giovedì 26 maggio 2016

"UN 'OMBRA SU MAIGRET", IL ROMANZO DI SIMENON E LO SCENEGGIATO RAI CON GINO CERVI.




E’ esistita per la televisione Italiana, tra gli anni sessanta e settanta, un’epoca irripetibile, quella degli sceneggiati fatti bene, una televisione di qualità specchio di un paese che era più di qualità anch’esso, in quegli anni di boom economico e di passi in avanti notevoli dal punto di vista sociale e dei diritti umani e lavorativi, prima che tutto annegasse in recessioni e anni di piombo. Ancora non so spiegarmi perché un paese con molte persone alfabetizzate alla meno peggio si appassionasse a serie televisive recitate in un ottimo Italiano, con attori raffinati come Cervi, Gazzolo, Albertazzi, Buazzelli e Rascel a impersonare i vari Maigret, Holmes, Philo Vance, Nero Wolfe e padre Brown, e che queste serie le apprezzasse e le ricordi tuttora con immutato affetto; forse perché molti dei nostri padri/ madri e  nonni /nonne avevano si studiato poco ma erano intelligenti e curiosi/e, e amavano nobilitarsi con la televisione che era appunto un mezzo per accrescersi culturalmente; perché ora tanta gente anche laureata scelga regolarmente di abbrutirsi coi reality, quarti gradi, quinte colonne e altri prodotti di una televisione ormai nemica della cultura e della decenza è veramente un qualcosa di misterioso, evidentemente si apprezza il bello solo quando è irraggiungibile e una volta a portata di mano lo si schifa.


Beh, si diceva di questi sceneggiati RAI dei tempi d’oro; in Italia si capì prima che altrove che si poteva fondere con ottimi risultati letteratura (un classico o comunque un romanzo famoso come punto di partenza) teatro (gli attori protagonisti venivano quasi tutti dal teatro, e spesso le riprese erano in presa diretta e appunto di taglio molto teatrale) e cinema (perché comunque si girava anche in esterni) per creare prodotti mai visti prima, riuscitissimo connubio di tre arti che non ha avuto eguali altrove. Oggi, parte di questa tradizione sopravvive sicuramente nella riuscita serie del Commissario Montalbano con Zingaretti, anche se il macchiettismo ostentato di molti comprimari è veramente stucchevole.
Di sceneggiati memorabili anche solo di genere poliziesco ce ne sono moltissimi, anche creati ex novo; dal mitico “Segno del comando” ambientato in una Roma sghemba e notturna del tutto inedita, al bellissimo e inquietante “Ritratto di donna velata” ambientato nella mia Toscana, all’altrettanto suggestiva Sicilia de  “L’amaro caso della Baronessa di Carini” i superlativi si sprecano.
Ma il grosso della produzione, nella tradizione degli sceneggiati,era tratto da opere già esistenti, alcuni veri e propri masterpiece, e la serie a cui sono più affezionato (anche se forse come qualità effettiva i migliori in assoluto sono i tre Philo Vance con Giorgio Albertazzi) è senz’altro il Maigret di Gino Cervi, e non solo perché quest’ultimo sarà sempre il mio amatissimo Sindaco Giuseppe Bottazzi detto Peppone, ma perché questo grande attore ERA Maigret, e lo stesso Simenon ammise che, tra i tanti, Gino Cervi era senz’altro colui che si avvicinava di più al personaggio.
Ma non era il solo Cervi a funzionare; la grande Andreina Pagnani era una signora Maigret altrettanto esemplare, e i comprimari di ogni episodio, tutti attori di gran classe ed esperienza, contribuirono a creare uno prodotto giustamente rimasto negli annali della tv e, cosa ancora più importante, nel cuore della gente.


Per il primo episodio della fortunata serie durata dal 1964 al 1972, oggi diremo il “Pilot” , fu scelto uno dei più bei romanzi di Simenon, ovvero “Cecile est mort” da noi noto con il comunque azzeccato “Un’ombra su Maigret”.
Questo romanzo ha in se tutte le migliori qualità dello scrittore; la rappresentazione della Parigi del tempo talmente vera da essere in parte idealizzata (Simenon, dal dopoguerra in poi, visse perlopiù negli Stati Uniti e scriveva di Parigi mentre si trovava in Texas o in Arizona…) i delicati ritratti di persone ai margini della società e la grande umanità del commissario, gli ingredienti dei Maigret migliori; ma a tutto questo in Cecile est mort si associa anche una trama poliziesca robusta (cosa molto rara in Simenon, che non era certo giallista funambolico) e una soluzione finale degna di un’Agatha Christie, che aggiunge valore a un testo già preziosissimo.
La storia, in fondo, è la tragedia di una perdente, la dolce Cecile, ancora giovane ma già sfiorita, tiranneggiata senza pietà da una zia paralitica gretta e meschina; di donne così, che per chissà quali motivi reconditi rinunciano a vivere e si votano al sacrificio per gente che nemmeno le apprezza o le ringrazia ce ne sono molte ancora oggi, ma ai tempi di Simenon era ancora più semplice tenere una donna, specie se zitella e di pochi mezzi, sotto il tacco; e come l’autore, dalla forte personalità e assiduo frequentatore di ben altri tipi di donne sia riuscito a rendere tanto bene una personalità così agli antipodi della sua è semplicemente l’ennesima dimostrazione del suo genio letterario.
Cecile, sulle prime, per il povero commissario già oberato di lavoro è solo un grosso grattacapo; la ragazza infatti si presenta tutti i giorni al commissariato, aspetta per ore e ore che Maigret e solo Maigret la riceva (che la giovane ne sia un poco innamorata?)e quando finalmente, per sfinimento, riesce a parlarci, gli racconta una strana storia di oggetti che cambiano di posto e mobili spostati durante la notte. Il commissario cerca di aiutarla, manda qualcuno a indagare, ma poi perde la pazienza e la scaccia dicendole di importunare qualcun altro con le proprie fisime.
Ma un brutto giorno la vecchia zia di Cecile viene brutalmente strangolata nel suo letto e poche ore dopo la stessa ragazza viene trovata anch’essa morta proprio in uno sgabuzzino del palazzo di giustizia. Maigret è fuori di se per la rabbia e il senso di colpa, e inizia un’indagine che avrà dei risvolti decisamente inattesi.


Da questo romanzo, in fin dei conti abbastanza breve come tutti i Maigret, il regista Mario Landi trasse appunto l’omonimo sceneggiato in tre puntate dalla durata complessiva di 3 ore e 40 minuti, ben più del tempo che ci si mette a leggere il romanzo; questo perché il libro è reso in maniera non solo letterale ma anche teatrale, Gino Cervi è un Maigret calmo, placido,che almanacca con la stufa, che si crogiola con un bicchiere di vino, che fissa sorridendo la moglie che sferruzza; quello che per molti oggi sarebbe un ritmo pachidermico era invece ciò che nobilitava questi sceneggiati, che rilassavano lo spettatore, gli raccontavano un romanzo attraverso la parole e le immagini. Io ho già visto due volte questo splendido episodio scritto bene e recitato meglio, e invito veramente chi non lo conosce a scoprirlo, preferibilmente dopo aver letto il romanzo (Che comunque Adelphi pubblica col titolo tradotto letteralmente di Cecile è morta) e invito chi lo conosce già a rivederlo ancora, perché prodotti come questo meritano un’ammirazione persistente.

giovedì 12 maggio 2016

"INCUBI NOTTURNI", FILM DEL 1945 DI REGISTI VARI.

Se sulle novità del mercato librario non ballo certo per la felicità, da alcuni anni il mercato dell'Home video gode invece di ottima salute; da alcuni anni a questa parte, case come la Sinister, la Golem e la Flamingo ci regalano a cadenza regolare perle semisconosciute della cinematografia soprattutto Inglese, da sempre abbastanza snobbata dalla critica in quanto ha il "peccato" di essere troppo divertente e poco intellettualoide.
Una delle migliori perle by Sinister è senz'altro un meraviglioso film del 1945, "Dead of Night", reso in Italiano come "Incubi notturni", titolo nient'affatto male in quanto rievoca senz'altro lo spirito della pellicola, quella di raccontare incubi per farne venire qualcuno allo spettatore.



Fu uno dei primi esempi di film diretto da registi vari, in questo caso tutti grandi talenti che si sarebbero poi confermati negli anni a venire; l'unico veterano era il Franco-Brasiliano Alberto Cavalcanti, poi abbiamo il maestro delle commedie Charles Crichton, Basil Dearden e soprattutto Robert Hamer, regista di futuri ottimi film come "Il capro espiatorio", "Sangue blu" e "Vendicherò il mio passato". I quattro registi si alternano per raccontare le varie storie, che nascono da una cornice nel quale un uomo di nome Walter Craig che capita in una casa immersa nella campagna Inglese dove dovrebbe dirigere dei lavori, e si trova in un salone con alcuni sconosciuti...che però lui già conosce in quanto sono i protagonisti di un suo sogno ricorrente. L'uomo esterna il suo disagio e informa i presenti della cosa, ed essi, invece di prenderlo per pazzo, raccontano a loro volta, in una eccitante atmosfera da racconto pauroso attorno al fuoco, un episodio inquietante e "ai confini della realtà" che li ha visti protagonisti, mentre l'unico scettico, il noto psichiatra Van Stratten, cerca senza troppo successo di smontare i loro racconti con contorte spiegazioni riconducibili appunto alla psiche.





In una successione incalzante e senza un attimo di respiro, assistiamo alla strana premonizione che avverte un giovane pilota di corse automobilistiche, all'incontro di una simpatica ragazza con uno strano bambino, all'inquietante avventura di una giovane e sensuale sposa che regala al marito uno specchio che non sempre riflette la realtà. Poi un episodio comico di due golfisti che si battono per una ragazza anche dopo la morte di uno dei due, affindato al formidabile duo Basil Radford - Naunton Wayne, ovvero gli ultrabritish appassionati di cricket de "La signora scompare" di Hitchcock (lo avete visto tutti, vero?) che tra umorismo nero e citazione del "Fantasma inesperto" di H.G. Wells ci regalano dieci minuti di garbatissimo umorismo per farci riprendere dalla tensione degli episodi precedenti, tensione nella quale ripiombiamo subito dopo per quello che è l'episodio giustamente più celebrato , quello del ventriloquo e della sua marionetta con un filo  troppo arbitrio, interpretato dal sempre meraviglioso e affascinante Michael Redgrave, a suo agio in ruoli borderline.




Quando ormai tutti i presenti hanno raccontato la loro storia, è però Craig a informali di quella che potrebbero vivere; nel suo incubo, allo psichiatra cadono gli occhiali, tutto diventa buio e lui a quanto pare diviene preda di una furia omicida incontrollabile...ma gli incubi sono sempre destinati ad avverarsi? lo scopriremo in un finale da antologia, che ci lascia come lo spettatore di questi film vorrebbe rimanere, ossia turbato e deliziato in egual misura.

Ora, voi direste che ho appena recensito un film dell'orrore, seppur garbato e senza una sola scena truculenta. Forse si e forse no, perchè come ho detto siamo in un'atmosfera dove il reale e l'irreale sono abbastanza sfumati, dove non abbiamo la certezza che i fatti narrati siano reali o siano suggestioni di chi li ha vissuti; in effetti, le teorie di Van Stratten potrebbero essere anche attendibili, tutto sta alla discrezione dello spettatore, decida lui o meno se credere o meno ai racconti degli ospiti della casa; in fondo cosa si chiede a un racconto attorno al fuoco, quello di divertire o di essere credibile? anche i gialli classici seppur spieghino tutto con la logica(oddio, a volte lasciano comunque seri dubbi...), in fondo per me restano favole per adulti. Quindi un consiglio; prendetevi questo splendido film, aspettate una serata di pioggia, gettate il mondo fuori dalla vostra stanza e aggiungetevi agli ospiti della casa sperduta nella campagna.