martedì 30 dicembre 2014

BILANCIO LETTERARIO E TOP- TEN PER L'ANNO 2014


 

Anche per quest’anno, rubando vergognosamente l’idea alla impagabile titolare del blog “L’oeil de lucien” , stilerò una top ten delle opere che ho preferito in questo anno solare. Questo per me è stato un anno frenetico e faticoso specie nella  seconda metà, per cui non ho certo letto tutti i libri che avrei voluto. Le preferenze sono andate ai gialli, non solo per attitudine ma anche perché mi sono potuto permettere testi abbastanza brevi, da terminare in 1-2 sere; i romanzoni amo leggerli nei periodi di vacanza, quando posso affrontarli con tutto il tempo libero che voglio, senza abbandonarli per giorni e giorni.

 

Per quanto riguarda il giallo, quest’anno credo di aver fatto un discreto salto di qualità, ossia sono passato dall’essere un appassionato volonteroso ma poco organizzato a essere un collezionista che sceglie testi mirati, di autori anche di nicchia. Ho scoperto splendidi titoli irristampati dagli anni trenta, e ho ridimensionato più di un autore considerato “sacro”. Ho scoperto con grande piacere le opere di Paul Halter, e ho approfondito l’opera di due grandissimi come Austin Freeman e Berkeley.

 
Ma vediamo la mia top-ten 2014 per i polizieschi (li trovate tutti recensiti nel corso dell’anno)

 

10-ARSENICO, di Richard Austin Freeman; L’indagine scientifica rigorosa, il passato doloroso che riemerge, uno scioglimento amaro quasi da hard-boiled; veramente imperdibile.

 

9- L’OMICIDIO DI GERALDINE FOSTER, di Anthony Abbott; Un giallo che pur ispirandosi all’opera di Van Dine risulta ben più fresco e coinvolgente di tanti libri di quest’ultimo, con un’indagine impeccabile ma dai risvolti inquietanti e amari, e con un finale quasi da film horror. Una delle migliori opere prime di sempre.

 

8-IL TERRORE NEL CASTELLO, di Rudolph Stratz; una delle palmine ingiustamente dimenticate, non un vero giallo, ma piuttosto un gotico alla Wilkie Collins in salsa teutonica. Immerso in una atmosfera irreale, ipnotico e visionario, un classico che sarebbe ora di riportare in libreria.

 

7-LA MALEDIZIONE DI BARBAROSSA, di Paul Halter; leggo in rete che molti hanno trovato questa opera prima giovanile dell’autore Alsaziano acerba e ingenua…io invece l’ho trovata una fiaba nera assolutamente incantevole, e se il meccanismo poliziesco zoppica, ci si diverte moltissimo ugualmente.

 

6-LA DAMA DI COMPAGNIA, di Marie Belloc Lowndes; Un capolavoro assoluto dell’inverted story, la palmina  numero 8 risulta ancora freschissima e assolutamente coinvolgente; sinceramente non so spiegarmi il perché debba marcire dal 1930 negli archivi della Mondadori.

5-L’ULTIMA CARTA, di john Dickson Carr; quest’anno ho riletto circa una decina di libri dell’autore, e se qualche titolo acquista spessore a ogni nuova lettura, alcuni ( i romanzi storici) mi hanno lasciato decisamente perplesso. Ma tra tutti ho deciso di premiare questa splendia avventura con Bencolin, dai toni orrorifici e grandguignoleschi, che risulta una delizia anche in una traduzione approssimativa.

 

4-I FIORI DI SATANA, di Paul Halter; Onirico, folle, allucinato viaggio nella psiche umana nel capolavoro assoluto di Halter, in più forte di una trama poliziesca convincente che non si sgretola nel finale come in molti casi. Assolutamente da non perdere.

 

3-L’OCCHIO DI OSIRIDE, di Richard Austin Freeman; Le suggestioni dell’antico Egitto, una raffinata e sublime storia d’amore, le passeggiate per la Londra Edoardiana di Thorndyke e dei suoi amici; leggerlo finalmente in edizione integrale è stato meraviglioso. Un caposaldo.

 

2-LORD PETER E L’ALTRO, di Dorothy Sayers; più che un poliziesco, una testimonianza imperdibile di una certa Londra, di un microcosmo ormai perduto; altissima letteratura del novecento, punto e basta. Con in più un finale ad altissimo tasso emotivo degno di Simenon.

 

1-    UNA VOCE DALLE TENEBRE, di Eden Phillpotts. Mi raccomando, continuiamo a non ristampare questo capolavoro, priviamo i lettori di una storia da cardiopalma con personaggi delicati e atmosfere bucoliche, priviamoli di un romanzo sensazionale, di un capolavoro senza se e senza ma. Vi prego, se  trovate in una bancarella o a qualche fiera del libro la palmina numero 70 prendetela, fatela vostra, sarà un tesoro nella vostra biblioteca di gialli.
 
 

 

Per quanto riguarda i libri non polizieschi, le letture indimenticabili di quest’anno sono state “Chiamate la levatrice” di Jennifer Worth, “Tito di Gormenghast” di Peake e alcune opere di George Eliot, su tutte “La bella storia di SIlas Marner”, un capolavoro da pelle d’oca.

 
Concludo con tanti calorosi auguri per un FELICISSIMO ANNO NUOVO!!

lunedì 22 dicembre 2014

GIALLI INVERNALI... PER FESTE "D' ATMOSFERA"


 

Lo scorso anno, in prossimità del natale, mi divertii a fare un elenco di gialli natalizi, o almeno ambientati durante le festività, che esigere buoni sentimenti Dickensiani da un poliziesco è forse pretendere troppo.

Ma purtroppo i gialli classici sul tema sono più o meno gli stessi dell’anno scorso, dico “più o meno” perché ho scovato altri due polizieschi della golden age di ambientazione natalizia che lo scorso anno non conoscevo ancora, ovvero “Il canto di natale” di Clifford Whitting uscito giusto un anno fa nei Bassotti, che però ancora non ho letto, e soprattutto “Delitto imperiale” di Georgette Heyer, letto qualche giorno fa, un classicissimo poliziesco sotto il vischio molto ispirato, come tematiche e stile, alle opere della Christie, ma comunque con una sua grazia. Ambientato a Lexham Mayor, residenza che più tipicamente Inglese non si può, e con la solita famiglia di vipere pronte a mordersi che rivaleggia coi Lee di “Il natale di Poirot” e, come nel  libro della Christie, con un capofamiglia arido e meschino puntualmente assassinato, il romanzo si legge con piacere anche se in fondo è abbastanza scontato e prevedibile, forse la Heyer dava il meglio in atmosfere più romantiche che non descrivendo un microcosmo di gente che si detesta e che, soprattutto, odia il Natale e i buoni sentimenti a esso associati.

 

Ma per quest’anno, esauriti i consigli natalizi, vorrei tentarvi con gialli che comunque si svolgono in un’atmosfera invernale, con città e villaggi spazzati dal vento freddo e imbiancati dalla neve, o con tetre magioni dove si aggirano fantasmi o gravano maledizioni, tutte simpatiche cosette che si godono al meglio in inverno. E anche se per adesso il freddo e la neve non si sono visti nemmeno sulle alpi, almeno immaginiamoceli viaggiando con la fantasia.

 

Tanto per non sbagliarci, cominciamo da sua maestà Agatha Christie. La divina, si sa, prediligeva atmosfere decisamente più esotiche e colorate, ma sapeva dare il meglio in ogni condizione climatica.

Da antologia, infatti, l’ambientazione de “Un messaggio dagli spiriti”, romanzo del 1931 che magari non è il massimo come intreccio ma contiene uno degli inizi più suggestivi dell’autrice, con quella meravigliosa seduta spiritica in una casa di un villaggio isolato per la troppa neve; e poi l’idea di ambientare la vicenda nel Dartmoor reso leggendario da Conan Doyle col suo Mastino dei Baskerville, ne fa un libro veramente simpatico.

E poi, come dimenticare l’ Orient Express stretto in una morsa di neve in mezzo ai Balcani, mentre al suo interno si consuma il fosco dramma che tutti noi giallofili conosciamo a menadito? Per questo, anche se ormai la trama la sapete a memoria, vale la pena di rileggere “Murder in the orient express” ; per la suggestione di un treno fermo in mezzo a cumuli di neve.

Ma, ancora più che della Christie, il giallista da leggere in inverno è senz’altro John DIckson Carr, il maestro insuperato delle trame gotiche e orrorifiche. C’è solo l’imbarazzo della scelta; preferite aggirarvi nelle paurose magioni de “Il cantuccio della strega” o “La casa stregata” oppure nella Londra sferzata dalla pioggia fredda nell’appena recensito “Terrore che mormora” ? o altrimenti vi aspetta l’innevata White Priory col suo lago ghiacciato nel delizioso “Assassinio all’abbazia” uno dei Carr decisamente più “gelidi”..o ancora molto adatti a una sera d’inverno sarebbero i tetri ed evocativi romanzi con protagonista Monsieur Bencolin; dal “Mostro del plenilunio” a “L’arte di uccidere” fino a “L’ultima carta”, i brividi sono assicurati.

Se invece siete in cerca di un libro magari non immediato ma che è senz’altro un capolavoro della letteratura Inglese allora prendetevi senza esitazioni “Il segreto delle campane” di Dorothy Sayers; solo le prime 100 pagine, dove si rappresenta dettagliatamente un concerto di campane di capodanno, sono da antologia (sempre che interessi l’argomento, altrimenti…) ma anche l’ambientazione nelle paludi dei Fens durante un rigido inverno è di estrema suggestione; bello sempre, un must attorno a capodanno.

Una lettura simpatica ma decisamente meno impeccabile di quelle finora citate è senz’altro “Sotto la neve” di Jefferson Farjeon, un autore che non ho ancora capito se amo o detesto, ma che comunque non mi lascia mai indifferente; anche in questo romanzo, con una seconda parte abbastanza sgangherata e involuta, si ha però un inizio assolutamente fantastico (come sempre in Farjeon) con un treno che rimane bloccato per la troppa neve in piena campagna, e con un gruppo di viaggiatori che decide, stanchi di aspettare, di raggiungere a piedi la stazione più vicina, ma finiscono per perdersi e giungere in strana una villa isolata, piombando a capofitto in una serie di situazioni sempre più inquietanti e grottesche al tempo stesso…. Le premesse sono mantenute solo in parte, ma il libro è divertente.

Un altro ottimo poliziesco sul tema è senz’altro “La soglia della paura” penultimo romanzo di Anthony Abbott, dove un Thatcher Colt ormai in pensione e altri ospiti vengono bloccati da una bufera di neve in una villa dove si consumano inquietanti delitti in un’atmosfera quasi soprannaturale; forse il più suggestivo e “pirotecnico” tra i romanzi dell’autore, oltre che il suo più classico e gradevole, una vera delizia dall’inizio alla fine.

E poi, come non citare anche il primo romanzo della premiata ditta Patrick Quentin a firma Jonathan Stagge, ovvero “E i cani abbaiano”? ambientato in un’ America molto British, si regge su un’ambientazione invernale splendidamente evocata, e la caccia alla volpe nell’aria gelida del mattino che culminerà nella scoperta di una cadavere senza testa è memorabile. Forse il romanzo più bello a firma Stagge, assieme a “Una dolce, vecchia canzone di morte” ristampato nello speciale di Dicembre dello scorso anno.

Ma il titolo che ho serbato per ultimo, e che ho finito di leggere un’oretta fa con enorme soddisfazione, è l’incantevole “La casa dei pini fruscianti” di Anna Katherine Greene, edito negli anni novanta in edizione integrale dalla compagnia del giallo Newton, e adesso disponibile in ebook.

Basta solo l’inizio a rendere il libro indimenticabile; abbiamo un gentiluomo della vecchia America, Elwood Ranelagh, che sta tornando (a cavallo, siamo nel 1910) verso casa, ma viene costretto da una bufera di neve a far sosta nel circolo di campagna di sua proprietà, che viene usato solo in estate.

Entrando, scopre che nell’edificio è già presente qualcuno, e nascondendosi vede, illuminata dalla luce di un candeliere, il volto stravolto di colei che ama perdutamente, e poi scopre, mentre la fanciulla si è dileguata nel freddo della notte, il cadavere della donna che avrebbe dovuto sposare e della quale non era più innamorato. In quel mentre arriva, inopinatamente, la polizia…

Insomma, più che un giallo classico un fosco drammone di un’autrice che fu il ponte ideale tra il mistery vittoriano alla Wilkie Collins e i “se solo avessi saputo…” di Mary Roberts RInehart, che pur essendo inevitabilmente datato avvince e diverte tutti coloro che accettano di lasciarsi sedurre dalle atmosfere retrò che l’autrice incarnava alla perfezione.

 

Insomma, qualche dritta interessante per suggestive letture sotto l’albero penso di avervela data, spero abbiate apprezzato; colgo inoltre l’occasione per fare a tutti i miei lettori TANTI CARISSIMI AUGURI DI BUONE FESTE!!!

 

venerdì 19 dicembre 2014

UN FANTASTICO REGALO DI NATALE...SEPPUR IN EXTREMIS

Mancano davvero pochissimi giorni al natale, ma per caso non avete ancora deciso quale regalo fare a voi stessi o a un vostro amico giallofilo?
Ecco un consiglio, seppur forse tardivo, per gli acquisti, ovvero la recentissima riproposta negli oscar Mondadori  di TUTTO IL TEATRO DI AGATHA CHRISTIE, in una elegante veste grafica composta di due volumi in cofanetto (per un totale di quasi 1400 pagine!) nella quale tutte le commedie sono state ritradotte da Edoardo Erba. Io non la prenderò perchè comunque nella precedente edizione in 4 volumi (adesso esaurita) il corpus era integrale e tradotto splendidamente dalla Brinis e dalla Griffini, ma per chi non lo avesse l'acquisto è davvero obbligatorio, sia per il valore dell'opera che per il fatto che, come successo per la precedente edizione , potrebbe finire esaurita nel giro di poco tempo, un viziaccio che ha la Mondadori.





Tra l'altro vi informo in "anteprima" che sto portando avanti un articolo che esamina le commedie della Christie originali, ossia non tratte da suoi precedenti romanzi; rileggerle è gradevolissimo, sono gioielli di teatro puro, e alcune tengono testa alla commedia per eccellenza di Agatha, quella Mousetrap che è rappresentata ininterrottamente dal 1952, ormai divenuta una vera e propria icona British.

Il cofanetto costa 25 euro, ma fino a fine mese alla Feltrinelli lo trovate scontato del 15%.

Buona lettura.

mercoledì 17 dicembre 2014

"IL TERRORE CHE MORMORA" DI JOHN DICKSON CARR.


 
Secondo la mia modesta opinione, un poliziesco perfetto è un’amalgama di tre fattori, di tre ingredienti;

1-     Un enigma originale e una soluzione complicata anche se non troppo arzigogolata.

2-     Uno scavo psicologico approfondito dei personaggi coinvolti nella vicenda

3-     Infine, la capacità di tenere il lettore avvinto, incatenato alla poltrona, facendogli maledire qualsivoglia interruzione, fondendo abilità narrativa con leggerezza della scrittura, e creando soprattutto quell’atmosfera di curiosità mista a sottile disagio che rende unico e memorabile un poliziesco.

 

Lo so, sono abbastanza severo, perché i romanzi che presentano queste caratteristiche in contemporanea, chiamiamoli romanzi “ideali” sono pochissimi. Gli stessi maestri del genere raramente presentano un romanzo ideale; la Christie spesso offriva nei suoi romanzi un enigma di prim’ordine, ma non sempre era avvincente, e spesso i personaggi erano unidimensionali, appena funzionali alla vicenda. La Sayers offre personaggi approfonditi e memorabili, ma manca troppo spesso di leggerezza. Rex Stout e Simenon sono estremamente piacevoli alla lettura, ma i loro casi polizieschi abbastanza prevedibili. O ancora Cornell Woolrich, il maestro dell’adrenalina pura ma dalle trame, se si guarda bene, abbastanza sgangherate.

Insomma, è difficile trovare romanzi ideali. Capiamoci, non sto parlando dei “soliti” capolavori del genere, ma di romanzi che fondano assieme i tre fattori suddetti.

Per chi scrive,  il primo e il più grande tra questi è “La pietra di luna” di Collins, poi possiamo considerare tali “Come in uno specchio” di Helen MacCloy, “Dieci piccoli Indiani” ed “E’ un problema”  di Agatha Christie, “Un’accusa imbarazzante” di Josephine Tey, o ancora “Il cerchio rosso” di Edgar Wallace.

A questo ristretto club (se poi vi vengono in mente altri titoli, suggeriteli pure) appartiene anche il grande John Dickson Carr, autore che amo e leggo spesso pur non idolatrandolo come fanno in molti. A Carr “rimprovero” (uso le virgolette perché il suo valore è incontestabile), enigmi a volte fin troppo complicati che appesantiscono un testo già eccellente che con meno misteri filerebbe assai più spedito, oppure trame estremamente avvincenti ma del tutto assurde (molti dei romanzi storici, nei quali talvolta si sconfina anche nel fantastico, con salti temporali tra epoche diverse assai suggestivi ma che a me non sono mai piaciuti; l’ultimissimo romanzo, “Il mistero di Muriel”, è poi talmente inverosimile da essere quasi involontariamente comico) che mettono a dura prova la sospensione di incredulità del lettore di polizieschi, che è disposto a concedere qualche “deroga” ma non troppo; il purista dell’enigma perfetto esige verosimiglianza.

Ma in due occasioni almeno secondo me Carr sforna il romanzo perfetto; prima nel 1938 col meraviglioso “L’automa” e poi, pochi anni dopo, nel 1946, con “Il terrore che mormora”, forse appena un gradino sotto a The Crooked Hinge  ma sempre un capolavoro assoluto che a ogni rilettura (sono alla terza) assume nuovo spessore, nuova linfa.
 
 

Si, perché questo "He who wisphers" è un libro originale, eccitante tanto è avvincente, con personaggi splendidamente vivi e con risvolti di grande umanità, quasi doloroso a tratti. Ci sono coincidenze di troppo e qualche passaggio forzato, ma sono gocce in un mare di meraviglie.

La storia, come sempre in Carr, è difficile da raccontare, anche solo da riassumere. Inizia in una sera di pioggia, in una Londra che ancora si sta riprendendo dal disastroso conflitto mondiale appena terminato, nella sala privata di un ristorante. Qui due giovani, lo storico e reduce di gueraa Miles Hammond e la bella e determinata Barbara Morell ascoltano da un anziano professore Francese il racconto di un omicidio terribile, agghiacciante e con risvolti soprannaturali, accaduto in Francia poco prima dello scoppio della guerra. Di questo delitto, archiviato come suicidio quando è impossibile che esso lo sia, è sospettata una giovane e bellissima bibliotecaria, appena rientrata in Inghilterra…. Per i due giovani, aiutati da un Gideon Fell in forma splendida, è l’inizio di una vicenda che, come in un vortice a spirale, li trascina dentro a un incubo terribile, dal quale sarà difficile uscire, visto che i pericoli sono dappertutto, pericoli sia visibili che invisibili.
 
un'edizione Oscar dello scorso decennio; il classico del giallo ha la stessa copertina.
 

No, non mi sento di aggiungere di più, questo è davvero un libro da scoprire pagina dopo pagina, un capolavoro assoluto tra l’altro comodamente disponibile in libreria nei bassotti Polillo, nella stessa traduzione della Francavilla già presentata nei classici del giallo nel 2001.

Per un natale da brividi, per tre ore indimenticabili in compagnia di un grandissimo autore, per un romanzo veramente ideale, fate in modo di farlo arrivare sotto il vostro albero addobbato, in un bel pacchettino colorato, magari in giallo.

mercoledì 10 dicembre 2014

"PER MORTE INNATURALE" (O SINCOPE), DI DOROTHY SAYERS.


 

Tra tanti dubbi, l’unica certezza è che Dorothy Sayers sia stata una scrittrice unica e irripetibile. Prima  non c’era mai stata nessuna come lei e nemmeno dopo, con buona pace dell’appena scomparsa P.D. James e di Elizabeth George che, pur con alcuni lavori pregevoli al loro attivo, invano hanno tentato di replicarne la grandezza.

E’ un’autrice in ogni caso che non può e non deve lasciare indifferenti; amata fino all’idolatria da alcuni, irrisa e stroncata senza alcuna pietà da altri, poche sono state tra i critici le vie di mezzo; io che non sono nessuno voglio cercare di collocarmi in questo limbo, perché  anche se la Sayers mi piace, e molto, sono ben lungi dall’essere un suo fan incondizionato come lo sono per la Christie, Conan Doyle e Wallace.

Sono al mio terzo incontro con l’autrice; il primo, “Lord Peter e l’altro”, è stata una delle più belle letture di quest’anno (poi vedrete la classifica intorno a San Silvestro) il secondo, “Gli occhi verdi del gatto” attualmente in edicola nello splendido ultimo speciale del giallo, un piacevolissimo giallo goticheggiante e avventuroso e questa mia terza lettura, “Per morte innaturale”, romanzo del 1926 che cronologicamente è il terzo della saga di Lord Peter, è un oggetto decisamente complesso, che per alcuni aspetti ho apprezzato moltissimo ma mi ha lasciato perplesso per altri.
 
cover dell'unica versione integrale, tradotta dalla Griffini.
 

Un romanzo che, come sempre nella Sayers, travalica il genere, e finisce di essere molto di più che una semplice “storia a enigma”, come se creare un buon enigma fosse una cosa semplice. Infatti questo si può considerare un vero trattato sociologico sulle condizioni delle tante donne nubili (perfidamente denominate zitelle) nell’Inghilterra tra le due guerre; il primo conflitto mondiale si era portato via infatti quasi un milione di giovani possibili mariti, e di conseguenza per moltissime donne lo zitellaggio diventò una realtà proprio per mancanza di “materia prima”. Coloro che, per poche attrattive o semplicemente perché arrivate tardi, non riuscirono ad accaparrarsi uno dei pochi scapoli disponibili, si rassegnarono a restare sole in un’epoca in cui questo era purtroppo visto come una condizione di inferiorità per una donna, finendo per campare della generosità dei parenti che le tolleravano a fatica, e finendo soprattutto, col passare degli anni, per ingrigire dentro e fuori, in pratica delle escluse, quasi dei parassiti della società. E proprio a queste “paria” la Sayers, donna forte e determinata oltre che di non comune intelligenza, volle dare voce, con grande intelligenza e sensibilità.

L’intreccio è, in effetti, quasi al servizio di questa tematica. Lord Peter infatti, grazie a una confidenza ricevuta da un medico idealista che, per avere sollecitato un’inchiesta per chiarire le cause del decesso di una vecchia signora che tutti pensano morta di morte naturale si è ritrovato in pratica bandito dalla piccola comunità di Leathenstone dove esercitava, decide di indagare sulla faccenda, un poco per aiutare il giovane dottore e un poco perché si annoia e non ha niente da fare.



Il sottotitolo "troppe zitelle" di questa vecchia edizione GM è assai azzeccato.
 
 
Appare ben presto chiaro che il medico aveva ragione, la signora è stata assassinata, e appare altrettanto limpido che solo una persona può aver commesso il misfatto; Lord Peter decide quindi di incastrarla, ma per  farlo deve costringere la persona a tradirsi, e siccome non può frequentare in prima persona un circolo di zitelle di varia età che potrebbe dare informazioni vitali riguardo al caso, manda in sua vece la formidabile signorina Climpson, il vero tipo della ultra-zitella perfetta su tutti i fronti, a suo modo efficientissima in ogni cosa che intraprende; in questo l’autrice sembra voler far trapelare il messaggio “O voi che denigrate le zitelle, se la società concedesse loro il ruolo che meritano vedreste bene di cosa sono capaci”.  E’ in questa chiave, più che in quella poliziesca dove il plot, molto piacevole e a tratti davvero dinamico, appare comunque un filo datato, che il romanzo va letto e apprezzato.

Sinceramente non mi sentirei di consigliare la lettura di questo romanzo agli amanti dell’enigma duro e puro, o a chi comunque apprezza giallisti dallo stile leggero e immediato; la Sayers richiede tutta la vostra pazienza, perché questo libro la rappresenta appieno, fornendo ampio materiale sia agli ammiratori che ai detrattori, in quanto i fattori che possono essere visti come i migliori pregi o i peggiori difetti coincidono; per molti le continue facezie di Lord Peter (che sinceramente a questo giro mi hanno un poco stufato) o le interminabili conversazioni tra le molte comprimarie sono il “sugo” di questo romanzo, per altri sono gli aspetti che più contribuiscono a renderlo insopportabile. Io, come annunciato, resto a metà tra le due fazioni. Mi sono divertito, ma anche annoiato a tratti. In ogni caso, sono felice di aver letto questo libro e  leggerò sicuramente altri Sayers, perché certe autrici, e questo credo che tutti possono essere d’accordo, sono un patrimonio della cultura del novecento.

 

martedì 2 dicembre 2014

I GIALLI MONDADORI DEL MESE DI DICEMBRE.

Nell'ultimo mese dell'anno, che include le feste natalizie con qualche ora in più per stare in panciolle a leggere un buon libro,secondo me ogni editore dovrebbe proporre il meglio, il top del materiale disponibile. COsì a mio avviso NON fa il giallo Mondadori, che propone uscite abbastanza sottotono nella serie regolare e nei classici, ma che si riscatta regalandoci uno speciale straordinario.

Cominciamo dagli inediti; si ripropone la brava Cristiana Astori, una giovane scrittrice Italiana di thriller che devono molto ad Argento e ai film Americani; anni fa avevo letto "tutto quel rosso" e pur non essendo proprio nelle mie corde (ma questo non è certo colpa della Astori) ho notato un piglio e una robustezza decisamente da veterana, e quindi spero che abbia il successo che merita.
L'altro inedito è il terzo romanzo della serie dei "Murdoch Mysteries" di Maureen Jennings, un poco la Anne Perry Canadese; non ho letto i precedenti quindi non posso pronunciarmi.

Ma se la serie regolare propone romanzi che comunque possono interessare molti (anche se un Berkeley o un Freeman o un Halter li avrei graditi assai di più) è sui classici che sinceramente si poteva fare davvero meglio; riproporre in un solo mese due icone indiscutibili ma pluri-ristampate e fin troppo note come Sherlock Holmes e Perry Mason la vedo una scelta davvero poco azzeccata.

Lo SH apocrifo sarà un inedito, un romanzo di Phil Growick che a quanto pare è il seguito del primo romanzo della serie uscito lo scorso settembre, con Holmes e Watson che vanno in soccorso della famiglia ROmanoff; questo romanzo di spionaggio decisamente lento e confuso, assai poco Conandoyliano,  mi aveva annoiato, quindi il seguito lo lascio tranquillamente in edicola.

Ma come detto, lo speciale di dicembre è VERAMENTE speciale; il volume, dal titolo "Tre donne del mistero" raccolgie due romanzi e un racconto di valore assoluti. Il primo, il bellissimo "Gli occhi verdi del gatto" (da me già recensito sul blog lo scorso marzo) è un giallo con sfumature gotiche e avventurose veramente imperdibile, e anche "Delitto d'annata" di Ngaio Marsh è un titolo che un giallofilo deve possedere. Il racconto "La scheggia" della sempre grande Mary Roberts Rinehart, è la ciliegina su una torta veramente appetitosa.

Insomma, un grande speciale che bilancia una proposta non eccelsa sugli altri fronti.

giovedì 27 novembre 2014

"IN UNA SERA DI PIOGGIA" DI MARY FITT.


 
Riguardo all'Americana Mary Fitt, caso non raro di autrice apparsa poco e male nei vecchi GM e poi dimenticata per decenni  fino all'intervento di san Polillo, una persona con molta più esperienza e competenza del sottoscritto ha asserito che è un'autrice di talento ma "eccentrica e quasi folle". Ora che anch'io la conosco, non posso che concordare appieno. L'anno scorso avevo letto "I tre corni da caccia" e lo avevo trovato piacevolissimo nella prima parte e poi completamente sgangherato e bizzarro, roba da far impallidire Farjeon, nella seconda. Nel complesso non mi era dispiaciuto ma mi aveva lasciato perplesso, e senza una grande voglia di proseguire nella scoperta dell'autrice. Ma quando, lo scorso mese, ho visto tra gli scaffali questo "Death and the pleasant voice" romanzo del 1946 già apparso in italia, sforbiciatissimo, col titolo "Il diavolo in campagna", una vocina mi ha detto di prenderlo, e ho eseguito. E bene ho fatto, perchè me lo sono letto la sera stessa tutto d'un fiato, e stavolta l'impressione è stata assai più positiva.


una sorridente autrice


Dunque, partiamo dal presupposto che la Fitt tiene alta la sua fama di eccentrica e imbastisce una vicenda che sembra uscita dalla penna di Paul Halter; se il paragone col grande, funambolico autore contemporaneo transalpino può sembrare abbastanza azzardato, a parer mio è invece calzante per due motivi; si narra una storia totalmente assurda e inverosimile e quasi sfrontata nei confronti di chi legge, ma che ti prende alla gola già dalla prima pagina e non ti molla più fino alla fine.
 
 

La  trama è talmente contorta e bizzarra che posso narrarvi solo l'inizio; il giovane studente in medicina Jake Seaborne sta percorrendo la campagna Inglese e ha un guasto all'auto nei pressi di una magione imponente e sinistra. Piove a dirotto e lo studente ovviamente chiede ospitalità nella villa, e si trova di fronte un eterogeneo gruppo di persone, la famiglia Ullstone, che lo accoglie come se fosse un ospite a lungo atteso. Ovviamente c'è uno scambio di persona, aspettano un altro, un ragazzo di nome Hugo del quale nessuno sapeva niente e che ora è erede della magione e dei quattrini della famiglia. Questo Hugo è ovviamente odiato da tutti loro, c'è perfino chi lo vorrebbe morto pur non avendolo ancora mai visto. A questo punto il giovane Seaborne viene pregato di restare, da esterno forse potrà essere "arbitro" di una contesa imminente e che si preannuncia senza esclusione di colpi...

Stop. Inutile raccontare oltre, inutile dare nomi, perchè siamo alla fiera di ciò che sembra e non è, delle persone che non sono coloro che dicono di essere, degli angeli che sembrano diavoli e dei diavoli che paiono angeli; questo è un libro che va gustato senza alcun pregiudizio, solo per purissimo divertimento. Non cercate di capirci qualcosa, è impossibile prevedere i colpi di scena, talvolta superbi, sempre dietro l'angolo. Queste sono due ore (o tre se siete più lenti) di lettura al fulmicotone possibilmente  in una sera piovosa come quella del titolo (sotto al plaid i deliziosi  brividi derivati da una lettura gradevole si assaporano meglio), e se qualche giorno dopo non si ricorda quasi niente dell'intreccio o dei personaggi è perchè lo si è letto tanto velocemente da non avere il tempo di fissare niente nella memoria.

Quindi, in definitiva, questa Mary Fitt era una grande autrice oppure no? averla riscoperta è stato un qualcosa di doveroso o una pura perdita di tempo? mah, alla fine non lo so, forse la letteratura poliziesca poteva fare benissimo a meno di questo libro e anche dei "Tre corni da caccia", ma non il lettore che grazie a essi si è divertito. Per cui, ancora una volta, grazie Polillo editore. E speriamo in un terzo libro dell'autrice...

giovedì 13 novembre 2014

“ARSENICO” , DI RICHARD AUSTIN FREEMAN.


Di Austin Freeman ho già parlato in precedenza, ma amo ripetermi. E’ stato un grande giallista e anche fortunato, visto che  nei primi anni dieci in cui esordì non c’era una grande concorrenza come nei decenni successivi, cosa che gli permise di dominare la scena per molto tempo. Visse due stagioni creative distinte, la prima, la più celebrata, tra il 1907 e il 1914, poi riprese  a scrivere nel 1922 e pubblicò in maniera abbastanza feconda fino al 1942.

I primi romanzi dell’autore sono i più famosi e ristampati, anche perché in un qualche modo rivoluzionari; con la figura del dottor Thorndyke si inaugurò l’era del giallo scientifico, degli indizi vagliati con metodi scientifici, passati ai raggi X e trattati con soluzioni chimiche; negli ultimi romanzi dell’autore la figura dell’anatomopatologo intelligentissimo e bello come una divinità Greca risulta forse abbastanza datata, ma è un dato innegabile che per decenni essa rimase ineguagliata. E per uno volta lo slogan che si legge ogni volta che si ristampano le avventure di Thorndyke, ovvero “L’antenato di Kay Scarpetta” è abbastanza veritiero e pertinente, anche se in Freeman non troverete mai la morbosità e dettagli troppo raccapriccianti dei thriller contemporanei.

“Arsenico”, il romanzo di cui parlerò in questa occasione, fu pubblicato per la prima volta nel 1928 (titolo originale; As a thief in the night) e per qualche ragione inspiegabile non è famoso come “L’impronta scarlatta” o “L’occhio di Osiride” o ancora “Il testimone muto”; peccato mortale, perché Arsenico è un vero e proprio capolavoro, un romanzo di una bellezza che toglie il fiato e perfettamente compiuto in ogni sua componente.

La storia all’inizio è abbastanza ordinaria; muore un uomo di 57 anni, Arnold Monkhouse, dalla salute precaria e invecchiato prematuramente. Apparentemente sembra una morte come tante, ma il fratello del defunto, un reverendo, ordina un’autopsia del cadavere, e nello stomaco di esso viene trovato l’Arsenico citato nel titolo. Siccome il morto faceva una vita molto ritirata e non riceveva nessuno, i soli sospettati sono la moglie Barbara, ancora giovane e bellissima, Magdalene, una fanciulla da lui adottata seppur mai legalmente, il segretario- factotum cocainomane e innamorato pazzo di Barbara e infine il protagonista e narratore, l’avvocato Rupert Mayfield, un grande amico d’infanzia di Barbara, a cui lo legava e lo lega tuttora un rapporto di grande affetto, reso tale anche dalla comune perdita di Stella, un’orfana (come Magdalene…) adottata dal padre di Rupert e che formava con quest’ultima e Barbara un trio inseparabile, un grande affetto che si sgretolerà solo dopo la dipartita di Stella causa TBC.

E’ chiaro fin da subito che il colpevole è uno degli intimi del morto, e anche Mayfield stesso è tra i sospetti; e quest’ultimo, per ottenere chiarezza, consulterà il suo amico dottor Thorndyke, che porterà alla luce una verità agghiacciante e dolorosissima, che lascerà un segno indelebile nella vita dei protagonisti.

Nella prima parte del libro assistiamo all’esposizione in tribunale di tutto il  caso; si espongono con disinvoltura dettagli abbastanza inusuali per il periodo come le condizioni dei tessuti muscolari, il contenuto dell’interno dello stomaco e l’esame delle feci del morto; il tutto con estremo tecnicismo, sempre però interessante e rilevante ai fini della trama.

Ma Freeman era uno scrittore di troppo spiccata sensibilità per limitarsi a scrivere un thriller legal-procedural freddo e impersonale, e infatti alterna alle crude descrizioni passaggi idilliaci tra i vari protagonisti, confessioni amorose sussurrate a bassa voce, dolcissimi ricordi del passato perduto e soprattutto quelle meravigliose passeggiate nella Londra del tempo che sono una vera e propria cifra stilistica dell’autore. Si arriva ai capitoli finali senza il minimo sbadiglio e sempre più desiderosi di conoscere lo scioglimento  della vicenda, anche se, come detto, esso sarà pieno di amarezza e non conoscerà consolazioni di sorta, anche per colpa del granitico Thorndyke, amante della giustizia e della verità a ogni costo, ma in questa occasione  pecca di eccessiva fede in essa, palesando dettagli che forse era meglio tacere; luce completa sul caso, ma ombre nella vita futura di più di un protagonista.

Apparso per la prima volta nelle palmine col numero 107 (l’edizione in mio possesso) e ristampato in anni recenti nei classici, “Arsenico”  è un romanzo eccezionale che ogni giallofilo dovrebbe avere nella sua biblioteca, un’opera d'arte senza mezze misure.

 

PS la copertina di Abbey per l’edizione anni trenta è bella ma un poco “spoilerosa” e quindi ho deciso di non pubblicarla.

martedì 11 novembre 2014

"DELITTI DI SETA" DI ANTHONY BERKELEY.


Credo che tutti i giallofili concordino con me sul fatto che Anthony Berkeley Cox (assieme a John Rhode, Henry Wade e Richard Austin Freeman) meriterebbe una fama ben maggiore di quella che ha e un posto in quell’olimpo occupato da quelle 4 o 5 divinità la cui opera e la cui memoria è tramandata con più “spinta” alle nuove generazioni. Se Agatha Christie e Conan Doyle li conoscono anche i bambini, se Chandler e Hammett sono emblema di un’epoca, se Ellery Queen e Carr sono i beniamini di coloro che amano i virtuosismi del poliziesco, Berkeley e gli altri sopra citati si ricordano poco e male; sconosciuti ai non appassionati del genere, ignorati dalla grande comunicazione mediatica, in pratica bisogna andarseli a cercare con fatica e sudore. E anche se Berkeley , grazie a Mauro Boncompagni e la redazione del GM odierno, viene riproposto spesso anche con inediti, la sua fama resterà per sempre circoscritta agli amatori.

Peccato, è come avere un Platini o uno Zidane e farlo giocare in serie B, tanto per capirsi. Se fossi nello staff della Mondadori mi batterei per ristampare Berkeley negli oscar, memore della felicissima, recente riproposta dei romanzi di Josephine Tey.
 

Un esempio della grandezza di Berkeley è questo misconosciuto “Silk stocking murders” Pubblicato nel 1928 e quarto romanzo con protagonista l’originalissimo scrittore e investigatore dilettante Roger Sheringham, che nel corpus dei detective del poliziesco fa storia a se; uomo molto diretto, quasi rozzo, senza quegli orpelli e quei vezzi che facevano tendenza all’epoca; in pratica, nella sua normalità, Sheringham al tempo era quasi rivoluzionario, perché un uomo della strada ai tempi dei Poirot o Van Dine non era roba da poco.

Ma Berkeley con questo romanzo crea anche uno dei primi archetipi sul tema dei delitti seriali; ben prima de “La serie infernale” e  “Il gatto dalle molte code” l’autore ci presenta infatti un assassino che uccide alcune giovani donne con la stessa inquietante modalità (le impicca con una calza tolta alla vittima stessa; notare la componente erotico-fetish per l’epoca abbastanza forte), vittime che apparentemente non hanno alcun nesso tra loro, che appartengono a ceti e ambienti assai diversi (un’attricetta, una prostituta, una lady ricca e snob) e hanno in comune solo il fatto di essere cadute nella trappola di un diabolico assassino che si aggira nel formicaio Londinese.

La polizia, assai miope, pensa che i primi omicidi del maniaco siano solo banali suicidi. Ma Sheringham, che tramite il quotidiano di cui cura la pagina di cronaca nera ha ricevuto una pietosa lettera dal padre di una delle ragazze scomparse, inizia a indagare su tutta la faccenda e capisce subito che le coincidenze tra i delitti sono troppe, e intraprende quindi un’indagine molto complicata, coadiuvato da amiche e  parenti delle donne uccise (bellissima l’amicizia che nasce tra Sheringham e Anne Manners, una timida ma risoluta ragazza di campagna sorella della prima vittima) e dopo un certosino procedimento di eliminazione dei sospetti giunge all’individuazione del colpevole, che smaschererà in un finalone di grande suspense.

Il ritmo del libro, è giusto sottolinearlo, è abbastanza lento; somiglia in questo a un romanzo di Austin Freeman o di Crofts, ogni indizio viene vagliato, ogni coincidenza verificata con un’attenzione estrema; ma in questo caso lento non significa noioso, perché Berkeley sa sempre tenere desta l’attenzione, riuscendo a intrigare anche il lettore più superficiale, e col passare dei capitoli l’empatia verso i personaggi aumenta, ci sentiamo a disagio per come possa andare a finire; ed è proprio in quel senso di disagio che si avverte la grandezza di questo splendido ibrido di giallo classico e thriller puro, purtroppo disponibile nella sola edizione dei classici del giallo n. 846, e ottimamente tradotto da Mauro Boncompagni, grandissimo esperto dell’autore che ha curato anche le recentissime ultime uscite dei romanzi dell’autore nei GM.

Un libro bello quanto importante, assolutamente da avere e da leggere, come tutti gli altri Berkeley.

 

 

 

lunedì 27 ottobre 2014

TUTTI I FILM DI ALFRED HITCHCOCK, OVVERO CRONISTORIA DI UNA MAGNIFICA OSSESSIONE.


Erano le feste natalizie del 1995, frequentavo la terza media e al tempo ero sempre malato causa tonsille balorde. Una sera, come sempre febbricitante, ero nel lettone della camera dei miei genitori, unica altra stanza oltre al salotto ad avere un televisore. Mentre faccio zapping, mi imbatto in un film appena iniziato, con titoli di testa animati e una musica ammaliante, e per due ore e passa non riuscii nemmeno a distogliere lo sguardo dallo schermo, completamente ammaliato da quando stavo vedendo; il film era “La donna che visse due volte”, e quella sera io scoprii il cinema, mandai alle ortiche i vari Rambo e Terminator e per me i film di Hitchcock diventarono una vera e propria ossessione; ogni giorno guardavo il televideo per vedere se davano qualche suo film per poi registrarlo, e quando l’anno dopo la DeAgostini editò la mitica collana di VHS azzurre risparmiavo anche di comprare la colazione a scuola pur di racimolare le ventimila lire necessarie (ai tempi una discreta cifra) per l’acquisto.

Altri tempi, certo, ora i film si vedono sui bluray  in alta definizione se non direttamente su Youtube, ma quanto era bello e quanta soddisfazione dava quel pionierismo dell’home video! Ora è meglio, certo, ma è perfino troppo facile, una volta questi film bisognava sudarseli in ogni senso, e alcuni raggiunsero per me un’aura di leggenda ancora prima di averli visionati.

Devo dire che ho visto e rivisto tutta la filmografia Hitchcockiana, anche i film più rari e malriusciti, e ora che finalmente è passato il manicheismo di un tempo posso ora valutarli in piena coscienza, e questo vuole dire anche dare qualche giudizio controcorrente, perché non sono uno di quei cinefili che osanna a priori, anzi detesto chi lo fa. In ogni caso continuo ad amarli sempre e comunque, e Hitchcock rimarrà sempre, come per molti altri, il regista che preferisco in assoluto.

Come per il post su Agatha Christie, recensirò ogni opera in ordine cronologica e dando da una a cinque “stellette” di valutazione; non si racconteranno dettagliatamente trame o intreccio o altre informazioni che potete trovare su altri siti ben più completi, solo giudizi estemporanei senza pretese. Naturalmente tengo a ribadire che sono un semplice appassionato e i miei pareri sono da prendere con le molle e anche da contestare, si spera sempre garbatamente.

PS se in alcuni casi dopo gli asterischi notate un più, sarebbe a significare una maggiorazione del voto, una specie di mezzo punto in più; ad esempio, ***+ significa tre stellette e mezzo.

 

GLI ANNI VENTI; IL MUTO E LA FAME
 

 

Il giovane Hitchcock, dopo una breve gavetta sotto l'egida di Graham Cutts, si rivela subito un enfant prodige, e a soli 25 anni gli viene affidato un film tutto per lui; ma il cinema Inglese dell'epoca era ancora molto pionieristico, si credeva poco nel mezzo, i budget erano limitati, i soggetti scelti a caso e gli attori non propriamente dei grandi professionisti; infatti non c'è da stupirsi se molti film britannici dell'epoca sono andati perduti. Ma comunque i film di Hitchcock scampano quasi tutti all'ecatombe, tranne uno, "The mountain eagle" del 1926, un melodrammone tra i pastori del Kentucky che a detta dello stesso regista è un qualcosa di meraviglioso...che non  esista più.

 

1- IL LABIRINTO DELLA PASSIONE **

Beh, non è il caso di essere severi con il primissimo film del futuro maestro, un melodramma decisamente sciocco e inverosimile ma con alcune sequenze abbastanza suggestive. In ogni caso, molto meglio del film è il racconto (di Hitch stesso) delle incredibili traversie a cui andarono incontro il regista e l'allora assistente e poi futura moglie Alma Reville durante la realizzazione della pellicola; un racconto avventuroso e picaresco che è uno dei momenti migliori del fondamentale libro intervista con Truffaut.

 

2 - IL PENSIONANTE ****

 

Il fatto che quello che è nettamente il miglior film muto di Hitchcock sia anche un thriller sarà anche casuale, ma credo che invece il regista avesse ben chiare le sue idee su quale genere dare il suo meglio, al contrario dei produttori Britannici che gli commissioneranno di nuovo un poliziesco solo all'avvento del sonoro.

Tratto da un bel romanzo di Marie Belloc Lowndes, una variazione sulla figura di Jack lo squartatore, per una resa impeccabile a livello di suspense e una bella rappresentazione di una Londra a un tempo inquietante e saporitamente popolare. Da vedere esclusivamente in versione integrale restaurata, anche su youtube.

 

3- IL DECLINO /DOWNHILL **

Siccome a Hitchcock il thriller è riuscito troppo bene, meglio farlo tornare sulla terra con questo insulso melodramma dove un Ivor Novello ultratrentenne interpreta un poco credibile giovane studente di Oxford espulso dalla facoltà dopo una falsa accusa infamante; nella sua discesa agli inferi, il giovane conoscerà tutti i luoghi e le persone più sordide e malfamate, poi tutto si riaggiusterà e il riscatto sarà completo. Vi sembra un polpettone insulso e noioso? si, lo è.

 

4- VINCI PER ME! / THE RING ***

 

Altra storia di ascesa e caduta, stavolta ambientata nel mondo del pugilato dove un campione locale incontra un asso della Boxe che gli porta via credibilità sul ring e anche la donna che ama; il cornuto e mazziato (in tutti i sensi) saprà riconquistare tutto ciò che aveva perduto, ma non sarà facile. Certo, la storia è un altro dramma abbastanza scontato, ma stavolta la confezione è decisamente migliore; bravissimi attori, belle sequenze quasi documentaristiche sulle fiere di campagna dell'epoca, sceneggiatura brillante e quasi mai noiosa. Un film fatto con molto amore, e al quale il regista teneva giustamente molto.

 

5- LA MOGLIE DEL FATTORE **

Questa commedia degli equivoci a sfondo rosa, tratta da una piece teatrale di Eden Phillpotts, un giallista che amo molto, risulta interminabile e datatissima, e si lascia guardare solo per alcuni scorci agresti e la brava Lillien Hall Davies, talentuosa attrice scomparsa tragicamente poco dopo le riprese. Se volete affrontare la pellicola forza e coraggio, ci vuole tanta pazienza.

 

6- VIRTU' FACILE **+

Film decisamente odiato dal regista, a me sinceramente è piaciuto abbastanza; è il solito drammone su una donna che non riesce a diventare rispettabile dopo aver "peccato" in gioventù, ma il prodotto è ben curato e risulta ancora vedibile. Brava la protagonista Isabel Jeans, e gustosa la sequenza con la centralinista Benita Hume che ascolta trepidante la dichiarazione d'amore telefonica di due innamorati, parteggiando decisamente per il lieto fine. Inaspettatamente potabile.

 

7- CHAMPAGNE / TABARIN DI LUSSO  *+

Commedia più farsesca e disimpegnata che oggi diverte ben poco, nonostante gli attori ce la mettano tutta. Per cultori duri e puri del regista.

 

8-L’ISOLA DEL PECCATO  ***+

 

La storia, ambientata nella realtà dell’isola di Man (con scorci realistici che anticipano “L’uomo di Aran” di Flaherty)  è un melodramma a tinte forti oggi datato anche se per l’epoca piuttosto forte, ma il fascino che il film emana ancora oggi sta nelle splendide sequenze in esterni, nella bravura degli interpreti e nel fascino della stupenda Anny Ondra, prima vera “bionda Hitchcockiana”, esplosivo mix di sensualità aggressiva e raffinatezza che trent’anni dopo il regista ritroverà solo in Kim Novak. Un film che ho sempre amato, secondo me da recuperare.

 

9-BLACKMAIL – RICATTO ***

Pellicola considerata importantissima nell’initerario artistico del maestro in quanto, oltre a essere il suo primo film sonoro, è anche un ritorno al thriller (con una sciocca ragazza (ancora Anny Ondra) che uccide un pittore apparentemente innocuo che in realtà si rivela uno stupratore e poi viene ricattata da un lestofante che ha visto tutto) è in realtà un film sopravvalutato, più importante che bello; questo perché fu rovinato dall’improvvisa mania per il sonoro, che costrinse la produzione a rielaborare un film pensato in origine come muto; e se fosse stato lasciato tale sarebbe risultato forse un capolavoro, perché alcune sequenze, su tutte quella della ragazza che ritorna a casa all’alba dopo il delitto attraversando una fosca Londra semideserta ( e naturalmente l’inseguimento finale al british museum), sono bellissime; ma i dialoghi sono terribili, statici, interminabili e soprattutto raffazzonati.

 

GLI ANNI TRENTA; SI TOCCA IL FONDO E SI RISALE FINO ALLE STELLE, COI PRIMI CAPOLAVORI ASSOLUTI.
 
 
 

 Dopo il buon Blackmail, altro thriller riuscito, i miopi produttori ricominciano a propinare al regista tutto anzichè il genere che predilige, ecco quindi polpettoni, drammoni pomposi, e perfino un film su Strauss; a questo punto il regista o mollava o si imponeva, e per fortuna il talento ha avuto la meglio sulla mediocrità.

 

10 - GIUNONE E IL PAVONE *

 

Interminabile, datatissima tragicommedia di chiara derivazione teatrale (molto prima del Delitto perfetto il regista girò un film tutto in interni) dove si parla di una disgraziata famiglia Irlandese, disgregata per colpa delle lotte contro la corona Inglese e del capofamiglia, il "Pavone" del titolo, un rozzo ubriacone che passa il tempo al pub a ubriacarsi e sparare fanfaronate, sopportato con infinita pazienza dalla figlia e dalla moglie Juno (ovvero Giunone..) che alla fine lo lascerà al suo destino. Forse di stretta attualità all'epoca, decisamente improponibile al giorno d'oggi.

 

11- FIAMMA D'AMORE *

Ma si poteva fare ben di peggio del film precedente, ovvero un drammone noioso e pomposo senza nemmeno il pizzico di umorismo che "Juno and the peacock" aveva: Siamo nell'Inghilterra rurale dove due famiglie, una di aristrocratici e una di parvenu, cercano di distruggersi a vicenda. Molto più appassionante fissare l'oblò della lavatrice in funzione. A difesa del regista, va detto che odiava questi film e li girava davvero controvoglia, per ragioni puramente alimentari.

 

12 - OMICIDIO! /MURDER **+

 

Si torna finalmente al giallo, stavolta, un Whodunit classico, e anche se non si torna a livelli eccelsi la qualità migliora sensibilmente. La storia sarebbe interessante, ma tutto risulta veramente troppo verboso e troppo pomposo per coinvolgere. Restano alcune ottime sequenze che rendono al meglio la Londra popolana, e solo per queste il film vale ancora una visione, anche perchè l'elemento poliziesco è reso fumoso  dal fatto che si voglia sorvolare sulla palese omosessualità di uno degli indagati; agli ingenui spettatori dell'epoca viene detto che era un "mezzosangue" (!) e quindi il personaggio e le sue azioni diventano chiaramente incomprensibili. Un'occasione sprecata.

N.D.R. di questo film è disponibile su youtube anche la versione per il mercato Tedeco, intitolata "Mary", in tutto e per tutto uguale all'originale anche se Alfred Abel è un protagonista ben più legnoso e indisponente di Herbert Marshall.

 

13 - RICCO E STRANO ***

Questa commedia dolceamara, a tratti datata e troppo bizzarra per coinvolgere lo spettatore odierno, è comunque un film importante per capire il pensiero del regista sui rapporti di coppia; in pratica di narra di due giovani sposini (Hitchcock e Alma?) che ricevono un'inaspettata eredità e decidono di godersela facendo un tour intorno al mondo, andando incontro a varie disavventure e tradimenti reciproci, per poi tornare alla monotona vita di sempre. Quasi un ideale dell'ostrica Verghiano applicato al menage coniugale (guai a desiderare di più di ciò che si ha...) che pur con un registro brillante riesce a far riflettere molto. Come detto un film datato, ma anche molto intelligente, a cui l'autore teneva comprensibilmente molto.

 

14 - NUMERO DICIASSETTE **+

 

Ovvero, uno dei film più assurdi e strampalati che mi sia capitato di vedere (che d'altra parte risulta tratto da un lavoro dell'adorabile ma sgangherato Jefferson Farjeon) completamente senza capo ne coda e quasi incomprensibile nello svolgimento, ma che nonostante tutto non riesco a odiare, in quanto è divertente e sorprendente nei suoi continui cambi di registro. Strepitoso il finale, con un inseguimento su camion e navi che palesemente sono modellini animati, ma che in realtà risultano di grande effetto. Molto simpatico.

 

15 - VIENNA DI STRAUSS  *+

Film, peraltro mai distribuito in Italia, passato alla storia per essere il  film più odiato dal regista stesso, ma sinceramente non è davvero il suo peggiore; la storia è melensa e lontanissima dalle tematiche Hitchcockiane, completamente a disagio (e sempre lo sarà) coi film in costume, ma la confezione è gradevole e gli attori simpatici, anche se avendone vista una versione in lingua originale senza sottotitoli non posso giudicare il film in ogni suo aspetto.

 

16 - L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO ***

E finalmente arriva la risalita. FInalmente si capisce che per ottenere il massimo da Hitchcock è bene affidargli soggetti è sfondo spionistico o poliziesco, e con questo film inaugura un filotto vincente di film di spionaggio, genere purtroppo all'epoca attualissimo visto il presagio della guerra sempre più incombente.

Di questi film, questo "The man who knew too much" è il meno bello, ma è comunque molto interessante perchè vi si trova in nuce tutti gli elementi che renderanno unico e inimitabile il cinema del  maestro; innocenti braccati che cercano i colpevoli per salvare se stessi o i loro cari, doppiogiochisti, cattivi "simpatici" e soprattutto tanta suspense. Di questo film, tutto sommato datato e a tratti noiosetto, resta memorabile la parte Londinese, con la visita alla cappella della setta dei "figli del sole" che si rivela essere poi il covo delle spie, e la bella sparatoria finale.

 

17 - IL CLUB DEI TRENTANOVE *****

 

Ed eccoci finalmente al primo grande capolavoro firmato dal maestro. Un capolavoro che quasi ottant'anni dopo non ha perso un filo di smalto, sempre godibilissimo e a tratti irresistibile. Stavolta l'uomo ingiustamente accusato travolto dagli eventi (il fantastico Robert Donat), il Canadese in trasferta a Londra Richard Hannay, deve guardarsi dalle spie nemiche e dalla stessa polizia, e oltre a fuggire deve anche cercare di risolvere il mistero dei "39 scalini".

 Ma in tutto questo c'è spazio per commoventi sequenze agresti (la dolce moglie sottomessa di un rozzo contadino scozzese che aiuta il protagonista ribellandosi alla tirannia del marito) e per un divertentissimo corteggiamento con un'eroina improvvisata che sulle prime vorrebbe consegnare Hannay alla polizia e poi finisce per diventare sua  complice. Assolutamente imperdibile, un must, per chi scrive il secondo film più bello del regista dopo Vertigo.

 

18 - AMORE E MISTERO / L'AGENTE SEGRETO ***

 

Dopo il capolavoro, si torna sulla terra con un film di spionaggio non memorabile tratto da dei racconti di Somerset Maugham, che anche se ben girato (belle le sequenze svizzere) e ben interpretato non risulta molto coinvolgente. Anche l'umorismo è troppo nero per risultare apprezzabile, infatti il brio e la brillantezza del club dei 39 è assente, dominano anzi i foschi presagi di una guerra ormai quasi inevitabile.

 

19 - SABOTAGGIO *****

Film generalmente sottovalutato, per me una vera bomba; liberamente tratto dal romanzo di Conrad "The secret agent",  sarebbe una spy- story, ma in questo caso l'intreccio rimane decisamente sullo sfondo, e domina altresì la rappresentazione della vita quotidiana dell'ignara moglie di una pericolosa spia (la strepitosa Sylvia Sydney), che assieme al marito gestisce un piccolo cinema nell'east end Londinese; e il film è soprattutto uno spaccato di vita di inestimabile valore della vita nella Londra del tempo; mercati all'aperto, fruttivendoli, ambulanti di strada, portinaie, tram, edicole, ristoranti, una vera rappresentazione di un mondo perduto. E il finale, tragico e senza consolazione alcuna, lascia l'amaro in bocca come quasi mai nei film del regista. Un vero capolavoro da amare dalla prima all'ultima sequenza.

 

20 - GIOVANE E INNOCENTE *****

Dopo i toni da tragedia greca di Sabotage, Hitchcock cambia completamente registro regalandoci un film solare, arioso e divertentissimo. Tratto da un romanzo di Josephine Tey con la consueta libertà ed eleganza dal grandissimo sceneggiatore Charles Bennett, tratta del solito innocente al tempo stesso cacciatore e preda, che oltre alla libertà troverà anche il grande amore con la  giovanissima, incantevole Nova Pilbeam, un raggio di sole che svanì purtroppo quasi subito lasciando il cinema dopo il matrimonio, spezzando i sogni del regista che avrebbe voluto farne una grande star; il ruolo della seconda signora de Winter in "Rebecca" sarebbe dovuto toccare a lei, e anche se Joan Fontaine non la fece certo rimpiangere, la Pilbeam sarebbe stata perfetta per la parte.

 

21 - LA SIGNORA SCOMPARE *****

 

Ancora cinque stelle? beh, non è colpa mia se il regista in questo periodo faceva un capolavoro dietro l'altro! E questo adorabile film di spionaggio interamente ambientato in un treno (tratto da un romanzo della grande Ethel Lina White) è quanto di più brillante, leggero e irresistibile si possa vedere su uno schermo. La storia è esile e un poco assurda, ma quante trovate me-ra-vi-glio-se! un capolavoro da vedere e rivedere, la grazia fatta cinema. Interpreti tutti favolosi, soprattutto il grande Michael Redgrave, purtroppo alla sua unica collaborazione col regista.

 

22- LA TAVERNA DELLA GIAMAICA **

 

Hollywood chiamò, e il regista rispose; ma prima c'era da girare ancora un film nella madrepatria, e il maestro lo realizzò controvoglia, anche perchè il soggetto(tratto da un bel romanzo di Daphne du Maurier), una storia di pirati nella Cornovalgia dell'ottocento, non era molto nelle corde del regista.

Visivamente il film è piuttosto buono e alcune inquadrature una festa per gli occhi, ma sceneggiatura e interpreti non convincono, soprattutto Charles Laughton che gigioneggia in modo insopportabile dall'inizio alla fine, infastidendo per primo lo stesso Hitchcock.

Un addio (anzi un arrivederci, visto che il regista vi tornerà a girare "Frenzy" nel 1972) abbastanza sottotono alla vecchia Inghilterra, ma ormai è tempo di voltare pagina.

 

GLI ANNI QUARANTA; HOLLYWOOD, I DIVI, LA PROPAGANDA, GRANDI CAPOLAVORI E TONFI SOLENNI.

 

 
 


Nel 1940 arrivò per gli Hitchcock  la chiamata a Hollywood dal più grande tycoon dell’epoca, David O. Selznick; ecco quindi i grandi mezzi e le grandi star. Da vero Inglese, Hithcock comunque non si scompone e inizia a fare cinema negli States con la stessa grazia e la stessa leggerezza con cui lo faceva in Inghilterra, e regalandoci dal 1941 al 1946, grazie soprattutto all’abbondanza di meravigliosi attori, il suo filotto di film più entusiasmante assieme a quello di fine anni cinquanta.

 

23 -REBECCA, LA PRIMA MOGLIE *****

Premessa; questo è uno dei rari casi in cui il romanzo all’origine del film è bello quanto, se non più della trasposizione; questo perchè Daphne du Maurier non era un’onesta artigiana della penna come la maggioranza degli autori da cui Hitch trassse i suoi film, ma era invece una grandissima artista, della quale nessuno, almeno in Italia, ha minimamente riconosciuto la grandezza.

In ogni caso, amo il film come amo il libro; una fotografia splendida, grande attenzione al decor, una meravigliosa e inquietante atmosfera gotica, una Joan Fontaine assolutamente perfetta (mentre Laurence Olivier risulta invece abbastanza sottotono), grandissimi caratteristi che formano un cast da urlo, insomma, il produttore Selznick ricoprì il regista d’oro, e quest’oro che era mancato in Inghilterra fu fatto fruttare al meglio dal maestro, a suo agio nelle piccole produzioni semi-artigianali come nel più grande sfarzo Hollywoodiano; questo si chiama talento puro.

 

24 -IL PRIGIONIERO DI AMSTERDAM, O CORRISPONDENTE N. 17 ****+

 Dopo il viaggio fiabesco e fuori dal tempo di Rebecca, si piomba della più drammatica attualità; gli eventi legati al secondo conflitto mondiale riportano il mondo decisamente coi piedi per terra, e anche il cinema dovette attrezzarsi per finanziare film di propaganda, ma ciò venne fatto in modo intelligente, ossia senza rinunciare a divertire ed emozionare; e allora ecco questo splendido film di spionaggio e d’avventura ambientato tra Olanda e Inghilterra, movimentato, divertente e altamente drammatico (la tortura al vecchio Van Meer è una delle sequenze più scioccanti mai girate dal maestro), che come detto informa e intrattiene. Francois Truffaut, nel definirlo un film di serie B (forse perché non ci sono grandi star? Mah..) commise un peccato mortale.

IMPORTANTE; da vedere solo nella versione integrale di 118 minuti disponibile in DVD, visto che fino a qualche anno fa il film girava ancora in versione tagliatissima e censurata.

 

25 -IL SIGNORE E LA SIGNORA SMITH **+

Una commedia sentimentale, un film di puro cazzeggio che oggi ha perso molto del suo mordente (tratta di due sposi che scoprono di non essere realmente marito e moglie per un cavillo legale, e finiscono per chiedersi se non sia meglio sfruttare questo errore burocratico per lasciarsi davvero) ma risulta comunque simpatico se gli si concede un’occasione, fosse altro che per ammirare la splendida Carole Lombard al massimo del suo fulgore prima della tragica scomparsa.

 

26 -IL SOSPETTO *****

Rieccoci alla quieta e verde Inghilterra di prima del conflitto (anche se si gira a Hollywood) , riecco le star, ovvero Cary Grant e l’ancora meravigliosa Joan Fontaine, e soprattutto ecco quello che risulterà uno dei suoi film migliori in assoluto, per chi scrive da top-five.

Tratto da un romanzo del genio Anthony Berkeley, Hitchcock piega al suo stile e alla sua poetica una storia di amore maledetto, ossia quella di una donna giovane, buona e ingenua che accecata dalla passione si accorge di aver sposato un vero delinquente, falsario, truffatore e forse anche assassino, seppur  sia un uomo amabile e irresistibile in casa e tra le lenzuola.  Tensione sottopelle poi sempre più alle stelle, sequenze pazzesche come quella del bicchiere di latte (forse avvelenato, o forse no) illuminato per farlo risaltare nell’oscurità, amabili scorci e personaggi…tutto funziona al meglio, e questo film rimane nella mente e nel cuore.

Come molti sanno, il finale del film differisce da quello del libro, ma Hitchcock secondo me fu come sempre uno psicologo infallibile; nessuno avrebbe mai creduto a un Cary Grant cattivo fino in fondo.

 

27 -SABOTATORI ****

Non è proprio più tempo di film che ignorino il conflitto, per cui si ritorna alla formula sperimentata con grande successo nel Prigioniero di Amsterdam; un uomo in lotta contro il tempo che da la caccia alle spie filonaziste (stavolta negli States), inseguimenti movimentati e appassionanti, il trionfo finale dei buoni; ma tutto è diretto con brio e classe, e scenette come quella,commovente, nel carrozzone dei Freaks (scritta da Dorothy Parker) restano decisamente impresse. Interpreti poco noti ma spigliati e brillanti, per un film gradevolissimo e senza un minuto di stanca.

 

28 -L’OMBRA DEL DUBBIO *****

 Altro capolavoro assoluto, anche se ambientato in una quieta cittadina della California che tanto ricorda i villaggi Inglesi questo è per me un altro film di propaganda; nella storia del misterioso e seducente Zio Charlie che torna dopo anni a far visita alla sorella e del suo rapporto con la nipotina che porta lo stesso nome dello zio(la splendida Teresa Wright) che nutre per lui un amore che va ben oltre quello per un parente, ho sempre visto un’allegoria del Tedesco che arriva a sconvolgere la quieta e industriosa esistenza degli anglosassoni;  e come molti Nazisti dell’epoca Zio Charlie è un uomo seducente (perfettamente incarnato dall’attore feticcio Wellesiano Joseph Cotten), colto, intelligentissimo nel suo perpetrare il male. Alla fine le cose torneranno a posto, ma il prezzo da pagare sarà alto per tutti, soprattutto per la povera Charlie, che finisce per soffocare la sua passione insana e rientrare nei ranghi legandosi, credo senza troppa convinzione, a un giovane e onesto ragazzo americano come tanti.

Insomma, materiale incandescente gestito al meglio da un Hitchcock in stato di grazia assoluta.

Avvertenza; guardatevi il film solo inversione originale sottotitolata, visto che il doppiaggio che ancora circola è un qualcosa di inascoltabile.

 

29 -I PRIGIONIERI DELL’OCEANO ***+

 Altro film di piena propaganda, ma nonostante tutto profondamente Hitchcockiano; questa storia di naufraghi alla deriva ambientata in mare aperto e tutta ambientata in una scialuppa di salvataggio è per contrappeso quanto di più claustrofobico il regista abbia mai girato; in pratica alcuni civili si trovano alla mercè di un ufficiale Tedesco, che non si capisce bene se voglia salvarli (oltre a salvare se stesso) o portarli verso la morte certa; un buon punto di partenza per sequenze di vera suspense. Alla fine il messaggio è chiaro, alleati state tutti uniti e cercate di essere razionali, ma picchiate duro quando serve, e senza esitare.

 
30 -IO TI SALVERO’  ** 

  Uno dei primi esempi di “Hitchcock malato” ovvero quando un film avrebbe tutte le premesse per essere memorabile ma qualcosa discorda fino a compromettere il tutto. In questo caso, in questa storia di amore e psichiatria a stonare è una sceneggiatura macchinosa e un Gregory Peck che con Hitchcock non ha mai funzionato nemmeno per sbaglio; serioso e ingessato, tutto il contrario del tipico protagonista dei film del maestro. La Bergman invece è una vera meraviglia, un raggio di sole che illumina lo schermo.

 

31 -NOTORIOUS *****

 Dopo il mezzo passo falso di Io ti salverò, Hitchcock ritorna ai massimi livelli, con un capolavoro che è anche uno dei suoi titoli giustamente più famosi.

La trama in fin dei conti è una Spy-story un poco feuilletonistica, ma sinceramente mai come in questo caso l’intreccio conta zero, qui siamo nei territori magici del cinema puro, con Cary Grant e la Bergman che formano una coppia strepitosa e ad alto tasso erotico (la sequenza del lungo bacio è quanto di più sensuale si possa vedere su uno schermo) con delle inquadrature vertiginose che strabiliano, una fotografia pazzesca che riesce a rendere Rio de Janeiro un luogo cupo e opprimente, dei caratteristi di prima grandezza che rendono epica e memorabile ogni sequenza; tutto funziona, tutto è perfetto, soprattutto grazie all’incredibile talento di sua maestà Hitchcock.

 

32 -IL CASO PARADINE **

 Era destino che un film memorabile come Notorious dovesse restare ineguagliato per molti anni, e infatti dal 1947 fino al 1954 il regista conoscerà, vent’anni esatti dopo la prima, una seconda crisi artistica, con lavori perlopiù dimenticabili, il cui emblema è proprio questo fiacco, melenso Caso paradine.

Tratto da un bel romanzo di Robert Hichens, è un film sceneggiato senza brio da troppe mani ( ci misero le mani in troppi, dalla moglie del regista a Selznick stesso)  fiacco e moscio, con un Gregory Peck se si vuole ancora più anodino che in Io ti salverò e una Alida Valli bellissima ma del tutto inadatta a interpretare una sorta di misto tra una dark ladies del noir classico e una Lady Chatterley .

Charles Laughton e Ethel Barrymore portano un poco di pepe in una pietanza che però rimane scipita, anche se non indigesta come in altre occasioni.

 

33-NODO ALLA GOLA ***

Film strano, una specie di scommessa (parzialmente vinta) di girare un film in un  unico piano – sequenza, come se quello che si vede accadesse in diretta, a teatro.

La storia, anch’essa assai atipica, parla di due studenti omosessuali che uccidono un amico per puro divertimento e ne occultano il cadavere in una cassapanca, e subito dopo apparecchiano su di essa un buffet ai quali partecipano amici e parenti del morto. Una situazione potenzialmente esplosiva, ma i tempi morti sono troppi per tenere desta l’attenzione fino in fondo, e la suspense finisce per scemare pian piano, nonostante un finale di tutto rispetto.

 

34 -IL PECCATO DI LADY CONSIDINE *+

Ovvero, come prendere un soggetto totalmente inadatto a Hitchcock e fare in modo che lo diriga; risultati disastrosi garantiti, come proporre una commedia brillante a Robert Bresson e un dramma da camera a John Landis. Questo polpettone in costume riesce a essere in un solo colpo freddo, noioso e recitato in modo totalmente anonimo da due interpreti di prim’ordine quali la Bergman e Cotten. Si salva qualche sequenza con la mefistofelica governante Milly, signora Danvers in trasferta, ma il resto della pellicola è da buttare. Mai distribuito in Italia fino a 3 anni fa, e meno male, almeno lo conoscono in pochi.

 

GLI ANNI CINQUANTA; LA MATURITA’, LA PERFEZIONE, I CAPOLAVORI ASSOLUTI.

 

Sinceramente i primi anni di quello che sarà il decennio d’oro del regista, quello che lo renderà da grande a immortale, non facevano presagire tale fortuna; si ricomincia da dove era finito il decennio precedente, ovvero con alcune pellicole non all’altezza del maestro; ma niente paura, dal 1954 in poi fioccheranno capolavori come se piovesse.

 

35 -PAURA IN PALCOSCENICO **

Cioè, non un brutto film, ma un qualcosa di assolutamente inutile nell’initerario artistico del maestro, un poliziesco come tanti che avrebbero potuto dirigere mille altri registi. Sprecata la grande Marlene Dietrich, abbastanza penosi gli altri interpreti. Da vedere senza aspettarsi niente.

 

36 -DELITTO PER DELITTO / L’ALTRO UOMO ***

Dopo le imbarcare precedenti, Hitchcock rialza la testa con questo buon suspense mutuato da un bel romanzo di Patricia Highsmith, “Sconosciuti in treno”. Sinceramente non sono un grande fan di questo film, che risalta nella filmografia del regista come unica opera valida di un periodo opaco, ma sinceramente gli interpreti sono abbastanza fastidiosi (Farley Granger, colui che ha rovinato un film come “Senso” di visconti, è la solita mummia inguardabile) la storia priva di umorismo e anche abbastanza assurda; comunque la suspense è gestita egregiamente, perlomeno Hitch si tolse di dosso la ruggine.

 

37 -IO CONFESSO **

Altro film che se non esistesse sarebbe più o meno lo stesso; interessante lo spunto  (un sacerdote che riceve la dichiarazione di colpevolezza di un assassino nell’inviolabilità del  segreto confessionale, ma che rischia di essere accusato lui stesso del crimine che la sua coscienza gli impedisce di denunciare)  ma svolgimento troppo lento e serioso, cronica mancanza di umorismo british (cosa a cui il regista pare aver rinunciato ormai dai tempi di sabotatori) e interpreti funzionali ma non memorabili. Pleonastico.

 

38 -IL DELITTO PERFETTO ***

Lo so che non è un grande film, ma per una qualche ragione inspiegabile lo adoravo da ragazzino; forse perché nella sua semplicità e nel suo presentare continue situazioni di suspense è un film di grande presa sul pubblico, seppure un poco scolastico e senza guizzi alcuni di regia. Girato esclusivamente in interni (altra sfida vinta dal maestro) presenta interpreti notevoli, tra cui un Ray Milland cattivo simpaticissimo che beve e fa battute con l’amante della moglie come se niente fosse (però mentre progetta di farla fuori) e la bellissima, iconica Grace Kelly al suo esordio con Hitch.

 

39 -LA FINESTRA SUL CORTILE ****

“Oddio!! Scandalo!! Ma come, non dare il massimo del massimo a un simile capolavoro? Ma stiamo scherzando o che?”

So che molti di voi lo avranno pensato, non lo negate;  tranquilli che non c’è niente di male e posso capirvi, solo che a me questo film comunque meraviglioso, dai mille spunti ed emblematico quando si parla del  maestro è sempre sembrato un filo troppo lento, troppo dialogato, troppo inutilmente “filosofico”, tutte cose che alla fine vanno a discapito della pura suspense, che si palesa veramente solo nell’ultima mezz’ora. E poi non mi è mai riuscito fraternizzare del tutto col protagonista, non ho proprio l’animo del guardone e al suo posto mi sarei letto un bel libro; alla fine fa bene l’assassino a rompergli anche l’altra gamba. Per il resto, film indispensabile per ognuno che voglia approfondire le tematiche Hitchcockiane, ma personalmente preferisco molti altri titoli a questo.

 

40 -CACCIA AL LADRO **+

Si, è sempre un piacere vedere della bella gente ben vestita e raffinata, ma che la debba sopportare per un film intero, anche se tra loro c’è la sensualissima Grace Kelly, mi pare un po’ troppo.

Una storiellina fragile e leggerina con un Cary Grant leggermente troppo vecchio per fare il ladro gentiluomo atletico e sprezzante, si ritorna comunque a un sano umorismo di stampo britannico, che rende la pellicola gradevole, anche se stucchevole alla lunga.

 

41 -LA CONGIURA DEGLI INNOCENTI **+

Dal glamour sfrenato della Costa azzurra al Vermont rurale il passo non è affatto breve, e si vede; in questa tragicommedia degli equivoci nell’estrema periferia degli States troviamo una serie di campagnoli che credono tutti di aver ucciso per sbaglio una persona trovata morta. Splendide immagini della campagna autunnale e interpreti simpatici (esordio per Shirley MacLaine) non bastano a suscitare interesse per tutta la durata della pellicola. In ogni caso un film coraggioso e inaspettato per il periodo.

 

42 -L’ UOMO CHE SAPEVA TROPPO (1956) ***

Come sapete, non sono un grande fan nemmeno del film del 1934, per cui era meglio se Hitchcock, se proprio voleva ripetersi, sceglieva un altro dei suoi film del periodo. Spostando l’azione dalla Svizzera al Marocco e con un interprete di prim’ordine come Jimmy Stewart (Doris Day invece è insopportabile, per tutto il film si occupa in pratica solo di lanciare la canzone “que serà serà” canticchiandola di continuo) Hitchcock pensa di far vedere al giovane se stesso quanto è più bravo nel 1956 rispetto che ventidue anni prima, ma sinceramente non è molto convincente, e alla fine le due opere si equivalgono, anzi io apprezzo di più il primo film, che almeno dura la metà.

 

43 -IL LADRO ***** 

 Ovvero il film che dall’Hitchcock di questo periodo non ti aspetteresti mai. Ma, come per molte cose inopinate, la riuscita è semplicemente grandiosa. Se la svolta verso il realismo del regista sarà riconosciuta appieno solo dopo Psycho, è in questo misconosciuto capolavoro che essa avviene; infatti il tema dell’uomo ingiustamente accusato, un mite musicista di nome Emmanuel Balestrero (interpretato da un superlativo Henry Fonda), non è più il pretesto per scanzonati inseguimenti ma diventa un incubo che non si dissolve nemmeno nel finale; infatti il protagonista, completamente innocente, finirà dritto in carcere perché scambiato per un ladro, e subirà passivamente interrogatori e false accuse per mesi, mentre i parenti dell’accusato si rovina per pagare gli avvocati e la moglie, incapace di reggere allo stress, scivola nella follia. Alla fine il vero colpevole viene catturato, ma per la famiglia Balestrero nulla sarà più come prima.

Uno dei capolavori assoluti del maestro,essenziale e spietato, assolutamente da recuperare.

 

44- LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE / VERTIGO *****

Beh, su questa meravigliosa storia di amore e morte c’è poco o nulla da dire che non siano i soliti, abusati superlativi. Film lento, avvolgente, denso di significati e sensi reconditi, acquista spessore ogni volta che lo si rivede, fosse anche la cinquantesima. Tutto funziona al meglio; regia, fotografia, musiche di un Bernard Herrmann ancora più ispirato del solito, gli interpreti (Kim Novak non è molto amata dagli Hitchcockiani, ma per me in questo doppio ruolo è semplicemente perfetta), i piani sequenza vertiginosi, la splendida e inquietante sequenza onirica…insomma, un capolavoro assoluto, per me il capodopera del maestro.

 

45- INTRIGO INTERNAZIONALE *****

 

E’ incredibile la versatilità di Hitchcock in questa sua incredibile, feconda maturità artistica; dopo un film profondo e meditato come Vertigo, il regista ci regalò un film divertente e adrenalinico, dove tutta la tematica dell’uomo ingiustamente accusato preda e cacciatore al tempo stesso trova una sua definitiva consacrazione e maturità. Infatti questo film, spy-story ancora classica (ma James Bond stava per esplodere con fragore sugli schermi) ma soprattutto una grande avventura, doveva per forza essere l’ultimo del regista su questo filone; troppo perfetto, troppo compiuto, toppo brillante, troppo ben sceneggiato e recitato, di meglio non si poteva fare.

 

GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA; LA GRANDE SPERIMENTAZIONE, E POI IL DECLINO.

 

 E infatti, dopo un film maturo e definitivo come Intrigo internazionale e la vecchiaia che avanza (sessant’anni non sono molti, ma lo diventano vivendo come viveva Hitch), il mondo Hitchcockiano per come lo abbiamo sempre conosciuto non poteva che avviarsi sul viale del tramonto. D’altra parte, il decennio che ucciderà il grande cinema classico è ormai imminente e Hitchcock, che ancora ha molto da dire, si trasformerà in uno sperimentatore, prima con grandi risultati e poi con un repentino declino, che però non ne intatta la grandezza.
 


 

46- PSYCHO *****

Non voglio annoiarvi parlando di un film ormai talmente famoso da essere iconico, voglio solo ribadire quanto questo film , girato dal regista con un coraggio incredibile e mettendo di fatto, a sessant’anni suonati, in discussione tutta la sua carriera (le travagliate vicende personali legate al film si possono apprendere guardando il recente biopic con Anthony Hopkins, non eccelso ma comunque potabile), sia da considerarsi un vero e proprio film rivoluzionario, che ha cambiato il cinema per sempre; via i divi, via la grande bellezza delle immagini, ecco gli anni sessanta, ecco donne normali che lavorano e hanno amanti clandestini, ecco l’america provinciale e lievemente malinconica, ecco poveri malati di mente tra il pauroso e il patetico. Proprio Hitchcock, l’emblema del cinema classico sfarzoso e disimpegnato, gettò le basi del thriller moderno mandando definitivamente in pensione il mondo poetico da lui stesso creato. Dopo Psycho il cinema non è più stato lo stesso, punto e basta.

 

47- GLI UCCELLI ****

 

Come si è detto, dopo Psycho il regista era a un punto di non ritorno. Indietro non si può tornare, e allora si prosegue sulla strada della sperimentazione e del realismo; e questo film, che pure parte da una premessa puramente fantascientifica (da un bellissimo racconto di Daphne du Maurier a sua volta mutuato dal capolavoro di Arthur Machen “the  terror” ) diventa un ennesimo film di propaganda; in fondo gli uccelli che decidono di comune accordo di distruggere l’umanità intera potevano essere, in quegli anni drammatici, i Cubani coi loro ipotetici missili, i Russi o i Cinesi.

Devastante dal punto di vista visivo, peccato che il film abbia qualche momento di stanca e pecche vistose a livello interpretativo; il protagonista Rod Taylor è un piacione inguardabile, la Hedren è del tutto inverosimile nel suo essere spensieratamente chic e snob per tutta la prima parte della pellicola; i tempi delle Grace Kelly erano definitivamente tramontati, strano che il regista abbia voluto riproporre un personaggio di quel genere,una donna più simile a Janet Leigh in Psycho sarebbe stata secondo me un personaggio più azzeccato.

 

48- MARNIE ***

Un altro Hitchcock “malato”, un potenziale capolavoro deturpato da una sceneggiatura talvolta lenta e ridondante e da interpreti poco in sintonia (La mediocre Tippi Hedren e un acerbo Sean Connery  formano forse  la peggior coppia Hitchcockiana di sempre); peccato perché la storia di una schizofrenia generata da un terribile trauma infantile sarebbe anche stata interessante, ma a ben vedere era meglio se il regista chiudeva in bellezza dopo aver girato “The birds”, evitandoci i suoi ultimi lavori.

 

49- IL SIPARIO STRAPPATO **

 

Film di spionaggio al tempo della guerra fredda, una storia confusa e complicata senza un filo dell’umorismo che finora aveva alleggerito tutti i suoi precedenti film incentrati sull’attualità; Paul Newman con Hitch non si trovava nemmeno un poco, e tutto il film ne risente; qualche buona sequenza (su tutte l’uccisione di Gromeck) rimane, ma se ne può decisamente fare a meno.

 

50- TOPAZ *

Per rispetto al regista e alla sua opera mi rifiuto di commentare questo indigeribile polpettone spionistico, non voglio mancare di rispetto. Paragonabile in bruttezza e goffaggine al “Passeggero per Francoforte” della Christie, tra l’altro dello stesso periodo; ma cosa fu che fece cimentare due grandissimi con le Spy stories nuova maniera? Non era il loro terreno, incomprensibile anche solo il fatto che ci abbiano provato.

 

51 -FRENZY  ?

Il punto interrogativo che vedete non è un errore; non so proprio come valutare questo film, mi spiace. Se da una parte dovrei essere entusiasta per uno smagliante ritorno di forma del regista nella gestione della suspense e delle atmosfere, da un’altra trovo il film un totale disastro sia a livello interpretativo (mai visti attori così cani in un film Hitchcockiano) per l’ostentazione di seni e fondoschiena al vento prima impensabili nei film del maestro e soprattutto per lo sgradevole umorismo sboccato di alcuni dialoghi, che fanno rabbrividire se si pensa a quelli brillantissimi e in punta di penna de “La signora scompare” e “Il club dei 39” ; il cinema e il mondo cambiano in 35 anni, ma Hitchcock avrebbe fatto bene a rimanere fedele a se stesso fino alla fine.

Ingiudicabile.

 

52- COMPLOTTO DI FAMIGLIA **

Sinceramente non ho molta voglia di parlare di questo onesto filmetto senza pretese, con interpreti che ai tempi d’oro non avrebbero fatto nemmeno le comparse e un disgustoso decor anni settanta che sovrasta il tutto. Unica cosa da ricordare è l’ultima toccante inquadratura con una delle protagoniste che strizza l’occhio al pubblico, quasi un saluto del maestro a tutti coloro che lo hanno seguito e amato.

 

Bene, spero che vi siate divertiti leggendo questi miei sproloqui, come ripeto da non prendere alla lettera. E se anche solo uno di voi grazie a me scoprisse le perle (soprattutto quelle nascoste) nello scrigno di questo meraviglioso maestro del cinema, sarò veramente un uomo felice.