Ormai da qualche anno, per me e mia moglie le serate d’autunno
che si fanno fresche dopo il caldo terribile dell’estate, dell’Italia d’ottobre
con le giornate più corte e la luce più tenue che inizia a somigliare all’Inghilterra,
significa ricominciare a rivedere la maggior parte degli episodi della serie di
Poirot con David Suchet.
La famosa sigla iniziale
Per me questo è un amore di vecchia data; era il natale
del 1997 quando la DeAgostini pubblicò una nuova sfiziosa collana di vhs dal
colore giallo vivo che presentava i film più famosi con Poirot protagonista (la
prima uscita era Assassinio sull’Orient- express di Lumet, a cui seguiva
Assassinio sul Nilo di Guilermin, e poi, esauriti i classici, questi telefilm
della serie britannica della quale si sapeva poco o niente; ma ahimè non avevo
i soldi per seguire la collana, e aspettai alcuni anni quando la serie venne riproposta,
con un nuovo doppiaggio e miglior cura editoriale, dalla Malavasi editore, che
tuttora ne detiene i diritti; quella collana la collezionai tutta in dvd, e li
custodisco ancora gelosamente. Col passare degli anni ho contagiato con la mia
passione anche mia moglie, e come detto
per noi Poirot è diventato una vera e propria tradizione nelle sere fredde da
divano e copertina di lana (che nostalgia, con questo caldo..).
Alcuni episodi li conosciamo ormai a memoria, tanto da
anticiparne le battute, ma ormai è come la partita di scacchi o di domino alla
sera; la si fa per assaporarne il puro piacere, come il ritrovare di vecchi e cari
amici che sanno sempre farti stare bene.
Perché il miracolo di questa serie televisiva Inglese
targata ITV, andata in onda dal 1989 al 2013 per un totale di 13 stagioni non
consecutive, è proprio questo; riuscire a creare un’empatia assoluta con lo
spettatore attraverso la simpatia dei personaggi e la bellezza del paesaggio
inglese, riuscendo a far passare in secondo piano le trame ridotte in modo
sempre troppo semplicistico rispetto all’originale; perché, come sostengo da
sempre, è quasi impossibile tradurre sullo schermo Agatha Christie, perché le
sue storie e gli indizi che semina sono troppo legati alla parola scritta, con
l’immagine perdono efficacia e risultano prevedibili; occultare un indizio alla
mente di un lettore è più agevole, occultarlo agli occhi diventa troppo
complicato, e alcuni romanzi e racconti brevi che risultano dei veri rompicapo,
trasposti diventano spesso scontati.
Ma la serie di Poirot ha avuto molte vite, molte
differenti sfumature; in 24 anni la
televisione ha fatto progressi enormi, i telefilm ormai sono considerati una
forma d’arte sulla quale investire soldi e grandi attori, e chi vede un Poirot
dell’ultima stagione e subito dopo un episodio della prima stenta a credere che
si tratti della stessa serie, tanto l’episodio del 1989 potrebbe risultare
lento, semplicistico, girato alla buona; datato, in una parola.
Ma un elemento è rimasto inalterato dalla prima all’ultima
puntata, e ne ha decretato innegabilmente il successo; l’interprete del
personaggio Poirot, ovvero il grande attore David Suchet. Britannico, classe
1946, già raffinato attore teatrale con diversi film al suo attivo (in un film
del 1985 tratto da “Carte in tavola”, con Peter Ustinov come Poirot, Suchet per
ironia della sorte vi interpreta…l’ispettore Japp!) Suchet riesce nel miracolo
di DIVENTARE Poirot, interpretando il personaggio con una tale aderenza da
oscurare tutti coloro che lo hanno fatto prima e lo faranno poi (qualcuno, dopo
Suchet, avrà il coraggio di interpretare l’investigatore Belga? Forse tra
qualche decennio…) e imponendosi nell’immaginario collettivo di miliori di
spettatori entusiasti.
Philip Jackson, Davis Suchet, Pauline Moran e Hugh Fraser
E azzeccati sono anche gli altri interpreti; se Hugh
Fraser è un Hastings magnifico che con Suchet forma un binomio praticamente
perfetto, i personaggi di Japp e soprattutto della segretaria Miss Lemon,
presenti molto di rado e molto defilati nell’opera della Christie, qui
acquistano spessore e simpatia; Japp è il simpatico baffone Philip Jackson,
mentre Miss Lemon, che serve a dare un tocco di leggerezza alle sequenze ambientate
nell’appartamento di Poirot (ma talvolta partecipa attivamente alle indagini) è
una bravissima Pauline Moran.
Un altro personaggio fisso delle ultime stagioni (e dei romanzi della maturità della
Christie), l’alter ego dell’autrice Ariadne Oliver, è interpretato in maniera
impareggiabile da una grande Zoe Wanamaker, attrice notissima in patria e da
noi ricordata soprattutto per essere la Madama Bumb dei film di Harry Potter.
David Suchet e Zoe Wanamaker
Ma tutti gli interpreti sono caratteristi ottimi e
soprattutto facce giustissime per la storia che si rappresenta; la cura dei
dettagli, dei costumi e dei paesaggi, che nelle ultime stagioni sarà
addirittura maniacale, è sempre stata uno dei punti di forza della serie. E le
sequenze più rilassate, con Poirot e
Hastings che giocano a carte o al Monopoly, sono rese con grande maestria, e l’empatia coi
personaggi è ai massimi livelli, tanto vorresti essere li con loro. E poi
ricordiamo le voci italiane davvero sopraffine, precisamente di Eugenio
Marinelli (Poirot) e Luigi la Monica (Hastings).
Come detto, la serie si sviluppa attraverso un periodo
temporale abbastanza ampio, e vive molte vite; per comodità possiamo dividerla
in due fasi, ovvero quella 1989 – 1993 nella quale uscirono molti episodi di 45
minuti tratti da racconti brevi (e qualche lungometraggio, ma come un’eccezione)
e quella dal 1997 in poi dove invece si sono filmati i romanzi, con meno
episodi ma che sono dei veri e propri lungometraggi, che vanno dai 90 ai 104
minuti di durata, dove pian piano si abbandonano tutti i luoghi comuni della
serie compresi comprimari come Japp e
Miss Lemon, e con Hastings che compare solo nei film tratti dai romanzi nel
quale è effettivamente coprotagonista, per ottenere prodotti più validi
artisticamente anche se più freddi e asettici, come sottolineeremo più avanti.
Innanzitutto, una precisazione; è stato filmato praticamente
tutto il corpus scritto da Agatha Christie con Poirot protgonista, sia con che
senza Hastings; i lavori che non sono stati trasposti sono due racconti brevi, “L’eredità
dei Lemesurier” ed è un peccato perché da questo bel racconto si poteva trarre
un episodio coi fiocchi, ma forse il tema “forte” ( SPOILER; un padre che vuole
uccidere il figlio piccolo) lo ha reso infilmabile, e “Il mistero di Market
Basing” non un racconto dei più memorabili. E anche della raccolta “Le fatiche
di Hercule” è stato fatto un lungometraggio nel 2013 nel quale si cerca di
legare tra loro, in maniera poco
riuscita, alcuni dei 12 racconti dell’antologia, che però andava, per lo
spessore delle trame, filmata episodio per episodio.
In ogni caso i romanzi ci sono tutti, compreso “Sipario”
ovviamente uscito per ultimo e nel quale si assiste al toccante congedo di
Poirot (e di Suchet stesso, che non interpreterà più il personaggio) dagli
spettatori.
Gli episodi brevi sono in totale 36, tutti distribuiti,
come detto, nelle prime 5 stagioni. La quarta stagione vedrà solo
lungometraggi, mentre nelle prime tre i film lunghi sono soltanto due, anche se
di ottima fattura, ovvero “Il pericolo senza nome” e “Poirot a Styles court”
primo romanzo della Christie con Poirot che purtroppo non è stato anche il
primo a essere filmato. (Per consultare gli episodi uno ad uno vi rimando alla ottima
pagina Wikipedia apposita, con la lista completa degli episodi della serie)
I lungometraggi sono invece in totale34, pari pari i
romanzi dell’autrice con Poirot; in totale, quindi, la serie si compone di
settanta episodi.
Si è parlato di prime stagioni naif, poi di un telefilm
sempre più ambizioso, che nelle ultime stagioni è diventato vero e proprio
cinema di serie A, anche con grandi attori americani (Ricordiano tra gli altri
Elliott Gould, Barbara Hershey, Jessica Chastain), due fasi nettamente distinte;
io preferisco di gran lunga quella naif, i primi leggendari episodi, perché appunto
viene preservato intatto non tanto le trame (a volte modificate inserendo un
inseguimento, una lotta, una storia d’amore) ma lo spirito, l’atmosfera trasmessa
dai libri; si vive sullo schermo quello
che si vive tra le pagine. Mentre invece le stagioni più recenti presentano
prodotti come detto più professionali ma asettici e oltretutto con inserimenti
del tutto estranei all’opera e al pensiero della Christie; caso più eclatante
la disastrosa trasposizione di “Assassinio sull’orient-express” dove forse per
non realizzare un prodotto troppo epigonale al capolavoro di Lumet del 1975 si
è puntato su un Poirot in piena crisi di coscienza, serio, tirato, maschera
quasi tragica, che contrasta in modo stridente col Poirot sempre sicuro di se
fino all’arroganza, che manda gente sulla forca (o la perdona, come in
Orient-Express) senza avere il minimo scrupolo di coscienza; questo è il
classico film della serie che non riuscirei mai ad apprezzare, ma mi rendo
conto che ad altri possa piacere molto, infatti, in questi tempi di Sherlock
targato BBC dove ormai si spinge solo sul pedale dell’acceleratore e si procede
per accumuli, le prime stagioni possono risultare del tutto inguardabili. Ma
per chi, come me, è un “Poirottiano” della prima ora, ed è legato ai primi
episodi, non può che gradire di più questi ultimi.
A ognuno il suo Poirot, quindi, ma io rimango un “naivete”
convinto, pur apprezzando moltissimo anche alcuni degli ultimi episodi.
Per un neofita che si approcci adesso alla serie
(ricordo che la serie viene trasmessa ogni sabato pomeriggio su Rete4 dalle 16
e 45 in poi, a ciclo continio; adesso è ripresa da poco, siamo al quarto episodio
della prima stagione, potrebbe essere una buona occasione per riviverla dall’inizio)
i titoli per me imperdibili del primo
periodo sono “Accadde in cornovaglia” , “Il pericolo senza nome”, “Poirot a
Styles court” (con una campagna dell’Essex splendidamente filmata) “Doppia
colpa”, “La miniera perduta”, “Doppio indizio” (con la quasi love-story tra
Poirot e la contessa Vera Rossakoff, molto più esplicita che nel racconto
omonimo) “La serie infernale” (dove il binomio Poirot – Hastings funziona a
meraviglia) e “Aiuto Poirot” (con la memorabile love story di Hastings) mentre
delle ultime stagioni consiglio caldamente “Tragedia in tre atti” (un vero
gioiello, splendidamente diretto e interpretato) “Se morisse mio marito”, “Poirot
e la strage degli innocenti”, “Sfida a Poirot”, “La sagra del delitto” e “Gli elefanti
hanno buona memoria”, questi ultimi quattro titoli quasi più gradevoli e
appassionanti dei romanzi stessi.
E anche l’ultimo episodio “Sipario” pur con
qualche esagerazione melodrammatica è
molto ben fatto e conclude degnamente la serie, oltre a vedere il ritorno di Hugh Fraser nei panni di un incanutito
Hastings; sarà difficile trattenere una lacrimuccia a visione ultimata, e anche
a me, devo dire, è scappata, pensando soprattutto a quel ragazzino che quasi
vent’anni prima metteva da parte i soldini per comprarsi (quando ci riusciva..)
quelle mitiche vhs tutte gialle.