venerdì 25 aprile 2014

LA DAMA DI COMPAGNIA, DI MARIE BELLOC LOWNDES.


Dopo "Il pensionante", anelavo fortemente di leggere un altro romanzo della Lowndes, ma l’unico altro titolo che sapevo essere stato tradotto in italiano era nientemeno che la palmina numero 8 del 1930, mai ristampata e quindi un libro molto raro da reperire; mi ero quasi rassegnato ad attendere la classica botta di fortuna che può arrivare domani o mai, quando scopro che una piccola biblioteca di Firenze, la biblioteca del Palagio nell’incantevole piazzetta di parte Guelfa (nei pressi di piazza della Signoria) ha nel suo catalogo PRATICAMENTE TUTTA LA COLLANA DEI LIBRI GIALLI, anche i più rari e introvabili. Sono il sogno di ogni giallofilo, e questo sogno è a pochi chilometri da casa mia. Purtroppo il prestito non è ammesso, si possono solo leggere in sede, ma che importa? Ora so dove passare il mio tempo libero,e se vi interessa e siete della zona ora lo sapete anche voi. Vantaggi di vivere a Firenze.

E quando mi sono chiesto con quale delle palmine più rare cominciare la lettura, ecco che la semisconosciuta Marie Belloc Lowndes si è imposta su tutti gli altri autori più blasonati, come se un sesto senso mi indirizzasse al suo libro. E, credetemi, il mio sesto senso ha avuto molta, molta ragione.

Ora, io vorrei proprio essere uno di quelli che decide le ristampe nei classici del giallo Mondadori. Certo, durerei poco, perché non farei altro che ristampare Palmine d'antan (finendo per stufare i lettori affezionati ad autori più contemporanei) , con quelle traduzioni accurate e modernissime che basterebbe solo rinfrescare, e soprattutto quei titoli veramente validi, che sinceramente non mi paiono nemmeno datati; certo, se per datato si intende vecchio, allora tutto si data prima o poi, ma se per datato si intende superato, spiacente (anzi no) di dire che questo romanzo della Lowndes scritto negli anni venti dà bellamente le paghe a tanti thrillers odierni.

Perché sinceramente da tempo non mi capitava di leggere un dramma d’anime tanto lucido ed efficace, e un tale ritratto al vetriolo della ricca borghesia Inglese degli anni venti. Sarà che quell’epoca ha su di me un fascino irresistibile, sarà che l’autrice abbonda in particolari e sfumature tale da restituircela con grande vigore, fatto sta che sono irrimediabilmente innamorato di questo libro, e vorrei tanto ma tanto poterlo ritrovare nelle librerie o nelle edicole.
 
Copertina di Abbey
 

Tanto per la tematica spinosa che per il ricorso alla inverted story, questo romanzo mi ha richiamato alla mente il celebre "L'omicidio è un affare serio" di Frances Iles alias Anthony Berkeley; come vedremo, i punti in comune tra i due libri sono parecchi.

Il romanzo inizia con un prologo ambientato in un’aula di tribunale, dove si discute il caso dell’omicidio di un ricco e meschino borghese di nome ( purtroppo devo usare i nomi Italianizzati, unico difetto della leggendaria collana Mondadoriana) Battista Raydon, avvelenato con l’arsenico e del cui omicidio è sospettata la bellissima, frivola e sensuale moglie Eva, già vedova di guerra al suo secondo matrimonio, una farfallina spensierata e inconsapevole dei problemi che crea la sua condotta, una cicala (Toscani, niente battutine scontate) tra le formiche, un personaggio che si dovrebbe odiare e al quale invece ci si affeziona quasi.

Battista ed Eva vivono in una incantevole casa nella campagna vicino a Londra, una bucolica magione denominata “Il mulino”,  voluta soprattutto dalla donna. La casa è mandata avanti con efficienza da Adele Strain, anch’essa vedova di guerra con figlio a carico, governante e dama di compagnia, personaggio chiave del libro; amica di vecchia data di Eva, le due vivevano insieme ai tempi della guerra, e Adele, ancor giovane ma precocemente sfiorita e priva di bellezza, accorta e pratica quanto Eva è distratta e scapestrata, riesce a far quadrare il bilancio nonostante le dispendiose abitudini di Eva, che si contrappongono tra l’altro alla natura avida e gretta di Battista, che si rifiuta perfino di concedere all'amatissimo figlio di Adele di andare a trovare la madre al Mulino per non dovergli dare da mangiare.

Il conflitto tra la dispendiosa moglie e il controllato marito giunge al culmine quando alcuni creditori si presentano a Battista reclamando debiti per quasi tremila sterline, cifra enorme per l’epoca; Battista obbliga la moglie a intaccare pesantemente la sua rendita di vedova di guerra per pagare i debiti, ma proprio in quei giorni l’elegante e piacente Giacomo Mintlaw , fiamma di Eva ai tempi della guerra, ritorna ricchissimo dal Canada (dove ha fatto fortuna con la corsa all'oro) e subito ricontatta la giovane donna, che ai vecchi tempi si limitava a flirtare con lui (e forse a concedersi di tanto in tanto, penso..) senza pensare a far le cose seriamente, mentre per Giacomo lei era ed è rimasta l’amore della vita;  rivedendolo di nascosto al marito la donna, intimamente lusingata da queste attenzioni, seppur sposata ricomincia con nonchalance quello snervante gioco d'amore. Giacomo, manovrato come un burattino, non esita a pagare i debiti di Eva evidantole ogni altro gravoso fastidio, ma Battista, che ovviamente non sa dell'esistenza di Giacomo, pensa che le finanze della coppia siano ormai gravemente intaccate, e impone alla moglie alcune restrizioni tra cui quella di licenziare Adele, cosa che la donna, in fondo stufa dell'amica che con la sua praticità le impone limitazioni e doveri per lei seccanti, accetta di fare a malincuore ma senza troppi patemi. Ma Adele, alla prospettiva di ritrovarsi povera, senza un lavoro e con un figlio ancora piccolo da mantenere (nel terribile capitolo in cui un impiegato dell'agenzia di collocamento le spiega garbatamente che di donne brutte nessuno sa che farsene si capisce quanto in fondo le cose siano sempre andate nello stesso desolante modo) decide di rubare dell'arsenico e avvelenare il cocktail serale  di Battista, sia per rimanere al Mulino (sa benissimo che Eva, incapace di cavarsela da sola, la farebbe restare) che per favorire un successivo matrimonio di Eva col dolce e simpatico Giacomo. Quando Battista, che soffriva da tempo di ulcera allo stomaco, muore tra atroci tormenti (spietatamente esposti dall'autrice), l'anziano dottore del villaggio non sospetta minimamente che la morte sia dovuta ad altro che a una perforazione ulcerosa; ma la madre di Battista, che da sempre odia Eva, quando tutto sembra ormai archiviato convince le autorità a effettuare un'autopsia, la tremenda verità viene scoperta e, dopo che il suo ambiguo rapporto con Giacomo viene alla luce, Eva viene accusata del delitto e arrestata.

Quindi, a questo punto, si innesca il meccanismo del suspense; cosa farà Adele? lascera condannare l'amica o espierà la sua colpa? e poi Eva, col suo appeal e la sua aria da bambina distratta, potrà comunque convincere i giurati della sua effettiva innocenza? E, proprio come nell' "Omicidio è un affare serio", ci troviamo divisi tra la voglia di giustizia e la pietà per il colpevole; Adele è forse una persona migliore di Eva e una vittima di quella società che lei ha sempre onorato come un comportamento fino a quel momento irreprensibile, ma al tempo stesso ci fa orrore che Eva, seppur con le sue mancanze, venga impiccata per qualcosa che non ha commesso. Battista Raydon, come l'odiosa moglie del dottor Bickleigh, merita forse un severo castigo per la sua grettezza, ma non certo una morte lenta e dolorosa come l'avvelenamento da Arsenico.

Nello splendido finale poi l'incubo si dissolverà, ma a caro prezzo per tutti. Non voglio spoilerare più di quanto abbia già fatto perchè questo libro, magari cercandolo nelle biblioteche (non ci sarà solo a Firenze) merita assolutamente di essere letto, vissuto e amato, perchè oltre a essere una inverted story e un procedural di prima categoria è perfetto unuando Batti oltre esempio di “melodramma contenuto” di stile Anglosassone, nel senso che seppur i personaggi amino, odino e spasimino lo fanno senza andare sopra le righe, e l’autrice riesce a trasmetterci emozioni sconvolgenti senza nemmeno una scena madre, il tutto con grandissima eleganza, proprio come nel "Pensionante" aveva saputo appassionarci all'apparentemente deprimente esistenza quotidiana di due vecchi senza un soldo. Non so se due indizi facciano la prova che la Lowndes era un’autrice di prima grandezza, ma certamente questi romanzi disponibili nel nostro paese sono due capolavori di stile, di gusto e di tensione emotiva. E questo, lo dico  con grande convinzione, sarebbe un romanzo pressochè perfetto per essere riproposto dalla Polillo nei suoi bassotti. Ma visto che la traduzione in Italiano esiste ed è bellissima (come tutte quelle di Giuseppina Taddei), la Mondadori non potrebbe estrarre dal suo caveau questo lingotto d’oro? Editor, se mai leggeste queste righe, un pensierino fatecelo, perché non è giusto che grandi romanzi come questo siano destinati a rimanere una rarità.

martedì 22 aprile 2014

IL GIUSTIZIERE, DI EDGAR WALLACE

Come si sa, Wallace ha scritto molto, moltissimo, troppo per credere che tutti i suoi scritti siano grandi romanzi. Ce ne sono parecchi che in effetti, e ve lo dice un cultore del’autore, non lo sono; non perché siano brutti, ma sono piuttosto ripetitivi, storie che lo stesso autore aveva già scritto e si limitava a rielaborare cambiando nomi e location.
Certo, non li si potrà mai accusare di essere libri  insipidi e melensi, anzi l’accusa più comune mossa a Wallace è di essere ridondante e pasticciato, di esagerare con gli ingredienti, e in molte occasioni l’accusa è fondata. Però esistono anche quella ventina-trentina di romanzi Wallaciani che sono dei capolavori, o comunque dei grandi esempi di poliziesco. Purtroppo bisogna un pò cercarseli, non esiste in Italia un saggio o una bibiliografia tanto accurata da commentare romanzo per romanzo l’opera dell’autore; in un futuro spero non troppo remoto potreste trovarla su questo blog, ma la materia da elaborare è tale che la fatica è davvero titanica.
Comunque, dicevo che se uno ha fortuna e becca il titolo di Wallace giusto per le sue corde, finisce che si diverte da matti. Io finora ne ho trovati parecchi, tra questi “Il mago”, “Il mistero delle tre querce”, “Il cerchio rosso”, “La regina dei ladri” e il suo clone “L’inafferrabile”, poi “L’uomo dai due corpi”, “L’isola d’Eva”,”L’arciere fantasma”,  “La valle degli spiriti”, “Il laccio rosso”… e mi fermo per non annoiare ulteriormente. Fatto sta che a questa lista, seppur incompleta, si è da poco aggiunto anche un altro titolo, “Il giustiziere” (The avengers) romanzo del 1926 di assoluta eccellenza.
Dunque, questo romanzo encomiabile lo è per molti motivi. Innanzitutto precisiamo che non è tanto un giallo classico quanto un thriller ad altissima tensione; c’è un misterioso cacciatore di teste che decapita poveri disgraziati apparentemente senza alcun legame tra di loro,e c’è un cazzuto agente segreto, giovane e aitante, che gli da la caccia. Questa l’idea di base, nemmeno troppo originale già all’epoca, ma in questa ricetta già nota lo chef Wallace imbastisce una guarnizione e un contorno estremamente originali, che rendono il tutto una totale meraviglia.
Originale è innanzitutto la location, ossia per una volta tanto non Londra ma la cittadina di Chichester, dove all’epoca (voi lo sapevate? Io no) si giravano i film Inglesi. Ecco, ma in fondo, che film si facevano in Inghilterra all’epoca del muto? Un cinefilo come me in parte la risposta la sa; si facevano soprattutto insipidi melodrammoni o commedie di derivazione teatrale, pesantissimi e con millemila didascalie, film quasi tutti andati perduti perché talmente mediocri da non valere nemmeno la pena di recuperarli.
Il primo affermato regista Inglese fu Graham Cutts, che però ben presto venne soppiantato da un venticinquenne pieno di entusiasmo e inventiva, un grassoccio e gioviale ragazzone che rispondeva al nome di Alfred Hitchcock. All’epoca dell’uscita del romanzo, il futuro maestro aveva girato solo due film abbastanza dimenticabili, il terribile drammone esotico “The pleasure garden” e il perduto ( si dice per fortuna) “The mountain eagle”, altro melò ambientato tra i montanari del Kentucky.
Ma nemmeno le biografie Hitchcockiane danno grandi notizie sul mondo della cinematografia Inglese di quell’epoca, che spiccò il volo solo col sonoro Grazie prima a Hitch e poi a Powell e Pressburger e David Lean. Quello del cinema muto anglosassone rimane in fin dei conti una realtà poco conosciuta (si, lo so che si può vivere bene anche senza saperne niente) anche agli addetti ai lavori, ma grazie a questo romanzo di Wallace si viene a sapere un mucchio di dati e notizie assai interessanti, e il tutto finisce per diventare una importante testimonianza in presa diretta su quel mondo oscuro. Si viene ad esempio a sapere come tutti coloro che avevano un minimo di successo in patria appena potevano se ne andavano a Hollywood, che le star femminili in fin dei conti erano tutte mogli o amanti dei produttori, che quasi nessun Inglese sapeva fare il regista e questi li chiamavano dagli States, che girava un sottobosco di maneggioni che  grazie ai set si arricchivano non sempre legalmente…insomma, tutto come adesso già da allora.
Ma ovviamente, in tutto questo marciume, il fiore puro non manca, perché senza un’eroina totalmente buona che romanzo di Wallace sarebbe? E infatti la dolce Luisa Leamington riesce a fare carriera solo grazie ai suoi modi soavi e al suo visino dolce che commuove un regista burbero ma che giammai prova a metterle le mani addosso, e la fa recitare come protagonista in un film girato proprio nei luoghi dove agisce il cacciatore di teste. Ovviamente l’agente in incognito, di nome George Brixan, indagherà all’interno del set, e altrettanto ovviamente l’incontro con la bellissima Luisa sarà fatale.
Però Wallace, non pago di una location originale e di una intrigante love story, ci mette anche un tocco, anzi qualcosa più di un tocco, di esotismo; infatti una parte delle scene del film vengono girate nella tenuta del misterioso Sir Gregory Penne, eccentrico  signorotto dal torbido passato che passa gran parte della sua esistenza nel Borneo, e da esso ha portato in Inghilterra uno stuolo di servitori asiatici e perfino un Orang- outang di nome Bhag, intelligentissimo (anche troppo, direi…) e totalmente al servizio del suo losco padrone, nel bene e nel male. Credo che l’orango (animale feticcio per il poliziesco, a partire da un certo racconto di Poe…) pur essendo un animale sia uno dei personaggi più vivi e “umani” creati dall’autore, un elemento di statura morale non comune, per metà terrificante e per metà commovente, attorno al quale girano molte delle scene madri del libro.
A tutto questo aggiungiamoci anche un colpevole abbastanza sorprendente (mentre spesso in Wallace si può smascherare piuttosto agevolmente) e un finalone veramente di grande effetto e si ottiene un romanzo esplosivo; io l’ho letto nella sua prima edizione Italiana, la palmina numero 16 ottimamente tradotta da Giuseppina Taddei, dove sopra alla splendida copertina di Abbey (eccovela)

si legge “Un libro che non vi lascerà dormire” ; io ci ho fatto quasi le due di notte, quindi confermo.

giovedì 17 aprile 2014

LA MIA PERSONALE TOP- TEN GIALLISTICA.


 
 
Per festeggiare il primo compleanno di questo blog, cedo alla tentazione di molti blogger e specialisti, ossia quella di fare una top ten dei miei gialli preferiti(ovviamente tra quelli che ho letto finora, chissà quanti bellissimi polizieschi ancora mi sto perdendo) ; so che vivevate anche senza, oppure che non siate minimamente d’accordo con questa lista, ma in ogni caso eccola qua. Mi sono imposto una sola regola; non più di un libro per autore, è giusto che tutti i grandi siano citati, e anche così tanti sono rimasti purtroppo fuori.

Si inizia con;

 

10-IL MISTERO DI UNA VETTURA PUBBLICA, DI FERGUS HUME (The mystery of a hansom cab, Australia 1886)
 
 

 Fergus Hume è uno dei miei innamoramenti giallistici più recenti; letto distrattamente da ragazzino nei GEN, riprendendolo da adulto ho percepito quell’amabile derivazione feuilletonistica che fa di Hume uno degli autori del mistero più gustosi di sempre; se da ragazzino trovavo questo aspetto assai melenso, ora che sono invecchiato e alle storie di pirati e di esploratori nella giungla ho sostituito i gialli nella quieta campagna Inglese (non che di tanto in tanto non abbia voglia di clangori di spade, specialmente in estate..) lo trovo pienamente nelle mie corde.

Purtroppo da noi Hume è arrivato poco e male, forse perché non era un giallista ma un autore sensational tra Wilkie Collins e la Braddon; si può dire che questo “The Mystery of a Hansom Cab” sia il solo libro giunto a noi in edizione integrale, e solo negli anni novanta grazie agli acquerelli della Giunti; in ogni caso, anche nei paesi Anglosassoni questo giallo ambientato a Melbourne (ma Hume era Neozelandese) è il più noto dell’autore, che all’epoca superò nelle vendite anche i romanzi con Sherlock Holmes; e davvero questo splendido giallo a tinte fosche che si svolge in una Londra rovesciata dove per Natale fa quaranta gradi all’ombra avvince, diverte ed emoziona. Un romanzo perfetto per rappresentare il proto-giallo vittoriano, che merita di essere tramandato generazione dopo generazione.

 
9- MISS PYM, DI JOSEPHINE TEY (Miss Pym disposes, Inghilterra 1946)

 



La Tey ha scritto solo otto romanzi polizieschi, ma bastano e avanzano per mettere in crisi colui che deve sceglierne il migliore. Mai mi sono trovato così in difficoltà, e così, come per altri casi in questa classifica, ho optato per un romanzo più classicamente giallo; quindi via a malincuore Il ritorno dell’erede che è un thriller, via La figlia del tempo che è una ricostruzione storica, via Sabbie che cantano e Un’accusa imbarazzante che sono soprattutto romanzi di costume, via i belli ma non eccezionali L’uomo in coda ed E’ caduta una stella, ne rimangono solamente due, La strana scomparsa di Leslie e Miss Pym; e se era facile, grazie all’accattivante intreccio e alla sorpresona finale, preferire il primo, ho inveceoptato convinto per il meno accessibile dei due, ovvero quel Miss Pym che forse sarà piaciuto solo a me, ma che reputo il suo capolavoro assoluto. E perché? Semplice, perché è il romanzo della Tey più tipicamente alla Agatha Christie, sia nello svolgimento che nel beffardo finale, con un colpo da maestra che ribalta le nostre comunque non saldissime convinzioni su come siano andate le cose.

 

8 -  COME IN UNO SPECCHIO, DI HELEN McCLOY (Through a glass darkly, USA 1950)
 



 
Ci sono gialli classici, e ci sono romanzi di suspense che però non rinunciano a una robusta dose di Whodunit; perché se l’incredibile vicenda di Faustina Crayle e del suo segreto sconvolgente sta a metà tra il noir e l’horror, l’autrice inserisce una robustissima trama gialla che riesce a rendere credibile l’incredibile con una perizia  degna di  Carr e Chesterton.  Un romanzo talmente bello e perfetto che doveva per forza rimanere un exploit isolato nella carriera altalenante dell’autrice, ma che da solo vale un’intera letteratura. Da non iniziare di notte, per non rischiare di passarla insonni per la troppa smania di sapere come andrà a finire, metti il caso che il giorno dopo vi dobbiate svegliare presto…

 

7- LA CASA DELLA FRECCIA, DI A.E.W. MASON (The house of the arrow, Inghilterra 1924)
 
 

 Mason fu un autore estremamente poliedrico, che spaziò dall’avventura al feuilleton fino al poliziesco con estrema disinvoltura; anche se il suo libro giallo più celebrato è il pur bellissimo “Delitto a Villa Rose”, il grande colpo di scena che rese leggendario questo romanzo ormai è decisamente inflazionato e prevedibile; molto meglio tuffarsi in “The house of the arrow”,  meraviglioso romanzo d’atmosfera d’ambientazione Francese, ovvero la città di Digione, vera protagonista aggiunta del romanzo. E poi il contrasto tra le due protagoniste, la biondina angelica e indifesa e la bruna dagli occhi foschi e dal passato misterioso, un intreccio complesso splendidamente risolto, la tonitruante e gigionesca figura di Hanaud ne fanno un romanzo davvero unico e indimenticabile. Da leggere, mi raccomando, nella traduzione della Griffini, nel classico del giallo numero 457.

 
6- IL SEGNO DEI QUATTRO, DI ARTHUR CONAN DOYLE (The sign of four, Inghilterra 1890)



 Lo ammetto, ero uno strenuo e quasi fanatico difensore di Conan Doyle, ma rileggendo la sua opera in tempi recenti mi sono accorto che, pur trovandola sempre di un’amabilità unica, mostra davvero i segni del tempo, e non posso non ammettere che sia stata superata. Restano i ricordi meravigliosi di ore indescrivibilmente beate di lunghe domeniche d’inverno sprofondato nel letto a leggere i volumi Newton con tutto il canone di Sherlock Holmes, ricordi tra i più belli degli anni spensierati (lo so, non ho avuto una vita densa di eventi) e non potevo davvero esimermi dall’includere un Conan Doyle nella mia personalissima top ten.

Dei quattro romanzi con Holmes, ho scelto il più divertente, il più fantasioso e avvincente, quello che mi ha fatto più sognare; credo che nessuno che lo legga nel giusto spirito possa non rimanere rapito dalla bella avventura mozzafiato e profumata d’oriente in una Londra notturna e misteriosa veramente oltre ogni elogio. E poi, che bella la love story tra Watson e Mary Morstan…

 

5- IL CERCHIO ROSSO, DI EDGAR WALLACE (The crimson circle, Inghilterra 1925)
 
 

 Scegliere un solo titolo tra i tantissimi disponibili nella sterminata bibliografia Wallaciana è impresa meno ardua di quello che sembra; innanzitutto si tolgono i romanzi troppo simili e stereotipati ( quindi via metà dei titoli) poi si tolgono quelli solo simpatici e carini e di capolavori non ne restano moltissimi, ma questi pochi oh, come sono belli; Il mago, Il mistero delle tre querce, L’arciere fantasma, La regina dei ladri, Il pugnale di vetro… ce ne sono eccome. Ma nessuno è bello e perfetto come “The crimson circle”, giallo-thriller serrato e avvincentissimo che non lascia davvero un attimo di respiro, ascesa e caduta di un genio del male che da solo, grazie alla potente e misteriosa confraternita criminale da lui creata, riesce a tenere sotto scacco tutta Scotland Yard; ci vorrà un giovane ardimentoso e innamorato e una ragazza “perduta” per infliggere scacco matto a questo Shakesperiano genio del male. Un libro che non si dimentica, una vera pietra miliare, non a caso romanzo preferito, tra tantissimi, del suo stesso autore.

 

4- LA FINE DEI GREENE, DI S.S VAN DINE (The Greene murder case, USA 1928)
 
 

 Ricordo ancora la prima volta che lo lessi; fu il mio primo romanzo poliziesco che non fosse della Christie, Conan Doyle o Wallace, e mi folgorò senza riserve, anche nell’antiquata traduzione di Enrico Piceni, inclusa nel mitico Omnibus rosso con le prime avventure di Philo Vance, preso in Biblioteca un caldo giorno di tante estati fa. Tra i cinque romanzi presenti nel volumone, iniziai non so perché proprio con The  Greene murder case, e non me ne sono mai pentito.

Forse è il romanzo con l’atmosfera più cupa e opprimente di tutta la storia del poliziesco, atmosfera ottenuta coi minimi mezzi, giocando non sugli effetti da sensational novel ma sulle psicologie dei personaggi; ambientato quasi tutto in una vecchia casa di New York, la battaglia serrata e a suo modo epica tra Vance e un diabolico assassino che sta sterminando i bizzarri membri di una strana e tarata  (oggi diremmo disfunzionale) famiglia patrizia  Americana è un qualcosa di unico nella storia del poliziesco. Un romanzo adulto, erudito, profondo, con un colpevole difficilissimo da individuare, ancor più che un mero romanzo poliziesco un vero capolavoro della letteratura Statunitense del novecento.

 

3- L’AUTOMA, DI JOHN DICKSON CARR (The crooked hinge, Usa/Inghilterra 1938)
 
 

 Ora, Carr è un grandissimo, di cui ancora non ho letto tutto ma che comunque riesce a stupirmi ed emozionarmi come forse nessun altro. Anche se continuo a preferirgli la Christie per una genialità raggiunta con mezzi meno roboanti e più credibili, Carr è l’autore più funambolico e spericolato di sempre (e qualche volta ha forse preteso troppo da se stesso) e tanti suoi romanzi mi hanno letteralmente annientato oltre a divertirmi con le loro ambientazioni favolose (Cupi castelli, musei delle cere, torri diroccate, il Bayou di New Orleans..). In ogni caso, quando si è trattato di scegliere il suo capodopera, non ho avuto alcun dubbio e ho puntato su “The crooked hinge”. Certo, anche Il terrore che mormora, La corte delle streghe, Il mostro del plenilunio e Le tre bare sono dei capolavori, ma nessuno mi ha coinvolto ed emozionato come L’automa, che riuscì a farmi dimenticare che era ora di cena, cosa assai difficile come sa  chi mi conosce bene.

Perché qui, oltre ad avere un intreccio di rara potenza emotiva, abbiamo anche una grande capacità di dosare i molti ingredienti; L’automa è da questo punto di vista un capolavoro dell’arte del narrare una storia gialla, con continue aggiunte e cambi di registro che arricchiscono il testo senza ridondare. Fin dal leggendario inizio con due uomini che asseriscono di essere la stessa persona, poi con gli echi della tragedia del Titanic, la magia nera, la rievocazione dei meravigliosi automi settecenteschi come quello di Von Kempelen, un mistero sempre più coinvolgente che sfocia in un finalone da antologia…insomma, un vero monumento all’ingegno, la perfetta manifestazione del genio Carriano.

 

2-  LA PAROLA ALLA DIFESA, DI AGATHA CHRISTIE (Sad Cypress, Inghilterra 1940)
 
 

 Ad ascoltare il cuore, dovevo rappresentare la Christie con Dieci piccoli Indiani; in fondo è forse il suo romanzo più sensazionale, quello a cui sono più legato affettivamente, quello più noto in assoluto; ma poi ho riflettuto e non l’ho incluso perché in fin dei conti non è un giallo classico, anzi è uno dei pochi libri atipici dell’autrice; infatti, pur nella grande sorpresa finale, il romanzo è ascriviible al Thriller, al suspense, non certo al poliziesco classico; non c’è un detective, non ci sono indagini se non sommarie, e soprattutto l’incubo non si dissolve nel finale, e la verità la si viene a sapere per puro caso. No, in fin dei conti questo romanzo non può rappresentare al meglio la divina. E allora, quale scegliere? Poirot a Styles Court? Bellissimo, ma ancora acerbo. L’assassinio di Roger Ackroyd? No, si regge troppo sulla sorpresa finale. Orient Express? Macchè, atipico anche questo. No, ho voluto optare per un’opera che rappresentasse il Christie- Style al centouno per cento, il suo giallo perfetto, e tra tutti credo che “La parola alla difesa” sia il libro che meglio racchiuda tutte le peculiarità dell’autrice, tutti quei fattori ce l’hanno resa grande e superiore a tutti gli altri che si sono cimentati nello stesso genere.

Innanzitutto è una storia superbamente narrata (Ma, attenzione, va assolutamente letta nella traduzione integrale di Grazia Griffini ristampata nell’ultima edizione degli oscar con le rose in copertina!!) con una prima parte in soggettiva, coi vari protagonisti che vivono, amano, odiano e agiscono in modo tale da scatenare una spirale di morte e di terrore. Poi c’è un Poirot straordinario, libero da quell’Hastings che, pur essendo divertente, lo rende troppo macchietta, mentre se è da solo Poirot in qualche modo limita i suoi atteggiamenti eccentrici e diventa assai più credibile. Poi la perfetta ambientazione tra campagna  bucolica e aule di tribunale, la scoperta del colpevole, il complesso movente, la straordinaria competenza dell’autrice sui veleni e sulla botanica; tutto reso al meglio. Insomma, oltre che un capolavoro, questo è per me il romanzo più emblematico della grande Agatha.

 

1-     LA PIETRA DI LUNA, DI WILKIE COLLINS (The Moonstone, Inghilterra 1868)
 
 

 Perché, quale altro romanzo poteva essere al primo posto, scusate? Mi viene da ridere quando leggo le classifiche, anche di grandi autori come Carr, e non lo vedo incluso; eppure non c’è gara o discussione che tenga, questo è il romanzo poliziesco più grande e imponente mai realizzato, un’opera di grande spessore letterario che per seicento e passa pagine non ha nemmeno un cedimento, e che soprattutto è un meccanismo poliziesco perfetto. C’è una domanda a cui rispondere; chi ha rubato il meraviglioso diamante chiamato “La pietra di luna” dalla magione di Lady Verinder? E da qui parte un ineguagliato e ineguagliabile intreccio in cui non manca veramente niente; indizi, false piste, passioni inconfessate, maggiordomi impettiti, dometiche impiccione, equivoci, colpevoli insospettabili, un detective di prima grandezza…lo disse Thomas Eliot che questo è e rimarrà  il più grande romanzo giallo di sempre; se non volete credere a me, credete almeno a lui….

 
Concludo la rassegna con un pensiero per gli assenti; avrei voluto tanto includere anche “La lampada di Dio” di Ellery Queen, “Lord Peter e l’altro” di Dorothy Sayers, “La scala a chiocciola” sia della Rinehart che di Ethel Lina White,” La doppia morte dell’ispettore Belot” di Aveline, “La notte ha mille occhi” di Cornell Woolrich o anche “Il mistero della camera gialla” di Gaston Leroux, straordinario ma che comincia a mostrare un poco i suoi anni. Ma d’altra parte più di dieci non ce ne stavano.

 

UN ANNO DI BLOG!!



Cari follower e amici, è il blog “Assassini e gentiluomini” che vi parla.
“Sono nato quasi per caso, per un’ispirazione del mio autore che, ormai sempre più proiettato nel mondo in fondo rassicurante di quelle fiabe per adulti che sono i gialli classici, ha deciso di aprire questo spazio virtuale in cui, senza analisi approfondite o fastidiosi spoiler, si consigliano libri (non solo gialli), si danno piccole dritte sulle collane di polizieschi uscite nel nostro paese (perché non c’è stato solo il Giallo Mondadori) e si condividono gusti, idee e scelte letterarie, con amicizia e senza intenti didattici.
Oggi compio un anno, sono in buona salute e conto di restarvi ancora per molto, almeno fino a che il mio autore non si stancherà di giocare a quello che John Dickson Carr ha definito “Il gioco più bello del mondo”, ma non vedo perché debba abbandonare un interesse così appagante.
Un caro saluto a chi mi ha visitato, mi visita e mi visiterà”

Ecco, dopo aver dato spazio a quell’impiccione vanitoso del mio blog (avrebbe fatto le bizze se non lo accontentavo, ma in fondo è il suo compleanno…)  mi riprendo la parola, ma in fin dei conti non posso fare altro che ripetere le sue parole; grazie, grazie, grazie mille a chi mi segue, spero di avervi regalato momenti di svago e qualche bella lettura, e di poter continuare a farlo nel migliore dei modi.

Dopo questo preambolo, facciamo un punto di un anno di lavoro;
Riguardando il mio percorso di Blogger giallistico posso ritenermi soddisfatto, anche se lo scegliere di parlare di libri letti e amati “sul momento” anziché pianificare un percorso ha come rovescio della medaglia il fatto che in questo intero anno non ho mai parlato nemmeno una volta di grandi autori come Ellery Queen, che non è tra i miei preferiti ma è comunque imprescindibile per ogni giallofilo, Mary Roberts Rinehart, Cornell Woolrich, Ngaio Marsh, Georgette Heyer e Mignon Eberhart. E ho, orrore, colpevolmente trascurato i Francesi, e almeno su Leblanc, Leroux, Steeman e Aveline dovrei davvero soffermarmi, perché sono veramente importanti. Queste lacune sono dovute al fatto che in questi ultimi 12 mesi non ho ripreso in mano questi autori, o se l’ho fatto non ho avuto poi tempo o voglia di parlarne sul blog; questo per capire quanto la materia che tratto sia vasta, e di come occorra molto tempo per parlare di tutti coloro che meritano una o più menzioni. Prima o poi le luci della ribalta ci saranno per tutti, basta avere pezienza. In fin dei conti, l’unico autore che abbia approfondito seriamente, coi due post cumulativi dedicatele, è stata Agatha Christie, ma su tutti gli altri ho ancora molto, molto da dire, e ci faremo compagnia ancora a lungo.
Comunque, questo è un sunto degli autori e dei temi trattati;

GIALLISTI CLASSICI;

-AGATHA CHRISTIE, con due post cumulativi sui romanzi e sui racconti che fanno storia a se.

-EDGAR ALLAN POE, post sui suoi racconti polizieschi.

WILKIE COLLINS
-La casina nera

-ARTHUR CONAN DOYLE
-Le avventure di Sherlock Holmes

-FERGUS HUME
-Il mistero di una vettura pubblica
-L’occhio di giada
-L’enigma della donna errante
-Come una morsa

JOSEPHINE TEY
-Il ritorno dell’erede
-Un’accusa imbarazzante
-Miss Pym
-L’uomo in coda

EDGAR WALLACE
-La regina dei ladri
-Il mistero delle tre querce
-L’omnibus “Delitti a Londra”, coi romanzi “Il pugnale di vetro” , “La compagnia dei ranocchi” e “Il cerchio rosso”.

GILBERT  KEITH  CHESTERTON
-Il club dei mestieri stravaganti (raccolta di racconti)
-Il candore di padre Brown (raccolta di racconti)
-il racconto “L’uomo invisibile”


-JOHN DICKSON CARR
-La sfinge dormiente
-L’ultima carta

-RICHARD AUSTIN FREEMAN
-L’impronta scarlatta
-L’occhio di osiride

ANTHONY BERKELEY / FRANCIS ILES
-L’ultima tappa
--L’omicidio è un affare serio

PATRICK QUENTIN/ JONATHA STAGGE
-Troppe lettere per Grace
-E i cani abbaiano

LEO PERUTZ
-Il maestro del giudizio universale

ALESSANDRO VARALDO
-Il sette bello

DOROTHY SAYERS
-Lord Peter e l’altro
-Il gatto dagli occhi verdi

S.S. VAN DINE
-L’ultima avventura di Philo Vance

A.E.W. MASON
-La casa della freccia

REX STOUT
-Champagne per uno

A.A. MILNE
-Il dramma di corte rossa

EDEN PHILLPOTTS
-Una voce dalle tenebre

EARL DERR BIGGERS
-Charlie Chan e la casa senza chiavi

JEFFERSON FARJEON
-La casa dei sette cadaveri

NICHOLAS BLAKE
-Misteri sotto la neve

-GRAHAM GREENE
-Brighton rock

GEORGES SIMENON
-Top ten dei miei Maigret preferiti

DAPHNE DU MAURIER
-Analisi dei suoi racconti Thriller

LOUISA MAY ALCOTT
-Dietro la maschera

HELEN McCLOY
-Come in uno specchio

JACQUES FUTRELLE
-La giarrettiera

EDWARD PHILLIPS OPPENHEIM
-Il grande impostore

MARIE BELLOC LOWNDES
-Il pensionante

MARGERY ALLINGHAM
-Il mistero di White cottage

KAY STRAHAN
-La fattoria nel deserto

-URSULA CURTISS
-Orrore

-MARGARET MILLAR
-La porta stretta

ANNE PERRY
-Il boia di Cater street


CAROLINA INVERNIZIO
-La sconosciuta

LUCIANA PEVERELLI
-Quattro racconti dal “Cerchio verde”

BARONESSA ORCZY
-Racconto “Lady Molly di Scotland Yard”

NICOLETTA CASSANI
-Ombre

-PAUL HALTER
Analisi su tre romanzi (La quarta porta, La maledizione di Barbarossa e Il demone di Dartmoor)

HERBERT ADAMS
-Una parola di otto lettere

ALTRI ROMANZI NON POLIZIESCHI

-SELMA LAGERLOF, L’anello rubato
-BRAM STOKER – La vergine del sudario
- HORACE WALPOLE, Il castello di Otranto
-ANTHONY HOPER, Il prigioniero di Zenda
-AMY LEVY, Storia di una bottega
-JESSICA MITFORD, Figlie e ribelli
-JENNIFER WORTH, Chiamate la levatrice
-DODIE SMITH, Ho un castello nel cuore

Più altri post di divulgazione non specifici.

Nel complesso sono abbastanza soddisfatto, anche se mi accorgo di aver lasciato indietro alcuni progetti ( i racconti di Sherlock Holme e Padre Brown) e di aver dedicato veramente poco spazio a Carr e Van Dine, e ciò non è assolutamente giusto. Ma vabbè, stasera vi attende una piccola sorpresa, e vedrò, almeno in parte, di riparare…state conessi, i festeggiamenti proseguono!