Da
qualche giorno è in tutti i cinema un film destinato a essere
"appetito" da noi amanti del giallo classico; si tratta di "MR. Holmes"
(titolo che nel nostro paese ha dovuto subire l'aggiunta de "Il mistero
del caso irrisolto..." vabbè) del regista Bill Condon, tratto dall'omonimo
libro di Mitch Cullin edito da Neri Pozza (Che non ho letto ma mi dicono essere
buono, anche se a quanto pare il film se ne discosta in alcune scelte
narrative) e interpretato tra gli altri da Laura Linney, Frances de la Tour e
ovviamente da lui, uno dei più grandi attori di ogni tempo e probabilmente il
maggior attore vivente, quel Sir Ian McKellen troppo spesso ricordato solo per
avere impersonato Gandalf nel Signore degli anelli o Magneto negli X-Men, ma in
realtà titano dello schermo e del palcoscenico da mezzo secolo.
Già a
leggerne per sommi capi la trama, si capisce che non ci troviamo di fronte al
"solito" apocrifo; lo Sherlock presentato nel film, ambientato nel
1947, è un ultranovantenne comprensibilmente pieno di acciacchi e affetto da
una demenza senile sempre più evidente, che vive non nella Brulicante Londra ma
nell'arcadica campagna del Sussex, in prossimità delle bianche scogliere di
Dover, fedele al proposito, paventato dallo stesso Doyle in un racconto del
canone, di una serena vecchiaia da apicoltore. Holmes, ormai rimasto solo al mondo,
vive con la governante Mrs. Munro (Una Laura Linney che, anche nei panni
dimessi e castigati di una rassegnata vedova di mezza età, fatica a contenere
la propria bellezza e sensualità) e dal giovane Roger, ragazzo brillante ed
educato (anche se talvolta spietato con la madre, che pare ottusa ma invece
cerca di fare solo il bene suo e del figlio coi mezzi limitati che ha a
disposizione) che ama le api ed è un vero bastone della vecchiaia per l'anziano
Ex-investigatore.
Altre immagini del film; McKellen con Laura Linney e col giovane, bravissimoMilo Parker nella parte di Roger.
Nonostante
questo apparentemente tranquillo "Life-end" Holmes ha qualcosa che lo
tormenta, ossia il ricordo, parzialmente distorto dalla malattia che avanza, di
uno strano caso che lo coinvolse, già sessantenne, nel 1912, riguardante
un'enigmatica donna e le sue strane ossessioni (non voglio dire di più perchè
l'enigma, anche se tenue, è abbastanza intrigante) che lo portano, 35 anni
dopo, a chiedersi se ha fatto abbastanza per risolvere quel "caso come
tanti" apparentemente di minore entità rispetto ai vari Baskerville o Study
in scarlet. Seguiamo poi altri Flashback, tra i quali un viaggio in Giappone
alla ricerca di un'erba prodigiosa per la memoria, e altri episodi che
contribuiscono a rendere gradevole un film che vale ampiamente il prezzo del
biglietto; non che per questo sia un capolavoro, anzi a mio vedere ha una pecca
abbastanza grave, ossia quella di rappresentare uno Sherlock Holmes talmente
diverso da quello che conosciamo da
risultate fin troppo distante; lo stesso investigatore liquida come
"Licenze poetiche di Watson" tutta la mitologia dell'elementary, del
cappello da cacciatore, della pipa e della fida lente d'ingrandimento, ma non
riproporli nemmeno lontanamente significa snaturare del tutto un personaggio
che vive ancora oggi soprattutto grazie ai suoi cliches, e decade l'empatia con
lo spettatore; il personaggio non è Holmes, è un grandissimo Ian McKellen che
impersona un grande investigatore molto anziano, il che è diverso. Restano i
ricordi delle persone importanti dell'universo Holmesiano, ma sono nominati di
sfuggita, come fantasmi appartenenti a un'altra epoca. Si, forse è stato meglio
così e la pellicola ne guadagna in originalità, ma io uno Scherlock più
"Sherlockiano" lo avrei gradito.
In ogni
caso, avercene di film tanto garbati e deliziosi al cinema, mi ci recherei più
spesso che non una volta o due all'anno.