita, in quanto nessun autore mi ha dato un piacere letterario così intenso, mi ha inebriato con trame e atmosfere tanto adorabili, e nessuno come Arthur rappresenterà mai meglio, per me, il puro piacere di leggere.

Ovviamente, cominciai dalla prima storia, dallo strano titolo "Uno studio in rosso"  . Seppure piuttosto breve era un romanzo, ma era sabato, il giorno dopo non c'era scuola, potevo leggerlo anche tutto se volevo.

 
 
Siccome a quel tempo avevo letto solo romanzi della Christie, mi aspettavo subito di essere portato nel vivo della storia, senza troppi preamboli. Invece no, questo romanzo se la prendeva incredibilmente comoda. Uno studio in rosso.. il titolo faceva pensare a una carneficina con uno studio inondato di sangue, invece no. C'era questo ufficiale medico, di nome Watson, convalescente da ferite e malattie rimediate nel lontano Afghanistan, che conduce un'esistenza bohemien, indeciso sul da farsi. Arthur me lo presentò senza nessuna fretta, voleva che sapessi per bene chi era, perchè era un personaggio importante quanto lo stesso investigatore. Poi, tramite un conoscente comune, conosce Sherlock Holmes, un tipo eccentrico, affascinante quanto irritante, che ha libero accesso a laboratori e sale anatomiche ma non è un chimico ne un medico. La loro conoscenza è casuale fino a un certo punto; entrambi cercano un appartamento confortevole, ma con i prezzi correnti degli affitti possono permettersene solo uno modesto, ma unendo le loro risorse possono arrivare a pagare la cifra di un appartamento decente. Holmes ne ha visto uno davvero ottimo in Baker Street, e Watson si rivela da subito un coinquilino ideale, visto che ha l'aria dello scapolo felice di esserlo ed è affascinato dalle eccentricità, che Holmes, onestamente, elenca al futuro coinquilino fin da subito.

Poi seguono pagine sulla loro vita in comune, le loro abitudini, tutte elencate da Watson che è il narratore. Pagine sulla straordinaria abilità di Holmes, che poi diverrà il leit motiv della saga, di capire tutto o quasi di una persona solo guardandola per qualche istante. Un quarto del romanzo se ne va così, cronaca della quotidianità di una delle coppie più famose della storia della letteratura, il mistero non ha fretta di arrivare; rimango stranito, ma il racconto è adorabile, Holmes mi è simpatico, e anche Watson.

Poi, con calma, arriva il dramma poliziesco. Lestrade e Gregson, i due migliori segugi ufficiali di Scotland Yard, chiedono aiuto a Holmes su uno strano caso di omicidio avvenuto a Lauriston Gardens, nel cuore della metropoli; a questo punto a Watson appare chiaro cosa faccia il suo coinquilino (gli Inglesi di fine ottocento, come si sa, sono riservati, mai glielo avrebbe chiesto direttamente) è un "consulente investigativo" l'ultimo santo al quale votarsi nei casi più intricati, che per questo viene adeguatamente foraggiato da coloro che aiuta.

Vabbè, lo sapete, c'è questo omicidio, la parola "Rache" scritta sul muro, il finto ubriaco, la vecchietta scaltra...ma che ve lo dico a fare? sono cose  famosissime, e se non le conoscete allora prendete e leggetevele, subito. Ma poi, cosa succede verso metà libro? il mistero viene risolto. Holmes, con pochissimo sbattimento e senza gli estenuanti interrogatori di Poirot, risolve il caso, certamente non trascendentale. Beh, dico io? ma i gialli non si concludono alla fine? che storia è?  Vabbè, c'è una seconda parte, "Il paese dei santi". Di colpo, dalla brumosa Londra ci ritroviamo nelle assolate praterie degli States, si parla di deserti, di montagne rocciose, di Indiani d'America; il far West che io, Texiano doc, amo tanto! mai stupore fu più grande, dalla metropoli alle praterie, che emozione unica.

La storia che seguiva era l'antefatto che avrebbe portato al delitto di Lauriston Gardens. Niente a che vedere col giallo deduttivo, era piuttosto un melodramma avventuroso dalle tinte fosche ambientato tra i Mormoni di Salt Lake City con un personaggio, una dolcissima fanciulla detta "Il fiore dell'Utah", della quale mi innamorai dopo una pagina e per la cui triste fine soffrii moltissimo. Dopo tutto questo ampio antefatto, nelle ultime pagine si torna a Londra, dove Holmes scioglie gli ultimi enigmi davanti all'uditorio estasiato dei suoi collaboratori, e conclude con una massima in Latino molto in stile Dupin.

Insomma, era un romanzo giallo diverso, meno geniale dei Christie con Poirot, ma molto più avvincente e godibile di questi, e con detective infinitamente più simpatici. Erano due romanzi in uno, non ne avevo mai letti prima, e fin da subito capii che il mio amico Arthur era un tipo unico e irripetibile. Le settimane seguenti furono a dir poco scoppiettanti, con l'avventuroso e Salgariano Segno dei quattro, poi uno Scandalo in Boemia, I faggi rossi, La faccia gialla, Il mitico Mastino Dei Baskerville, La valle della paura che riprendeva la struttura narrativa del primo romanzo, poi gli Omini danzanti, la Ciclista solitaria, il Vampiro del Sussex...solo per citare le più memorabili. Nell'estate del duemila altro cofanetto Newton con le storie fantastiche e dell'orrore, e altre ore, giorni, settimane di emozioni irripetibili. E adesso, Arthur ha tanti discepoli che provano a riproporre il suo immortale personaggio in mille salse, e alcuni sono simpatici, sono diventati dei buoni conoscenti; ma Arthur, che in questa caldissima estate Fiorentina è qua al mio fianco a farmi compagnia, oggi come allora, resta il migliore amico possibile per chiunque voglia conoscerlo a fondo, e sicuramente lo è per me, ora e sempre.

 

domenica 12 luglio 2015

PER I RAGAZZI DI OGNI ETA' ; LA SERIE "AGATHA MISTERY" IN EDICOLA COL CORRIERE.

Come ormai vi sarete accorti, questo blog si occupa sempre di più di ogni aspetto della narrativa poliziesca, non solo dei capolavori canonici, che parlare solo di quelli alla fine ottiene il risultato di coinvolgere solo un numero limitato di appassionati.

Mi sembra giusto, quindi, segnalare questa bella iniziativa del corriere, che dal 15 Luglio propone, in venti uscite a cadenza settimanale, le avventure di un personaggio destinato ai giovani lettori. Ora, io non ho la pretesa di essre seguito da bambini e ragazzini, ma magari da qualche genitore di essi si, per cui potrebbe essere un ottimo modo di iniziare i vostri pargoli al nostro genere letterario preferito, visto che collane come quella che sto per presentare possono essere un'ottima palestra.


Dunque, una premessa; è la prima volta che "vado a  braccio" ossia pubblicizzo un personaggio di cui non so assolutamente niente ma per il quale non posso fare a meno di provare una simpatia istintiva, e giocoforza sarò un po lacunoso.

 In ogni caso, il personaggio di cui cercherò di parlare è Agatha Mistery, una dodicenne vivace, coraggiosa e intelligente (una specie di sorellina di Nancy Drew, per intendersi) che vive avventure a sfondo poliziesco-avventuroso in giro per il mondo assieme al simpatico cugino Larry, a un fedele maggiordomo e al gatto Watson.

LA serie Agatha Mistery, a dispetto del nome dell'autore, il pomposo ma azzeccato Sir Steve Stevenson, cela un autore Italiano, al secolo Mario Pasqualotto, giovane e promettente scrittore per l'infanzia. Questi libri sono stati tradotti in alcune lingue, tra cui il Cinese, e la diffusione ai quattro angoli del globo testimonia la qualità del prodotto.

Il primo titolo, "L'enigma del faraone", sarà in edicola il 15 a solo un euro, mentre le restanti 19 uscite costeranno 5,99.




Ma la grande domanda era; sarà una serie solo per bambini tipo Geronimo Stilton o Peppa Pig oppure può essere apprezzata anche dai più grandicelli? per me risponde l'amica Paola Montonati, vera esperta di narrativa e fumetti nonchè appassionata cronista della sua Pavia, che mi assicura essere una serie che può piacere anche a ragazzi più grandi (e non mi scandalizzerei di certo se le leggesse anche un adulto; meglio un'avventura simpatica e a lieto fine  seppur puerile o  programmi "adultissimi" come pomeriggio 5 o le tribune politiche dove si urla o ci si offende? io non ho dubbi in merito, e spero nemmeno voi).

Dulcis in fundo, e molto dulcis, i volumetti sono illustrati dal bravissimo Stefano Turconi, che con la moglie Teresa Radice (ai testi) ha prodotto alcune delle migliori storie Disney degli ultimi anni, e Graphic novel davvero deliziose e piene di calda umanità come Viola Giramondo e Il porto proibito; ma l'illustrazione sottostante vale più di mille parole a testimoniare il livello artistico di Turconi. E anche solo per le illustrazioni, davvero, ci sarebbe da prendere la serie a scatola chiusa.

Agatha Mistery col gatto Watson (pic copyright by Stefano Turconi)
 
 
 
Insomma, io se avessi un bambino almeno il primo lo prenderei, tanto per curiosità. E voi?
 
 






venerdì 10 luglio 2015

"IL TACCUINO DI SHERLOCK HOLMES" DI ARTHUR CONAN DOYLE.


Dopo essermi occupato di apocrifi Holmesiani, mi sembra giusto tornare a parlare del canone ufficiale, con una delle raccolte di racconti Conandoyliane D.O.C.

"Il taccuino di Sherlock Holmes", come molti sanno, è la quinta e ultima raccolta uscita in ordine cronologico, ma nel mio immaginario la antepongo alla quarta, quel "L'ultimo saluto di SH" il cui racconto conclusivo è veramente un congedo, sommesso e non privo di toccante grazia, del personaggio ai suoi lettori. Nel taccuino, invece, si hanno l'Holmes e il Watson di sempre, e  potrebbe essere inserita a casaccio nel canone senza che il lettore se ne accorga, perchè se qualcuno degli intrecci mostra un poco la corda, lo stile in fondo è quello di sempre, godibilissimo e miracolosamente coinvolgente; ho mai detto prima che Doyle era e rimarrà sempre lo scrittore più accattivante e leggibile mai esistito? nel caso, lo ribadisco.



Ma dove la qualità della prosa resta inalterata, come già annunciato i plot non sono tutti all'altezza degli anni migliori. Come Chesterton , Conan Doyle dette il meglio all'inizio, perdendo smalto con la senilità (nel caso di Chesterton, anche lo stile divenne meno immediato e più macchinoso) e con l'antipatia crescente verso un personaggio che, fosse stato per lui, sarebbe rimasto in fondo alle cascate del Reichenbach.

Ma analizziamo i dodici racconti della raccolta( scritti tra il 1925 e il 1927, e pubblicati originariamente in varie riviste e poi in volume) uno ad uno. In questo caso, come in altri precedenti, si torna alle "stellette" stile guida del cinema, da 1 a 5 a seconda del mio personalissimo apprezzamento.
 
 
 

Cover di varie edizioni storiche
 

 

1 - L'AVVENTURA DEL CLIENTE ILLUSTRE  ****

 

La prima storia, spigliata e divertente, vede SH e Watson misurarsi con un avversario mellifluo e spietato, il terribile Barone Gruner, un barbablu (e chissà cos'altro) che ha irretito una ragazza ricca ingenua quanto cieca, e il padre di lei chiede aiuto ai nostri eroi per fornire alla fanciulla le prove delle malefatte del barone; ma la cosa non è facile, perchè l'avversario, che sfida apertamente Holmes sul suo terreno, è di quelli tosti, e la matassa sarà sbrogliata più con un coup de theatre a tinte forti stile Invernizio (fuori tempo massimo nel 1925, ma sempre suggestivo) che grazie all'acume del geniale segugio. Godibile.

 

2 - L'AVVENTURA DEL SOLDATO SBIANCATO ***

 

Nell'ultimo periodo di attività capitò che Doyle, a corto di idee, riprendesse atmosfere e situazioni dei suoi stessi racconti precedenti più riusciti. Questo Blanched soldier, con tutte le variazioni del caso, è una sorta di remake di un racconto capolavoro (uno dei miei tre preferiti in assoluto del canone) compreso nella seconda raccolta. Quale? scoprite voi. In ogni caso, se non si conosce a memoria il prototipo, anche in questo si potrà trovare qualcosa della inquietante, demoniaca atmosfera di esso, anche se poi la soluzione è più banale e scontata. Altra particolarità del racconto è quella di essere narrato dallo stesso Holmes invece che dal solito Watson.

 

3- L'AVVENTURA DELLA PIETRA DI MAZARINO ( O DEL DIAMANTE GIALLO) **

 

Avventura piuttosto convenzionale e con pochi spunti degni di nota, con Holmes impegnato in una curiosa  tenzone nel suo stesso appartamento con due loschi figuri. Simpatico, ma presenta un trucco che oggi appare veramente troppo ingenuo.

 

4- L'AVVENTURA DEI THREE GABLES ***

 

Avventura piuttosto curiosa, abbastanza confusa e improbabile ma divertente, su un complicato raggiro ai danni di una donna che vive sola nella casa citata nel titolo. Restano i personaggi, su tutti una Dark Lady degna di Hammett e un enorme pugile di colore che all'inizio della storia entra nell'appartamento di Baker Street con intenzioni minacciose, e viene domato da SH con parole che qualcuno oggi potrebbe trovare vagamente razziste, ma prima di saltare su ricordate che Doyle è stato il primo a proporre una bellissima storia d'amore interraziale in uno dei precedenti racconti del canone.

 

5- L'AVVENTURA DEL VAMPIRO DEL SUSSEX *****

 

Perchè, in altri lidi, ho asserito che l'apocrifo del mese scorso di Holmes contro Dracula non era poi tanto improponibile? perchè fu lo stesso Doyle a parlarci di vampiri, naturalmente rifacendosi al Dracula di Bram Stoker, che l'autore sicuramente aveva apprezzato. Ma il racconto di Doyle, al contrario del romanzo di Davies prima citato, non scade nel soprannaturale ma racconta una dolorosa storia familiare, che incanta e atterrisce al tempo stesso. Tensione alle stelle, atmosfere demoniache, soluzione del tutto convincente; uno smagliante ritorno di forma dell'autore, per uno dei racconti giustamente più celebrati (e celebri) del canone.

 

6- L'AVVENTURA DEI TRE GARRIDEB **

Si diceva di Doyle che copiava se stesso, e anche in questo caso abbiamo un rifacimento, ancora più spudorato se si vuole, di uno dei primissimi  racconti del canone, ed esattamente come quest'ultimo, non mi è mai piaciuto molto. Simpatico, come sempre, ma davvero nulla più.

 

7- L'ENIGMA DI THOR BRIDGE ****

Avventura puramente poliziesca, presenta un enigma molto classico (un delitto impossibile in cui la vittima è una moglie gelosa quanto indesiderata) sciolto con maestria. Il buon  vecchio Doyle, anche se ormai stanco, sapeva ancora creare convincenti intrecci gialli, tanto per tenere testa, anche se ancora per poco, agli astri nascenti che si stavano affermando prepotentemente proprio in quegli anni, tipo una certa Agatha Christie.

 

8- L'AVVENTURA DELL'UOMO CHE CAMMINAVA A QUATTRO ZAMPE (N.C.)

Mi spiace, ma con tutta la stima che ho per l'autore, questo racconto  è oggi impresentabile.  Forse ai tempi lo "strano caso" trattato poteva anche passare per possibile, ma a leggerlo adesso ci si accorge di quanto sia una situazione del tutto assurda. Uno dei pochi, forse l'unico, racconto irrimediabilmente datato del canone, anche se lo stile è sempre scorrevole e accattivante e per questo non ho il coraggio di dare un votaccio, rifugiandomi in un comodo "Non classificato".

 

9- L'AVVENTURA DELLA CRINIERA DI LEONE ***

 

Quest'avventura, anch'essa abbastanza improbabile seppur carinissima, si segnala per essere narrata dallo stesso Holmes, già pensionato e in villeggiatura in un villaggio sulla costa, che indaga in solitaria su un caso davvero sconcertante di uomini barbaramente torturati con qualche arma terribile; evidentemente Conan Doyle, per il contesto e l'ambientazione, si ricordò del racconto "L'ultimo saluto" e del suo finale, ma giusto per quest'occasione.

 

10- L'AVVENTURA DELL'INQUILINA VELATA ****

Breve, asciutta, quasi pulp, davvero dolorosissima storia di un delitto passionale, che colpisce allo stomaco per crudezza e efferatezza; nelle sue ultimissime prove Doyle si lasciò andare a sperimentazioni come la seguente, dove in questo caso si mescolano le tinte forti di derivazione Vittoriana con uno stile quasi da Hard Boiled. Il momento in cui l'inquilina velata del titolo si mostra senza il velo resta tra i momenti più memorabili del canone, per una di quelle avventure  che restano  impresse anche dopo una sola lettura.

 

11- L'AVVENTURA DI SHOSCOMBE OLD PLACE ****

 

Altra bella storia, ambientata fuori Londra, che irretisce il lettore con un'atmosfera da brividi, e risulta interessante anche per la descrizione dell'ambiente degli Squires di campagna e delle corse di cavalli, oltre che per dei personaggi memorabili, su tutti il dissoluto Sir Robert Norberton.

 

12 - L'AVVENTURA DEL FABBRICANTE DI COLORI IN PENSIONE ***

 

Purtroppo il canone storico si chiude con una vicenda assolutamente ordinaria, nella media dell'autore, che si congeda dai lettori con un intreccio interessante e con un buon colpo di scena finale, ma senza essere nulla di memorabilem anche se una delle idee del racconto verrà ripresa pari pari da Paul Halter in uno dei suoi primi romanzi.

Le ultime battute del racconto, e dell'intero canone, sono tipicissime, classicissime; "Metta questa storia nel suo archivio, Watson, verrà un giorno in cui la si potrà raccontare". Chissà se i lettori dell'epoca sospettavano che queste fossero le ultime parole del loro eroe, e la chiusa di un'epoca unica e irripetibile.

giovedì 9 luglio 2015

LA FRESCA ESTATE DEL GIALLOFILO.

Questa estate forse passerà alla storia per qualche record di caldo battuto, ma noi giallofili credo proprio che suderemo per la canicola e non perché emozionati dalle elettrizzanti novità editoriali.

Innanzitutto, anche se non ne ho parlato subito per metabolizzare la cosa, mi tolgo il dente e segnalo quello che ormai tutti già sanno; il Giallo Mondadori è diminuito di numero e, per contro, aumentato di prezzo; di cinque uscite mensili ora ce ne saranno solo tre, un solo inedito e un solo classico (prima erano due per collana) e lo Sherlock apocrifo, più speciali e classici oro che per ora rimangono. Però, e a me viene in mente la storiella Ebraica raccontata da Woody Allen all'inizio di "Io e Annie" , oltre a darti meno, quel meno te lo fanno pagare di più, la pietanza è più modesta ma in compenso è più cara. Politica editoriale strana, forse vincente o forse l'unico modo di tenere in vita una testata che a questo punto diventa pericolante, smentendo il mio ottimismo di qualche mese fa; forse era più logico aumentare le uscite e diminuire i prezzi come fa la Newton, ma non mi addentro in merito perché potrei sbagliare di grosso, non sono come quelli che parlano dottamente di Spread e crisi Greca ( la metà della popolazione, più o meno...) proponendo soluzioni assurde perché ovviamente non capiscono un accidente della spinosa e complicata materia. In ogni caso, le cose stanno così. Questo mese non ci se ne accorge perchè ci sono Classici oro e Speciali, ma dal prossimo mese, proprio quello di Agosto dove la gente sotto l'ombrellone compra più gialli che nel resto dell'anno (non si poteva, per la rivoluzione, aspettare Ottobre come i Russi?) ci sarà solo la seconda parte di SH in America, un inedito della Rendell e "Charlie Chan e il pappagallo cinese" sempre carino ma visto e stravisto.

Altra notizia importante, che sembra bella ma non lo è affatto, è  questa; nella bancarella dei Reimanders a Castiglioncello ho trovato moltissimi Bassotti e Mastini Polillo, nuovi di zecca (con anche alcuni degli ultimi titoli, usciti nemmeno un anno fa) in offerta a 4,90 euro. Ora, se sul momento non mi è parso vero fare incetta di titoli che non avevo al prezzo di un GM di due mesi fa, ho riflettuto e ho tratto la conclusione più logica; quando una casa editrice svende i libri in eccedenza ai Reimanders (vedere Baldini e Castoldi, Barbes, etc) è segno che ha chiuso del tutto, cerca di smaltire il materiale e arrivederci, quindi credo che ci dovremo rassegnare alla scomparsa di questa gloriosa casa editrice; poi spero di sbagliarmi, ma perché altrimenti distribuire i libri alle bancarelle? Una conferma si ha anche guardando su IBS, dove gran parte del catalogo è in offerta al 50% di sconto. Quindi la cosa da fare è una sola; procurarsi i titoli che ci mancano fino a che sono disponibili, perché poi non si troveranno più e diventeranno rarità da usato; e non aspettarsi ovviamente nuove uscite.
Facciamo festa a quel che c'è, si dice  a Firenze....

Per il resto, poche buone notizie; la Castelvecchi ripropone "La vittima sconosciuta" di Jackson Gregory, già uscito nelle palmine ottant'anni or sono, credo con una nuova traduzione; non lo conosco, ma almeno è un giallo classico. Adelphi propone (non so se per la prima volta in Italia...) "Le incantatrici" di Boileau e Njergerac, e poi si trovano le solite antologie estive Sellerio e Newton.

Insomma, poche emozioni sotto l'ombrellone.