mercoledì 13 luglio 2016

"IL PENSIONANTE" DI GEORGES SIMENON.

Una delle cose migliori della casa editrice Adelphi, nonostante i suoi prezzi davvero troppo alti per libri di nemmeno 200 pagine, sono senz'altro le riproposizioni dei romanzi del prolificissimo Georges Simenon, praticamente un pozzo senza fondo a cui attingere e che riscontra, una volta tanto, un giustificatissimo successo anche di pubblico, oltre che di critica.


Come sapete, a me Simenon piace molto, sia Maigret che extra Maigret; non ritengo tutti i suoi libri automaticamente capolavori come fanno tanti, anzi ce ne sono alcuni che proprio non mi hanno detto nulla (ma, vedi anche Maugham e Kipling, alcuni autori riscoperti da Adelphi, da bistrattati che erano, finiscono per essere addirittura sopravvalutati proprio grazie alla patina di snobismo letterario che distingue questa casa editrice) ma in ogni caso i suoi libri si fanno sempre leggere con piacere, aldilà del risultato finale.
SImenon, diciamocelo, oltre che talentuoso era un mestierante furbissimo, forse colui che capì più alla perfezione come dosare quegli ingredienti per cui il pubblico lo amò fin da subito; atmosfere e descrizioni di Parigi o della provincia Francese, personaggi ambigui e sessualmente disinibiti, escursioni in scenari esotici, e soprattutto una scrittura che arriva al sodo, che non si perde in dettagli inutili, che centra il bersaglio senza tergiversazioni.
 Ma nel 1934, ai tempi in cui scrisse "Il pensionante" il SImenon che esaminerò in questa occasione, il Belga non era ancora un autore completo come nei romanzi della maturità. Nato nel 1903, aveva esordito da giovanissimo scrivendo, con lo pseudonimo di George Sim un mucchio di romanzotti a sensazione oggi tenuti scientemente nell'oblio (ma ai quali non mi dispiacerebbe dare una lettura) e poi raggiunse un fulmineo successo coi primi libri di Maigret; ma l'autore, un poco stufo del personaggio, volle tornare a romanzi senza personaggi fissi senza però gli orpelli del Feuilleton ma con una formula simile ai Maigret, seppur con un intreccio poliziesco labile se non inesistente, più drammi umani che thriller,  raggiungendo subito risultati di tutto rispetto, tra cui "Colpo di Luna", "Il passeggero del Polarlys" , "I Pitard" , fino a questo "Le locataire" datato 1933.

Diciamolo subito per evitare malintesi; questo romanzo, seppur buono, non è a livello dei migliori Simenon. E' una storia interessante ma mal calibrata nel ritmo, e con troppi personaggi irrisolti.

La trama, tipicamente Simenoniana, parla di un uomo, Élie Nagéar, che si intuisce già perdente, già vittima del suo destino. Ebreo Turco ma di origini Portoghesi (!) Nagear, dopo un affare andato a monte, uccide un facoltoso Olandese per rubargli le motle banconote che sapeva che l'uomo aveva con se. SI rifugia a Bruxelles dalla sua amante, Sylvie, avventuriera ed entraineuse dalla morale equivoca che poco ha della femme fatale dei noir, in quanto persona pratica, che si vende senza il minimo scrupolo all'amante di turno che può farle dei regali, senza provare niente per essi.

La ragazza, più infastidita che coinvolta dalla situazione, dice a Nagear di andare a nascondersi nella pensione gestita da sua madre e sua sorella, nella vicina Charleroi, dopo avergli preso una parte del bottino. E qua Nagear, individuo inquieto ben prima di essere braccato dalla polizia per l'omicidio, magicamente, grazie alle cure della madre di Sylvie che lo adotta come un figlio, scopre, nel rigido inverno Belga, che il microcosmo della pensione è per lui il rifugio caldo e quieto che non ha mai avuto e che, forse, desiderava da una vita; non esce mai, passa le giornate nel calore della famiglia Baron, conversa con la scontrosa Antoinette, sorellina di Sylvie (personaggio di adolescente problematica e con istinti repressi che avrebbe potuto essere sfruttato molto meglio) e con i mal assortiti pensionanti, tra cui un giovane ebreo del ghetto di Vilnius e un polacco che odia gli ebrei (sinistra anticipazione dell'ondata antisemita che proprio in quei mesi avrebbe travolto l'Europa) e tra quelle modeste mura inizia a vivere quasi una nuova vita. Ma, nel mondo all'esterno della pensione Baron, la polizia si avvicina sempre più alla verità....

Insomma, se dalla mia sinossi avete ricavato l'impressione che Il pensionante sia un buon thriller venato di suspense (come l'omonimo film Hitchcockiano, che ovviamente non c'entra nulla con questo romanzo) avete ragione solo in parte. Perchè si, la storia è buona e sicuramente sulle prime coinvolge, ma poi l'autore si concentra troppo sulla vita di Nagear alla pensione, volendo raccontare la storia di un uomo che quasi torna bambino finisce per sacrificare la fluidità dell'intreccio e il pathos pian piano finisce per scemare, e la conclusione arriva un poco stanca, come nel calcio un attaccante che prende la palla a centrocampo, fa una gran volata verso la porta ma arriva confuso e poco lucido e fa un tiro telefonato e prevedibile. Ma, ricordiamo, il miglior Simenon aveva ancora da venire, forse vent'anni dopo avrebbe sfruttato al massimo le potenzialità elevatissime offerte della trama. In ogni caso un libro da leggere, che trova un suo riassunto nella frase bellissima tratta dal Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, ossia "Tutti vorrebbero tornare bambini, anche i peggiori di noi. Anzi, forse i peggiori di noi lo sognano più di tutti".

venerdì 8 luglio 2016

"LA MORTE IN VACANZA" DI JANICE HAMRICK.

Purtroppo, con l'allarme terrorismo e specialmente dopo il doloroso caso Regeni, abbiamo smesso di guardare l'Egitto come lo abbiamo sempre guardato, ossia come un paese fiabesco con un grande passato e tante mete turistiche da sogno. Chi non ha mai desiderato di vedere la Sfinge e le Piramidi? forse solo Roma ha altrettanto appeal. Ma purtroppo, fino a data da destinarsi, questa magia anche solo immaginaria è evaporata, e chissà se tornerà.

In ogni caso, nel 2011 la giovane Janice Hamrick, scrittrice già al terzo romanzo e abbastanza sulla breccia in patria, scrisse un romanzo dove l'Egitto, a parte qualche magagna dovuta principalmente alla burocrazia locale, era ancora raccontabile come meta di una vacanza da sogno.

Oddio, da sogno, intendiamoci bene; nel romanzo "La morte in vacanza" uscito lo scorso maggio nel GM, si parla di un viaggio, ma organizzato; certo, credo sia di gran lunga il metodo più sicuro per visitare quelle aree del mondo, ma personalmente l'idea di aggregarmi a un gruppo di sconosciuti, comandato a bacchetta da una guida e costretto a rigidi e inflessibili orari e a ritmi massacranti mi sembra semplicemente orribile, preferisco non vedere che vedere a quelle condizioni; per me e la mia  Fidanzata è già un viaggio faticoso uscire da Firenze, figuriamoci avventurarsi in simili gineprai.





Ma, fortunatamente per le agenzie di viaggio, molti la pensano diversamente, e l'Egitto rimane una meta delle più gettonate, specialmente dagli Americani; ed ecco quindi arrivare nella terra dei Faraoni una comitiva di Texani, tra cui spicca, tra personaggi comunque tutti ben delineati, la protagonista Jocelyn Shore, che viaggia con la seducente e capricciosa cugina Kyla, che si è unita alla cugina più per rinsaldare il loro rapporto un poco traballante che per vera vocazione. Tutta la variopinta comitiva, composta da famiglie di varia estrazione ed educazione, tra i quali una coppia di Australiani con una figlia che nasconde un segreto,  due svampite e irritanti sorelle, una zitella impicciona e maligna, e soprattutto Alan Stratton, bellone seducente e misterioso che viaggia da solo, e che diventa ben presto l'oggetto del desiderio di Jocelyn e Kyla.

Ora, Jocelyn potrebbe considerarsi l'erede delle fanciulle per bene e ingenue e travolte dal fascino dell'avventura rese famose da Edgar Wallace, ma il carattere è decisamente rapportato ai nostri tempi; l'eroina è ormai oltre la trentina, con un divorzio alle spalle, con ben poche inibizioni sentimentali e sessuali e un senso pratico che deriva dal lavoro (è insegnante in una scuola elementare) e dalle traversie della vita affrontate in prima persona e senza cavalier serventi.
Piacente ma non bellissima, ha un complesso di inferiorità enorme verso Kyla, decisamente più sexy e sfrontata, e che lo fa pesare alla cugina (assicurandosi puntualmente tutti gli uomini piacevoli e single che incontrano), meno bella ma soprattutto meno adatta di lei a fare la gatta morta.

Il viaggio in Egitto, della durata di dieci giorni e che toccherà tutto quello che c'è di più interessante, è una vera guida pratica anche per il lettore; dell'Egitto si conoscono di fama quasi tutti i monumenti, ma in pochi saprebbero dire dove sono ubicati, quali si raggiungono per primi andando da Nord a Sud, e quanta distanza effettiva ci sia tra essi. Se uno accarezzasse l'idea di un viaggio nel paese dei Faraoni, questo romanzo potrebbe dare un'idea di tempi, costi e ostacoli; si, perchè l'autrice, che evidentemente ha sperimentato la cosa in prima persona, non ci risparmia nemmeno i lati meramente pratici o addirittura sgradevoli, dalle impressonanti escursioni termiche tra notte e giorno, alla penuria dei servizi che scontentano puntualente l'occidentale che pensa sempre e comunque di trovarsi a Londra o New York, la sporcizia dei cammelli, l'insistenza dei venditori di cianfrusaglie; insomma, c'è poca dell'epicità o della trasfigurazione poetica di tanti libri e film Hollywoodiani (o dell'indulgenza verso usi e costumi di una Agatha Christie) ma al tempo stesso l'autrice è chiara su una cosa; le meraviglie che offre il paese vale comunque la pena di vederle, i disagi sono resi poca cosa dalla effettiva grande bellezza del tutto.

Il meccanismo giallo, non temete, è ben presente e si innesca fin dall'inizio, quando la zitella impicciona viene trovata morta ai piedi di una piramide; sembrerebbe uno sciocco incidente, ma oviamente non è cosi, e toccherà all'intrepida Jocelyn, aiutata dal fin troppo piacione Stratton  (che ovviamente non si fila la fin troppo facile preda Kyla preferendo la più virginale Jocelyn...vabbè, spero succeda spesso anche nella vita reale), dipanare un mistero che per un lettore esperto è tutt'altro che inestricabile, però tutto sommato l'intreccio mistery è abbastanza ben svolto e coerente.

In ogni caso, questo romanzo va letto come una pura evasione, per sentirsi parte di un viaggio organizzato che uno non si può permettere, o che non ha voglia o tempo di fare. Adattissimo sotto l'ombrellone, magari potrete far finta che la sabbia del lido nostrano che vi circonda sia quella del grande deserto Egiziano attraversato dal Nilo, o magari, come me, tirerete un sospiro di sollievo per NON essere in mezzo a quel caos ma davanti al nostro splendido, "banalissimo" mar Mediterraneo.