martedì 28 aprile 2015

"ARSENE LUPIN E LA CONTESSA DI CAGLIOSTRO" DI MAURICE LEBLANC.


Della strepitosa iniziativa del Corriere della sera, che da qualche settimana ci sta proponendo l'intero ciclo di Arsene Lupin, re dei ladri gentiluomini (anche se non il capostipite..) nelle nuove tradizioni integrali della Newton ho già parlato, e spero di avere interessato qualcuno di voi, se non altro a prendersi l'ebook del mammuth Newton (edizione alla quale si rifà la collana del Corriere) a 4,99. Ma ormai, in Italia, chi li conosce più Leblanc e la sua creatura? Su Wikipedia e siti specializzati poco o niente, nemmeno qualche trama sommaria dei romanzi, insomma, un autore non tanto sottovalutato quanto proprio obliato dal grande pubblico, anche se Lupin lo conoscono tutti, ma solo per “merito” di un cartone animato Giapponese che rielabora in modo assai Nipponico (sulla qualità del prodotto non mi pronuncio, perché gli appassionati di anime sono minacciosi e saltano alla gola) il personaggio.

Ma cerchiamo di inquadrare meglio la sfocata materia. Maurice Leblanc era un autore Francese, ma era Italiano, anzi Napoletano, da parte di madre; raffinatezza, calore e creatività li aveva quindi nei geni.
 
L'autore
 

Iniziò col pubblicare racconti realistici sullo stile di Maupassant, quando nel 1905, per scommessa, pubblicò il racconto "L'arresto di Arsene Lupin" dando poi vita a un ciclo unico nel suo genere, conclusosi solo nel 1941con la morte dell'autore; come Sherlock Holmes (che fu pubblicato da Conan Doyle fino al 1927), i romanzi con Lupin continuavano ad avere successo pur appartenendo a un gusto letterario di stampo ottocentesco decisamente superato, ed era un lusso che in pratica si poteva permettere solo Leblanc; ormai la narrativa del mistero, in un'epoca in cui la Christie e Simenon erano già sulla breccia, aveva preso altre strade, ma il pubblico Francese non tradì mai il suo grande narratore.

Si, perchè Leblanc era (e rimane) davvero un grande. Però, tenete conto, non era un giallista, no, Leblanc fu l'ultimo, e forse il più grande, esponente di quel Feuilleton iniziato in Francia quasi un secolo prima con Sue, narrativa popolare dalle tinte fosche e dai molteplici colpi di scena ereditata poi da Paul Feval, Xavier de Montepin, Souvestre e Allain col loro Fantomas, Gaston Leroux e molti altri; Leblanc ne fu il compimento, il punto d'arrivo di un genere da lui stesso tenuto in vita oltre il suo ciclo naturale. Questo perchè Leblanc, ammiratore di Conan Doyle, seppe portare nella narrativa popolare Francese, abbastanza pesante e oggi faticosamente leggibile, la leggerezza della prosa Anglosassone, togliendo esasperazione e melodramma in favore di agilità e umorismo. Per questo ha varcato in carrozza la soglia del secolo ventunesimo, mentre il lutulento Fantomas è rimasto ormai irrimediabilmente impantanato.

Ma, diciamocelo, il folle e truce Fantomas e il raffinato e gioioso Lupin non si sarebbero rimasti molto simpatici; Lupin non uccide, non terrorizza, e ruba solo a chi sa che, nonostante il furto subito, continuerà lo stesso a mangiare il suo caviale quotidiano. Un novello Robin Hood, se non fosse per il fatto che di dare ai poveri non ci pensa nemmeno un po, a parte qualche significativa eccezione. Lupin si fa beffe delle sue vittime, dei poliziotti che indefessi cercano di catturarlo rimanendo col solito pugno di mosche in mano (tra i suoi avversari abbiamo anche una parodia di SH, ovvero Herlock Sholmes). Galante e seducente, flirta con tutte le donne che gli capitano a tiro, talvolta in modo niente affatto casto.

Il ciclo delle avventure del ladro gentiluomo si può sommariamente dividere in due categorie; le storie (principalmente i racconti brevi) di gusto più British, e le storie (romanzi come La contessa di Cagliostro, La scheggia d'obice, L'isola delle trenta bare) di stampo decisamente più continentale.

A questo secondo gruppo appartiene senz'altro "Arsene Lupin e la contessa di Cagliostro" testo del 1924 che riassume appieno la parte "verace" della saga del ladro gentiluomo.

Cover dell'edizione uscita 2 settimane fa in edicola.
 
 
Questo romanzo si può senz’altro definire come il “Ritratto del ladro da giovane” un vero e proprio bildungsroman criminale dove il ventenne Arsene, gentleman cambrioleur già dotato ma ancora grezzo e inesperto che al tempo dei fatti narrati si faceva chiamare Raoul D’andresy, si imbatte per la prima volta in avversari degni del suo nome e soprattutto nella donna che lo renderà uomo in ogni senso, una vera e propria Afrodite sensuale e perversa come solo una Dea può essere; Josephine Balsamo, alias Contessa di Cagliostro, dalle origini misteriose (e mai del tutto chiarite da Leblanc, che si dimostra maestro di ambiguità), che alcuni credono essere la reincarnazione di una donna vissuta oltre due secoli prima dei fatti, se non proprio la stessa donna riuscita a mantenersi in vita, oltre che giovane e bella, grazie chissà a quale artificio, magari risalente al suo sinistro antenato. Lupin, a un certo punto, da alla stessa contessa una spiegazione razionale sul mistero della sua età, e la donna non conferma e non smentisce.

Aldilà della trama, molto avvincente ma ormai inflazionata da innumerevoli tentativi di imitazione, di un tesoro nascosto in qualche ignoto anfratto e conteso tra due bande, quella capeggiata dalla stessa Josephine e quella formata da cosiddetti “nobiluomini” e capeggiata dal fosco Beaumagnan, legato alla Balsamo da un rapporto di odio profondo e straripante passione.

Ma Beaumagnan, più che un cattivo tout court, è in fondo solo una delle tante, patetiche vittime di Josephine; nessuno, infatti, può resistere al fascino, al tempo stesso angelico e demoniaco, della contessa; Arsene Lupin se ne innamora perdutamente, dimenticando per lei, in modo assolutamente meschino (ma forse, se a vent’anni avessi avuto una come la Balsamo tra le mani, nemmeno io sarei stato irreprensibile..), la dolce Clarisse d’Etigues, figlia di uno dei seguaci di Beaumagnan, da Lupin sedotta e abbandonata senza troppi patemi. Sarà la pervicacia dell’amore di Clarisse, più forte di tutto e tutti, a trarre il giovane Lupin dal baratro di una passione folle e totalizzante, per un romanzo che senza una sola descrizione esplicita riesce comunque a tracimare di un erotismo decadente e raffinato. E quando il finale dell’opera, volutamente aperto per lasciare spazio a seguiti, vedrà Lupin- Ulisse sfuggire a Calipso e riunirsi alfine alla sua Clarisse- Penelope, l’ombra della Contessa sarà ben lungi dall’essersi dissolta.

Per quanto mi riguarda, questo splendido romanzo rappresenta il canto del cigno e il punto d’arrivo del feuilleton, genere che cesserà di esistere (lasciando perdere romanzacci di qualità infima scritti da chissà chi) con Leblanc; la Francia era pronta per altre espressioni artistiche, Simenon si sarebbe presto affermato, così come i grandi Noir adulti e disillusi scritti da Prevert e diretti da Carnè, e poi ci sarebbe stata una guerra dopo la quale i Francesi non avrebbero più avuto voglia di Feuilleton ma di realismo, di passione politica, e poi di Nouvelle Vague. Ma mentre molte cose passano, Leblanc rimane e rimarrà, assurto ormai a mito, a classico senza tempo. Ed è giusto che sia così, e che iniziative come quelle del corriere, necessarie e meritorie, lo sottolineino.










sabato 25 aprile 2015

VASCO MARIOTTI, UN AUTORE DIMENTICATO...MA ORA NON PIU'.


C’era una volta Vasco Mariotti. Faceva parte della nutrita schiera di autori Italiani che contribuirono, secondo i diktat del regime che voleva autori nostrani che emulassero le imprese di titani come Wallace e Simenon, impresa che, seppur fallita (ma era persa in partenza, il poliziesco era un genere degli anglosassoni) ci ha lasciato alcuni ottimi tentativi, specialmente sul versante “emuli di Simenon”, nel quale spiccò il talento di Augusto De Angelis ed Ezio d’ errico, due carriere promettenti ma brevi, visto che il primo fu ucciso a suon di pugni da un bravaccio repubblichino e il secondo rinnegò la produzione “di consumo” per passare a letteratura più “alta”.

Se Mariotti, che nacque a Firenze nel 1906 e vi morì prematuramente nel 1962 per le conseguenze di un incidente stradale, non è noto al pubblico come un Varaldo o un D’errico, si deve forse al fatto che i due romanzi gialli che la mondadori accettò e pubblicò negli anni trenta (quando l’autore era quindi piuttosto giovane) non uscirono nella collana delle Palmine ma in quella dei Gialli economici, che era un po la “serie B” del giallo Mondadori dell’epoca, anche se in essa apparvero quasi tutti i primi romanzi con Maigret, quindi serie B molto relativa…fatto sta che gli autori Italiani apparsi nei GEM (Ferdinando Guidi di Bagno, Alfredo Pitta, Gastone Simoni, Magda Cocchia Adami…)siano tra i più obliati. Per Mariotti, il “declassamento” è stata una vera e propria ingiustizia, perché dei due romanzi sopra menzionati almeno uno, “L’uomo dai piedi di fauno” è un gioiello assoluto che meritava una vetrina più prestigiosa, anche se la copertina originale di Abbey (il grande copertinista delle prime 143 palmine, prime 4 escluse) lascia comunque credere che sulle prime fosse pronto per la collana più importante e poi spostato in seguito.

 
 
Il romanzo, scritto senz’altro in modo ingenuo e talvolta melodrammatico, è comunque un riuscito cocktail di poliziesco e gotico con suggestive pennellate orrorifiche. Ambientato in una Torino cupa e decisamente provinciale, una città dimessa che rimpiange i fasti recenti ormai irrimediabilmente perduti e si adegua alla sonnacchiosa realtà quotidiana sotto il duce, una città di nobili decaduti, di sartine offese, di onesti operai e poliziotti integerrimi; ovvero, il posto forse meno adatto per ambientarvi una storia da brividi e dalle tinte decisamente fosche; l’inizio, con la misteriosa, allucinante figura di un uomo che cammina in modo strano e sembra sempre trovarsi nei pressi di un fatto di sangue, è memorabile e non ha niente da invidiare agli anglosassoni, e anche se poi l’arzigogolata storia risulta più vicina al melodramma stile Invernizio che non al poliziesco classico (ma con una prosa decisamente più asciutta e scattante) con storie d’amore contrastate, duelli rusticani e altri armamentari del romanzo popolare nostrano, si arriva alla fine con facilità, e se il finale risulta non completamente ortodosso per un certo tipo di lettori, sono sicuro che si perdonerà all’autore qualche “licenza poetica”, perché senz’altro con questo romanzo esso ci ha divertiti ed emozionati.

L’altro romanzo di Mariotti che la Mondadori diede alle stampe fu “La valle del pianto grigio” opera forse datata ma sicuramente suggestiva nel suo essere fantasiosa e piena di colpi di scena; ambientata in una Sicilia cupissima e irriconoscibile, questa storia riecheggia quelle del giallo “esotico” stile Mason e Sax Rohmer, con una misteriosa vendetta che viene dal passato e coinvolge due fratelli che da giovani avevano fatto fortuna nelle remote miniere del Sudafrica con mezzi forse poco puliti, e che all’inizio del romanzo vivono con le rispettive famiglie una vita quieta e serena, almeno fino al momento in cui nella loro tenuta inizia a propagarsi il terribile flagello della “Morte grigia”, un misterioso morbo che lascia nelle sue vittime una scia grigia attorno agli occhi, come se avessero pianto lacrime colore dell’argento. Di giallo classico, in questa vicenda ingarbugliatissima ma agile e godibile, non c’è quasi traccia, anzi la storia è del tutto assurda e con un finale decisamente forzato.. ma anche in questo caso, che importa? Sarebbe assurdo leggere Mariotti come si legge la Christie o Carr, sono romanzi di mistero e avventura che non chiedono altro che farci divertire, e così accadrà con chiunque dia loro una possibilità.

Ora, la domanda sarà; ma dove me li vado a cercare questi romanzi? Gli originali anni trenta si trovano male, e anche le ristampe nella collana Gim- Gialli Italiani Mondadori edita negli anni settanta sono rognosetti da reperire; ma niente paura, perché se avete un E-reader i testi sono stati riproposti di recente da una neonata e benemerita casa editrice (solo di ebook), la CLIQUOT, progetto editoriale portato avanti da giovani di Roma provvisti di un grande amore per la letteratura a torto dimenticata (non solo Italiana, come vedrete) e anche di grande pazienza e costanza nel riproporre testi assai “rischiosi” visto che autori come Mariotti almeno fino ad adesso erano dei cari estinti.
 
 
Nel loro catalogo, non ancora ampio ma comunque estremamente succulento, Mariotti è ben rappresentato; è disponibile “L’uomo dai piedi di fauno” e, pensate un romanzo INEDITO dell’autore Fiorentino, che si intitola "La legge di Manu" scoperto da poco tra le sue carte e subito reso disponibile al grande pubblico dai redattori della Cliquot. Uno dei ragazzi della redazione, il simpatico Federico, mi ha informato che anche “La valle del pianto grigio” è tra i prossimi progetti della casa editrice, quindi cosa dovete fare adesso? Prendere L’uomo dai piedi di fauno e gustarvelo, così da concordare sul fatto che questo autore fosse decisamente da riscoprire, e poi proseguire nella scoperta del catalogo Cliquot.



Qui il Link del sito;   http://www.cliquot.it/


Buona lettura con questi piacevoli romanzi del mistero tutti Italiani; non saranno stati dei giganti, ma tra le sequoie dei grandi autori Anglosassoni, questi allori nostrani non sfigurano affatto.



lunedì 20 aprile 2015

"I QUATTRO CANTONI" DI REX STOUT


L’americano Rex Stout non è tra gli autori più considerati dai puristi del mistery, in quanto i suoi intrecci non sono niente di mirabolante; tutto vero, ma coloro che quando leggono polizieschi non cercano solo un plot mirabolante, non possono fare a meno di amarlo. Perché forse, anzi no sicuramente, Stout era la più grande penna della storia del poliziesco,era prima eccelso scrittore e poi rappresentante di un genere.

 Era, in questo, come Simenon, un Simenon più allegro, glamour e infinitamente più disincantato (Maigret in fondo è un eroe romantico..), con delle sequenze che sono dei veri capolavori di umorismo al vetriolo, su tutti i battibecchi tra il titanico e granitico Nero Wolfe e l’assistente Archie Goodwin, una vera e propria coppia di fatto del romanzo poliziesco, che appunto ci regala perle di vita di coppia come nessun Arcibaldo e Petronilla o Blondie e Dagwood hanno fatto mai.

Tutti i romanzi con Wolfe sono di piacevolissima lettura, e si casca più o meno sempre sul morbido. Ma ci sono delle occasioni in cui, oltre a una penna in stato di grazia, viene presentato anche un enigma di tutto rispetto, sia nello svolgimento che nella soluzione. Sono i casi del “La traccia del serpente”, “La lega degli uomini spaventati”, “La scatola rossa” e sicuramente questo “I quattro cantoni”, astruso titolo italiano di “Prisoner’s base”.

cover della prima edizione
 
 
Scritto nel 1952, nel pieno della maturità di Stout (che iniziò con un filotto di capolavori impressionanti negli anni trenta per poi assestarsi su un livello da straordinario a ottimo negli anni successivi) questo è uno dei suoi libri in assoluto più belli, profondi e convincenti.

Ambientato in una New York del dopoguerra già disincantata rispetto ai tempi di Van Dine, stavolta Wolfe si muove tra personaggi più realistici e “quotidiani”, senza il decor lezioso di personaggi come Lily Rowan (a proposito; ma lo stolido  Archie Goodwin gliele avrà mai strappate le mutandine in un impeto di passione almeno una volta? Quei due sono ancora più esasperanti di Perry Mason e Della Street..) o prestigiose competizioni culinarie, esposizioni di orchidee e altri ambienti glamour di solito prediletti dall’autore.

In realtà l’ereditiera pazzerella, la flapper fuori tempo massimo all’inizio c’è, e delle più sfrontate; la bella e giovane Priscilla Eads arriva al punto di chiedere a Wolfe di nascondersi in casa sua per un capriccio non ben chiarito, che è più o meno come chiedere a me di prestarvi una palmina, e infatti il misogino Wolfe, ignorando le proteste del galante Goodwin, la sbatte fuori. Scelta comprensibile ma sbagliata, visto che la bella Priscilla finisce uccisa nel suo appartamento, assieme alla sua cameriera. E siccome Goodwin, romantico cavaliere di ventura, si sente resposabile (al contrario di Wolfe che se ne sbatte altamente) inizia a indagare su una pista ben definita, in quanto la morta lascia un considerevole patrimonio in dollari e azioni da spartire tra quattro azionisti di maggioranza (i quattro cantoni del titolo)  dell'azienda di famiglia della quale da pochi giorni era diventata titolare,  ma Goodwin da solo vale il giusto, e finisce ben presto in grossi guai. Al sedentario  Wolfe toccherà recarsi fino in centrale per tirarlo fuori di prigione e infine, più per  sfinimento che per altro, accetta  di indagare e, dopo altri omicidi, uno dei quali particolarmente sgradevole ed efferato tanto da ricordare quelli narrati da Ed McBain, arriverà a una soluzione una volta tanto degna dei maestri del giallo classico, con tanto di riunione finale di tutti i sospettati in stile Poirot. E alla fine l’amarezza sarà tanta, in questo romanzo dove a morire sono le donne, e dove gli uomini giudicano, cercano di prevaricare, brutalizzano, ma non sanno proteggere.

In ogni caso, questo è un testo che va letto (meglio nella versione tradotta da Gianni Montanari nei classici del giallo n.730) come un grande esempio di letteratura Statunitense, uno spaccato di anni cinquanta con giovani vedove di guerra (quella di Corea) loschi affaristi, pubblicitari e stilisti di dubbia moralità, avvocati infidi..tutta una commedia umana di altissimo spessore, un vero e proprio capolavoro fine come seta e tagliente come un rasoio. Da non perdere.

giovedì 16 aprile 2015

DUE ANNI DI BLOG!!!




Cari amici vecchi e nuovi di "assassini e gentiluomini",

è un piacere festeggiare assieme a voi il traguardo dei due anni di vita di questo blog; nato quasi per scherzo, sta diventando ormai una piacevole consuetudine, un luogo ameno dove ritrovarsi e parlare di una mia passione che spero, almeno in piccolo, di riuscire a far arrivare anche a voi lettori.

Sinceramente non sono molto soddisfatto degli ultimi 12 mesi di attività; purtroppo il tempo libero è stato veramente poco (chi asserisce che con l'età aumentano le responsabilità e gli impegni dice una grande verità...) e non sono riuscito a parlare di tutto ciò che avrei voluto. In ogni caso, ora che entriamo nell'anno tre, vi informo di alcune novità riguardanti il blog; se finora ho spaziato infatti solo su romanzi e racconti, da ora in poi verrà dato spazio anche al cinema e ai fumetti di stampo poliziesco, e inoltre saranno maggiormente discussi gli autori Italiani e Francesi (che ho colpevolmente trascurato, sono stato veramente troppo Anglofilo...) e davvero spero che, con più argomenti su cui spaziare, la vostra partecipazione non solo rimanga costante, ma aumenti!

Insomma, state connessi che nei prossimi mesi ci divertiremo ancora molto insieme. E di nuovo grazie di cuore a tutti i lettori di "Assassini e gentiluomini", e un caro saluto dal vostro Omar.

giovedì 2 aprile 2015

TUTTO ARSENE LUPIN CON IL CORRIERE DELLA SERA!!!

Cari amici,


A volte ci sono delle notizie editoriali talmente belle da aver voglia di condividerle subito, e come non applaudire fino a spellarsi le mani alla nuova iniziativa del corriere? due anni dopo i bassotti Polillo versione edicola, ecco una nuova collana che delizierà non solo i giallofili ma tutti gli amanti della grande letteratura d'intrattenimento, visto che stiamo parlando nientemeno che di Maurice Leblanc, il creatore del più grande dei ladri gentiluomini, quell'Arsene Lupin che, come Sherlock Holmes, è ancora vivissimo nell'immaginario collettivo, un mito che non conosce oblio.

La prima uscita, ovvero la raccolta di racconti in cui Lupin fece il suo esordio, dal titolo "Arsene Lupin, gentleman cambrioler" la trovate in edicola da oggi, giovedì due aprile, al costo di 6,90 (stavolta niente prezzo lancio per la prima uscita, purtroppo..) e lo stesso prezzo avranno anche le successive venti uscite, a cadenza settimanale.

I volumi si presentano in una brossura elegante, con copertina munita di risvolti e buona fattura editoriale. L'edizione che viene proposta è quella della Newton Compton, quindi traduzioni recenti e integrali, niente mezze fregature (traduzioni vetuste riproposte senza molto criterio) come successo di recente per altre case editrici. Il ciclo di Lupin in edizione Newton era finora contenuto in un unico Mammuth di 3000 pagine che ho comprato al tempo ma che poi non ho mai letto perché veramente troppo scomodo, e un estimatore di Leblanc come il sottoscritto non può assolutamente esimersi dal possedere questi eleganti volumetti. In ogni caso il volumone era uscito anche in versione ebook, quindi chi non subisce come me il fascino del cartaceo può avere tutto il materiale con un paio di click.

Insomma, io ho già liberato uno scaffale per accogliere queste perle. SI parte forte, perché dopo questa ottima raccolta la settimana prossima ci aspetta il capolavoro "La contessa di Cagliostro".

Questo il link al sito del corriere.

http://www.corriere.it/iniziative/lupin/index.html

E buona, anzi ottima lettura in compagnia del leggendario Lupin.

mercoledì 1 aprile 2015

"LA MORTE NEL VILLAGGIO" DI EDMUND CRISPIN.

L'inglese, anzi Oxfordiano (quindi super-Inglese) Edmund Crispin non è molto ricordato nelle storie ufficiali del poliziesco. Viene citato per essere leggero e ironico, alla maniera di Kitchin o Stuart Palmer, uno di quegli autori, insomma, ricordati più per la piacevolezza e l'arguzia della loro penna che non per quei mirabolanti intrecci polizieschi che per la maggioranza dei giallofili è il requisito principale per insignire del titolo di "grande" un autore. Crispin, non ricordo in quale occasione, è stato addirittura definito "Un Wodehouse della crime novel", paragone che, seppur insigne, finisce per togliere a Crispin ulteriore credibilità come giallista, e questo a parer mio è un errore abbastanza clamoroso, perché Crispin è si piacevole e talvolta assai divertente, ma è anche un giallista diabolico (era un grande ammiratore di Carr, e a lui si ispirava per le trame), e le sue storie con protagonista il simpatico docente di Oxford e detective dilettante Gervase Fen non possono, a parer mio, essere considerate di second'ordine.





Qua in Italia lo abbiamo scoperto relativamente tardi, e questo a parer mio è stato un bene; perché, come altri giallisti Oxfordiani o comunque accademici ( Dorothy Sayers, Nicholas Blake, Berkeley...), Crispin usa un linguaggio ricco, sfaccettato, difficile da rendere e soprattutto poco nelle corde del pubblico Italiano, lontano dalla sensibilità Oxfordiana; se il GM li avesse proposti "in tempo reale" le traduzioni sarebbero state forse incomplete e approssimative ( Quelli di Crispin sono romanzi piuttosto corposi per la media del genere) , per cui le opere di questi grandi "difficili" si sono potute gustare quasi solo dagli anni ottanta in poi, quando traduttori capaci li hanno resi disponibili per lettori, diciamocela tutta, che avessero voglia di andare oltre lo stile spoglio ed essenziale di molti altri autori, soprattutto Americani.
Quindi, per fortuna, Crispin lo abbiamo atteso molto ma poi lo abbiamo avuto nella maniera giusta....anche se un'opera fa eccezione, quella di cui parlerò in questa occasione E perché, dopo aver magnificato le versioni recenti, vi propongo proprio l'unico che uscì negli anni cinquanta in traduzione anonima? Perché è comunque ben fatta e perché il romanzo  è comunque una vera delizia, e non deve essere sottovalutato solo per il fatto che non abbia ricevuto il trattamento degli altri.




Questo "The long divorce" uscito originariamente nel 1952 e proposto nello stesso anno nei Gialli Mondadori (e ristampato nei classici nel 2000) , si inserisce con pieno merito nel filone dei romanzi nei quali agisce un "corvo", ossia un qualcuno che diffonde lettere anonime infamanti alla popolazione di un borgo di modeste dimensioni dove tutti si conoscono, per il puro gusto di creare il panico tra la popolazione. Il capostipite del sottogenere fu in realtà uno splendido film di Clouzot, dal titolo appunto "Le corbeau", che oltre a essere un giallo claustrofobico e impeccabile è anche una metafora della delazione dei collaborazionisti; film del 1943, probabilmente lo visionò Agatha Christie, che due anni dopo ci regalò il "Il terrore viene per posta" uno dei suoi romanzi più memorabili. Poi altri grandi giallisti hanno scritto un romanzo su questa tematica; Nicholas Blake (La fossa che inghiotte) Carr (La vedova beffarda) Patrizia Wentworth (Lettere al cianuro) opere nel complesso piuttosto riuscite anche se la migliore resta quella di dame Agatha.

Crispin, nel suo romanzo, resta fedele al clichè del piccolo villaggio; qui siamo da qualche parte dell'Inghilterra più rurale, in un villaggio che si chiama Cotten Abbas, posto da cartolina ma, come si vedrà, solo apparentemente idilliaco. Un misterioso personaggio (vabbè, è Gervase Fen, è chiaro fin da subito) arriva per caso, prende una camera in affitto come a voler fare il turista in cerca di riposo, mentre invece il suo scopo è fare luce (lo ha chiamato uno dei personaggi) su queste lettere minatorie che presto sfociano in omicidi a sangue freddo. La storia, e soprattutto il classicissimo contesto di essa, è talmente lineare e "tipica" che è inutile raccontarla, ma i punti di forza sono i personaggi veramente ben sfaccettati; Una giovane dottoressa dotata ma di cui nessuno si fida in quanto donna, Un poliziotto impacciato e innamorato, un altro dottorino dalle belle maniere, una ragazza sola e complessata invaghita di un giovane professore Svizzero dalle idee anarcoidi, il padre della ragazza malvisto da tutto il paese per i suoi modi rozzi, un macellaio che professa uno di quei culti assurdi al tempo molto diffusi in Inghilterra, e poi la solita pletora di vecchie zitelle che tutto sanno e di tutti sospettano. E, mentre la trama scorre piacevolissima e i pezzi di garbato humour non mancano, la tensione derivata dalle missive destabilizzatrici del corvo non viene mai meno, e la soluzione finale, magari non trascendentale, è comunque di tutto rispetto. Insomma, un bel viaggio in una profonda provincia immersa nel tenue sole dell'estate Inglese, un romanzo che forse non sarà il più riuscito dell'autore, ma che non per questo va perso. E se come me amate il sottofilone del "corvo", ne sarete davvero deliziati.
Insomma, Crispin è davvero un autore da approfondire, come tutti quelli della scuola di Oxford.