martedì 30 luglio 2013

“L'UOMO INVISIBILE” DI G.K. CHESTERTON; ANALISI DI UN RACCONTO-CAPOLAVORO.


C' è poco da fare; anche se quasi mai Chesterton,forse perchè scrisse solo racconti e mai romanzi, viene citato nelle classifiche dei migliori libri polizieschi mai scritti, “L'innocenza di Padre Brown”  è la più bella raccolta originale di racconti polizieschi mai uscita, un miracolo di creatività e originalità dove il giallo classico viene plasmato, teorizzato, scardinato, rigirato e battuto sul suo stesso terreno.
Ci sono racconti semplicemente leggendari,come “La croce azzurra” nel quale Padre Brown smaschera un criminale compiendo azioni del tutto prive di senso come scambiare il sale e lo zucchero nei rispettivi contenitori o rompere deliberatamente una vetrina, oppure l'incredibile “Il giardino segreto” che anticipa di trent'anni uno dei finali ad effetto per cui la Christie diventerà famosa, o ancora “Il martello di Dio” dove un uomo viene trovato col cranio letteralmente fracassato da un martelletto di dimensioni minuscole,  e ancora “Gli strani passi” , “All'insegna della spada spezzata”, “I tre ordigni di morte”...tutti capolavori assoluti.
Ma tra tutti questi gioielli, a mio avviso il  più bello e importante della raccolta è  senza dubbio “L'uomo invisibile”, un vero pilastro fondamentale per l'evoluzione del sottofilone del delitto impossibile, quello apparentemente commesso da un'entità soprannaturale. Infatti si può dire che il maestro indiscusso del genere, John Dickson Carr, venga da questo racconto, anzi  azzardo a dire che senza questa storia dai rimandi orrorifici e demoniaci non ci sarebbe stato Carr per come lo conosciamo.
Per avvalorare questa mia onerosa affermazione, una volta tanto procedo a un'analisi dettagliata del testo, tenendo presente che è un racconto che si aggira sulle venti pagine e non un romanzo.

L'inizio a dire il vero è idilliaco; siamo in una elegante pasticceria di Camden Town, luogo “che ai bambini appare come un grande arcobaleno”, e qui un giovane aitante e sfacciato di nome Angus chiama la graziosa cameriera, ordina una focaccia da un soldo e del tè ...e inoltre le chiede di sposarlo.
Da qui si capisce che il giovane è un innamorato di vecchia data,che tenacemente rinnova alla ragazza, di nome Laura, le sue proposte amorose. E intuiamo che la fanciulla è lusingata da queste attenzioni, ma non può ricambiare a causa di una bizzarra quanto incauta promessa; anni prima infatti, quando ancora era a servizio in una pensione, si era sbarazzata di due corteggiatori indesiderati, uno affetto da nanismo di nome Smythe e uno alto ma guercio di nome Welkin, dicendo loro che avrebbe sposato solo chi dei due avrebbe fatto fortuna nella vita.
Detto fatto, per le strane regole osservate dai bizzarri personaggi che popolano il mondo di Chesterton, i due partono separatamente per fare fortuna; Smythe scrive spesso a Laura informandola dei suoi progressi, mentre Welkin non si fa più vivo.
Proprio quella mattina il nano ritorna a farsi vedere in città: l'uomo ha fatto fortuna brevettando complicatissimi automi che svolgono i lavori domestici al posto delle persone in carne ed ossa;e qui, notarella a margine, Chesterton anticipa con estrema nonchalance le tematiche fantascientifiche del secolo appena nato, visto che il racconto è del 1911 e a quei tempi solo Wells, autore che con Chesterton aveva un legame profondo di amicizia ma col quale sovente polemizzava aspramente per le radicali differenze di vedute, aveva teorizzato di certe eventualità.
In ogni caso Smythe ora è un uomo ricco e rispettato forse grazie a quell'assurdo sogno d'amore impropriamente incoraggiato, e si reca dalla ragazza per rivederla e forse per ricordarle la sua promessa.
Ma proprio mentre il nano sta per fare il suo ingresso, Laura racconta ad Angus una strana storia; pochi giorni prima Laura aveva ricevuto una lettera da parte di Smythe nella quale esso annunciava che sarebbe passato a trovarla; ma proprio un istante dopo aver preso la missiva Laura aveva sentito una voce conosciuta dire “ Egli non vi avrà però” e subito dopo una risata inquietante e folle; quella di Welkin il guercio. In quel momento la ragazza era sulla porta della pasticceria e poteva vedere tutta la strada, ma lei giura che non c'era nessuno.
In quel momento , dalla sua automobile nuova fiammante, giunge Smythe. Egli però non fa nemmeno in tempo a salutare la ragazza che si avvede di un cartoncino attaccato alla vetrina della pasticceria; in esso c'è scritto “se sposate Smythe, egli morirà”. Angus, che giura che fino a un attimo prima sulla vetrina non c'era nulla e nessuno è passato di li, senza tergiversare oltre si offre di accompagnare il nano da un investigatore privato noto col nome di Flambeau, ossia l'amico di Padre Brown, un ex- ladro gentiluomo che proprio il minuscolo prete ha convertito al bene.
Smythe e Angus escono dalla pasticceria, e si avviano alla casa del nano  per recuperare altre lettere minatorie che l'ometto ha ricevuto nel suo appartamento, che si trova nello stesso quartiere dell'ufficio di Flambeau, per poi mostrarle a quest'ultimo.
Giunti alla casa, i due vengono accolti dagli inquietanti automi senza testa progettati dal nano, ossia “il maggiordomo che non si ubriaca” e “La cuoca che non è bisbetica”. Dentro questo appartamento vagamente sinistro (ricorda quello di J. F. Sebastian nel film Blade Runner)  viene trovato un altro biglietto con su scritto “sei stato da lei, ora morirai”. Angus, senza perdere altro tempo, dice a Smythe di chiudersi in casa (che a una perquisizione accurata risulta essere vuota) mentre va a chiamare Flambeau, che ha il suo ufficio a pochi isolati di distanza. Il giovane esce e dice a un caldarrostaio e a un poliziotto di ronda di sorvegliare costantemente l'unico accesso alla casa di Smythe, fermando chiunque cerchi di penetrarvi. Poi corre da Flambeau e vi trova il gigantesco ex ladro e,per una coincidenza,anche Padre Brown, in visita dall'amico.
Angus racconta loro tutta la storia e senza indugio si recano alla casa del nano; in quel momento, fatto importante, comincia a nevicare forte. Giungono alla casa, e il poliziotto e il caldarrostaio affermano che nessuno  si è avvicinato alla casa e che è tutto a posto, e anche il portinaio dello stabile conferma la cosa; ciononostante quando entrano il nano è scomparso e ci sono tracce di sangue sul pavimento e sugli stessi automi, tanto che l'autore, con un colpo di genio magistrale, suggerisce che gli stessi automi abbiano fatto a pezzi e mangiato il loro creatore; qui siamo in pieno racconto dell'orrore, nelle atmosfere in cui Carr fu poi maestro.
Ma ovviamente gli automi non c'entrano niente. Viene cercato un corpo che non si trova, e i due testimoni insistono sul fatto che nessuno si sia avvicinato alla casa; però, quando si recano al'esterno, Padre Brown fa loro notare una serie nitida e distinta di pesanti impronte sulla neve; Quindi è ormai chiaro che qualcuno è entrato nello stabile, è salito nell'appartamento di Smythe, lo ha ucciso e ha portato via il corpo; ma i tre testimoni continuano a giurare e spergiurare che nessuno si è visto. Dunque il misfatto è stato forse compiuto da un uomo invisibile, come del romanzo dell'amico-rivale Wells?

E qui, mentre nessuno si raccapezza, fa il suo ingresso in scena il deus-ex-machina padre Brown, che propone una soluzione assolutamente esatta e logica dell'enigma...

( OCCHIO ,SPOILER SUL FINALE, LEGGETE SOLO SE RITENETE OPPORTUNO FARLO)

La domanda che si pone il geniale prete- detective infatti è; chi può essere considerato un uomo invisibile nella Londra brulicante di gente del tempo? Come ci si può mimetizzare nel tessuto sociale fino a dare la propria presenza tanto per scontata da far sì che nessuno vi faccia caso? Come si può consegnare biglietti minatori e d entrare e uscire da uno stabile senza essere visti?
Bene, semplicemente indossando una comunissima divisa da portalettere. Il guercio Welkin infatti non è altro che  un postino, abituato a entrare e uscire dagli androni dei palazzi e dai negozi senza essere considerato da nessuno. Per quello sia la ragazza che il poliziotto che il caldarrostaio mentono pur senza volerlo quando dicono di non aver visto nessuno; non hanno considerato il portalettere nell'esercizio delle sue funzioni, sono semplicemente vittime di quello che oggi viene chiamato un vincolo auto-imposto. ma come fa notare Padre Brown “ sotto ogni divisa c'è un uomo capace di passioni”, un uomo capace di uccidere il povero Smythe, di occultarne il cadavere nel grande sacco della posta che all'epoca tutti i portalettere avevano e di uscire indisturbato.
E anche Laura cade in questa trappola quando afferma che la voce di Welkin pareva provenire dal nulla; aveva ancora la lettera in mano, quindi qualcuno doveva avergliela portata ; è questo il grande indizio che l'autore ci fornisce per poter giungere alla verità prima della spiegazione di Padre Brown, ma giustamente anche noi lettori, come i personaggi della storia, siamo rimasti prigionieri dello stesso pregiudizio.
La spiegazione di Padre Brown è illuminante; “supponete che una signora chieda a un'altra, in una villa di campagna, se c'è qualcuno con lei; la signora non pensa al maggiordomo, alle cameriere e ai cuochi che magari in quel momento sono attorno a lei, dice che che in quel momento è sola, che nessuno è con lei; e questa è una cosa errata, anche se la signora è sicurissima di dire la verità”.
Poi il racconto si conclude col ritrovamento del cadavere di Smythe e la cattura del postino guercio, mentre Laura e Angus potranno forse coronare la loro storia d'amore.

Dunque, ecco perchè considero questo racconto importantissimo; in pratica è il primo delitto impossibile (ok, c'era stato Poe coi delitti della Rue Morgue, ma il tutto era ancora pionieristico e abbozzato), e qualcuno di voi potrà magari trovare la spiegazione finale un poco forzata, che su 4 testimoni almeno uno di loro poteva fare caso al postino; ma alla fin fine nemmeno Carr e gli altri maestri del delitto impossibile (Rawson, Talbot, Queen) presentano  trame verosimili e logiche; in fin dei conti la spiegazione razionale di un evento apparentemente soprannaturale richiede un poco di arditezza e di comprensione da parte del lettore, non trovate? Altrimenti come faremmo a divertirci un po in questa vita fin troppo prosaica?

venerdì 26 luglio 2013

ANCORA LA TEY, ANCORA UN ROMANZO ECCELLENTE; L'UOMO IN CODA

Di Josephine Tey e di quanto sia brava ho già parlato in precedenza, ma amo ripetermi. Dopo i quattro romanzi ristampati un anno fa da Mondadori, lo scorso maggio sono usciti, sempre nella collana oscar scrittori del novecento, altri due titoli della serie di Alan Grant, ossia il primo e l'ultimo; “l'uomo in coda” del 1929 e “sabbie che cantano” del 1952.


Ho quindi colto l'occasione per iniziare una rilettura cronologica dell'impagabile opera di questa meravigliosa narratrice Inglese, anzi Scozzese. Scozia che verrà raffigurata con un'amabilità non comune nel suo romanzo d'esordio; e proprio di questo ho appena terminato la lettura, e dire che ne sono rimasto entusiasta è riduttivo.  Non credevo che il primo libro giallo della Tey fosse al livello dei 3 più celebrati con Alan Grant, ma a dirla tutta mi è sembrato un libro valido almeno quanto questi, e personalmente l'ho trovato superiore a “é caduta una stella” e al pari del bellissimo “La strana scomparsa di Leslie” (La figlia del tempo a dire il vero devo ancora leggerlo, una lacuna a cui è obbligatorio porre rimedio) altro che difetti da rodaggio, qui abbiamo un romanzo d'esordio che per piglio narrativo e approccio al genere è quasi al livello di Poirot a Styles court.
Quindi, come si sarà capito, questo l'uomo in coda è un grande romanzo, con una storia bella e movimentata e pezzi di bravura letteraria che anziché appesantire o ingombrare il testo (Sayers? P.D. James?) si innestano perfettamente nella trama, al pari di certe miracolose divagazioni di Rex Stout; su tutti, da antologia il pezzo sulle riflessioni di Grant riguardo alla natura dell'arte e degli artisti, quattro pagine degne del miglior Maugham.
Basterebbe il magnifico inizio, con la descrizione della folla variegata di londinesi in fila ordinata per accaparrarsi un biglietto per uno degli ultimi spettacoli di un musical interpretato dalla stella del momento, la divina Ray Marcable, in procinto di partire per una tourneè americana (e l'America era davvero lontana a quel tempo, non c'era ancora la Tv e quindi per rivedere la propria beniamina il pubblico doveva aspettare il suo ritorno nel vecchio continente). Lungo questa coda, un uomo si accascia a terra moribondo, con un pugnale nella schiena. L'uomo era solo, non ha con se documenti e sul giornale della sera nessuno riconosce la sua foto. Un caso assolutamente complicato, ma non per  l'ispettore Alan Grant, il più credibile e corretto dei grandi detective del giallo classico Inglese; colto, affascinante e beneducato ha però una praticità “popolare” che lo porta a non avere gli atteggiamenti pomposi e effeminati di un lord Peter o di un Poirot; si può dire che somiglia al Roderick Alleyn di Ngaio Marsh, ma più virile e coi piedi meglio piantati in terra.
Insomma, con la pazienza di Giobbe il carismatico ispettore inizia a tracciare un identikit dello sconosciuto, a scoprire chi era e cosa faceva. Lentamente (ma mai noiosamente) tutte le verità vengono a galla, e dopo indagini tra la brulicante Londra filmata da Hitchcock in Blackmail (il primo film sonoro del maestro è dello stesso anno), case di campagna con domestiche graziose e ingenue e minuscole canoniche delle Highlands scozzesi, Grant fa luce su ogni mistero, tranne il principale che pare veramente irrisolvibile; chi è veramente l'assassino del giovane uomo in coda? Esso però finirà per consegnarsi spontaneamente, in un finale inquietante e un po sinistro degno di Agatha Christie, beffardo ma impeccabile,che lascerà il lettore meravigliato e soddisfatto.
Insomma, L'uomo in coda è un gioiello assoluto, tra l'altro finora inedito in Italiano (mentre tutti gli altri romanzi della Tey pubblicati negli Oscar erano stati già proposti nei gialli Mondadori) che per un appassionato sarebbe un peccato mortale lasciarsi scappare.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  10/10
-LEGGIBILITA’  9/10
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   9/10
-SENTIMENTO   8/10

MEDIA VOTO; 9

domenica 21 luglio 2013

IL PENSIONANTE DI MARIE BELLOC LOWNDES E IL GRANDE FILM CHE HITCHCOCK NE TRASSE

Tra le autrici dell'età Edoardiana del giallo (prima della grande guerra, NDR) una delle più ingiustamente dimenticate (almeno da noi) è senz'altro Marie Belloc Lowndes.

l'autrice


 Autrice di molti romanzi polizieschi e creatrice tra l'altro della figura di uno strano investigatore francese di nome Hercule Popeau ( vi ricorda qualcuno? Ah no, lui era Belga...) la Lowndes fu uno dei grandi nomi poi spazzati via dai giallisti dell'età d'oro, ma non per questo meriterebbe l'oblio, anzi.
 Sorella di Hilaire Belloc (grande saggista e polemista inglese amico di Chesterton), autrice di tale bravura da avere ammiratori insospettabili come Ernest Hemingway (che in "festa mobile" ne parla in termini elogiativi), la Lowndes stilisticamente era affine più alle grandi maestre del giallo gotico americano come Mary Rinehart e ad Anna Katharine Green che ai suoi illustri compaesani. Dei suoi libri attualmente si trova in libreria,edito da Sellerio, solo “Il pensionante” ,edito esattamente 100 anni fa, da cui Hitchcock trasse nel 1926 un memorabile film muto.


A  dire il vero sarebbero stati tradotti in Italia anche altri suoi titoli, pubblicati negli anni trenta in introvabili palmine che credo che non vedrò mai in questa vita, anche perchè una ripubblicazione nei classici del giallo Mondadori (che avrebbe tesori immensi già disponibili solo da rinfrescare e che invece nei classici comincia a riproporre titoli già usciti in quella stessa collana...) credo sia pura utopia. Quindi “accontentiamoci” di questo The lodger, che è comunque una gran bella lettura e la quintessenza della poetica dell'autrice.
Ovviamente non si può parlare del libro della Lowndes senza menzionare anche il film di Hitchcock, grazie al quale il libro stesso continua a vivere e ad avere un pubblico. Libro e film sono però molto diversi, come sempre quando Hitchcock (e quella geniale sceneggiatrice che era sua moglie Alma Reville) traeva un film da un romanzo, specialmente se di grido in quel periodo.
 Il libro della Lowndes in realtà è molto dimesso, spoglio, minimalista, a tratti quasi un dramma da camera; non aspettatevi grandi delitti e frenetici inseguimenti nella nebbia, perchè l'autrice anziché indulgere in scene madri sceglie di evocare e suggerire l'orrore dalla modesta casa-pensione della famiglia Bunting, una casa tra le tante in quel formicaio immenso che era ed è la Londra popolare; in questo il libro vale moltissimo, in quanto è un importantissimo documento della vita quotidiana nell'east end del 1913.
I primi capitoli sono più da romanzo sociale che non da Thriller; infatti si parla molto dettagliatamente delle difficoltà economiche della famiglia che da tempo non ha pensionanti e vive del poco che resta, costretta anche a rinunciare al giornale della sera. Per fortuna la loro figlia Daisy è ospite da una zia più abbiente e non pesa sul bilancio familiare, e il loro unico amico, un poliziotto innamorato di Daisy, fa sempre loro visita in orari lontani dal pasto per non metterli nell'imbarazzo di offrirgli un cibo che a malapena basta ai due coniugi.
Un bel giorno però la fortuna bussa alla porta dei Bunting sotto forma di uno strano individuo, il signor Sleuth, magro e ossuto  giovane con gli occhi spiritati e perennemente preda di un fervore mistico che porta la gente ad avere soggezione e timore di lui.
Il pensionante è eccentrico e inquietante ma paga bene e subito, e quindi la signora Bunting, anch'essa molto religiosa, lo prende a benvolere e diventa la sua paladina, e non batte ciglio nemmeno di fronte alle situazioni più strane, come le uscite del pensionante nel cuore della notte per le pericolose strade di Londra..che casualmente coincidono con efferati omicidi di prostitute, compiuti da un sanguinario serial killer che si firma come “Il vendicatore”. Quindi il romanzo diventa pian piano l'angosciante teatro del dramma interiore della donna; Il signor Sleuth è il Killer o solo un personaggio eccentrico che vaga per Londra di notte perchè ha orrore delle brulicanti strade delle ore diurne?
Intanto torna a casa Daisy, che con Sleuth ha subito un rapporto di malcelata fascinazione; ma anche il poliziotto, guarda caso incaricato delle indagini riguardo al vendicatore, inizia a frequentare più spesso casa Bunting, e finirà per interessarsi sempre di più anche al misterioso pensionante...tutto si scioglierà poi, in un finale d'effetto veramente da manuale, al museo degli orrori di Madame Tussaud.
 Quindi il libro, verboso e monotono ( ma non poteva essere altrimenti visto il taglio narrativo deciso dall'autrice) è assai poco spettacolare, anche se a me, pur a una seconda rilettura, è piaciuto moltissimo.
Tutto il contrario del film di Hitchcock, che per una volta è più esplicito e meno raffinato del testo di partenza.
(ATTENZIONE, NEL CONFRONTARE IL LIBRO COL FILM DEVO NECESSARIAMENTE INSERIRE QUALCHE SPOILER, QUINDI FATE VOI)


Il film inizia con una bella panoramica della Londra popolare, con strilloni che enfatizzano le gesta del vendicatore, ballerine di Music-hall impaurite che si confortano a vicenda, gente che si scambia pareri per la strada. La casa dei Bunting è molto più bella e accogliente che nel libro, e i Bunting non sono rappresentati come dei quasi indigenti. La loro figlia Daisy risiede con loro, e il poliziotto che fa loro la corte è molto più frivolo e smaliziato. Per finire, il pensionante non è quel giovane macilento e sinistro rappresentato dalla Lowndes ma ha le fattezze di Ivor Novello, il bellissimo dell'epoca.



così il tenebroso Novello si presenta in casa Bunting..rassicurante, non c'è che dire.

 La love story che presto nascerà tra lui e Daisy sarà esplicita (nel romanzo della Lowndes essa è assente)  fino a diventare l'anima della pellicola; e quando il pensionante sarà perseguitato, inseguito e accusato di crimini orrendi, il pubblico ha già empatizzato irrimediabilmente con lui, cosa che nel libro difficilmente si rischia di fare. E anche il finale del film, del tutto lieto e rassicurante, sarà molto diverso da quello incerto e sfumato del romanzo; a dire il vero Hitchcock aveva pensato a un finale aperto che non sciogliesse del tutto i nodi narrativi e la tensione accumulata, ma la produzione, come accadrà poi per “Il sospetto” con Cary Grant, gli rise in faccia e gli fece capire che Ivor Novello poteva essere solo ed esclusivamente un buono senza macchia.

Rara immagine di repertorio di Ivor Novello e June, bellissimi.

Cosa preferisco io tra il libro e il film? Questo è uno di quei casi in cui la situazione è di perfetta parità, mi piacciono molto entrambi anche se molto diversi, anzi forse proprio perchè molto diversi.
Un ultimo consiglio; se vi andasse di vedere il film e avete un minimo di dimestichezza con l'inglese guardatevelo su Youtube (il film è fuori diritti da anni) in edizione integrale e restaurata, perchè la versione italiana si vede male  ed è incompleta.

Valutazione del libro;

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10
-LEGGIBILITA’  8/10
-ATMOSFERA  10/10
-HUMOUR   7/10
-SENTIMENTO   8/10

MEDIA VOTO; 8,2

-VOTO AL FILM ; 8,5.

martedì 16 luglio 2013

UNA RIVISTA DI MODA INGLESE DEL 1916 ; OVVERO, COME SI VESTIVANO LE DONNE DI STYLES COURT E DI CORTE ROSSA.

Talvolta a girare per le bancarelle di Firenze si trovano delle autentiche rarità a prezzi stracciati. Ero nella benemerita Piazza Ciompi, quintessenza della Firenze popolare e fuori dal circuito turistico, e tra le bancarelle vedo un baule con delle riviste; il mio sesto senso mi dice di rovistare e eccoti tra le mani una rivista inglese originale targata 1916, dal titolo “Fashion for all”. Con timore mi avvicino al proprietario e chiedo con l'aria indifferente  che il collezionista deve assumere per non farsi spennare quanto costino le riviste, e lui guarda e mi fa annoiato “dammi du'euri, vien via”. Non vi dico il godimento interiore seguito a queste parole.
La porto a casa e la sfoglio; un autentico tesoro, peraltro conservato ottimamente, che magari non ha nessun valore collezionistico ma ne ha uno storico altissimo. Mi piacerebbe tanto sapere come abbia fatto questa rivista a finire dall'Inghilterra al baule di quel rigattiere, già questa è una cosa tanto affascinante da meritare un romanzo a parte; forse una delle tante turiste (magari giovane, bella e innamorata di un conte di Fiesole)che affollavano Firenze l'aveva portata con se e dimenticata in una pensione del centro stile camera con vista (magari la giovane è fuggita precipitosamente da Firenze col cuore spezzato perchè aveva scoperto che il giovane conte era già sposato contro la sua volontà e non poteva amarla...) poi è finita in una soffitta per decenni, poi questa soffitta è stata sgombrata da gente che voleva fare un falò di tutto ciò che c'era e solo questa rivista si è salvata grazie a una ragazza povera e gravemente ammalata di tisi che però amava le cose belle, che è spirata con la rivista tra le mani sognando quei bei vestiti...corro con la fantasia? Certo, ma mi piace romanzare sulla storia delle vecchie cose che si trovano dai rigattieri; se esse potessero parlare avrebbero tante storie da raccontare, qualcuna anche bella.
Tra l'altro l'anno 1916 è stato uno degli anni più drammatici del novecento, in piena grande guerra; i giovani Inglesi morivano come mosche nelle trincee, e le donne della upper class, fintanto che speravano di veder tornare i loro fidanzati si premunivano di farsi belle per loro, non rinunciando certo a dei bei vestiti all'ultima moda solo per una guerra che infuriava oltremanica.
Seguono le immagini, scusate per la qualità non eccelsa;

la copertina



                                        anche per far visita ai soldati convalescenti ci vuole stile....























                                         adorabile pubblicità trionfo di art nouveau








                            merletto di quasi 100 anni fa.

Mi riaggancio al titolo iniziale del post per una considerazione ( e per dargli un senso in questo blog); chissà se Mary Cavendish di Styles court o le donzelle dell'incantevole dramma di corte rossa di Milne (romanzi di quegli anni) avranno indossato qualcuno di questi elegantissimi modelli? che fascino, la vecchia Inghilterra.

lunedì 15 luglio 2013

A.E.W MASON E IL SUO GRANDE CAPOLAVORO "LA CASA DELLA FRECCIA"




DI solito, quando consiglio autori della prima stagione del poliziesco, metto dei cartelli di avvertimento del tipo “occhio che è datato”, “Potrebbe non piacervi”, “Contestualizzate”, ma per Mason non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di farlo; era un grandissimo e tale è ancora.
Alfred  Edward Wooley Mason fu uno di quei sensazionali autori vissuti a cavallo tra otto e novecento che seppero imbastire trame adatte ai loro contemporanei non tralasciando però suggestioni prettamente ottocentesche, che portava ad arricchire trame poliziesche con atmosfere e situazioni tipiche dell’ormai tramontato romanzo vittoriano; altri che lo hanno fatto calibrarono male la dose finendo per produrre lavori troppo goticheggianti,ma Mason era un vero artista che nel campo del poliziesco scrisse molti libri ottimi e 3 capolavori assoluti (non tutti sono stati tradotti in Italia, purtroppo. Polillo, mi ricevete?)
Mason passò a scrivere polizieschi nella maturità della sua carriera; prima era stato un ottimo scrittore di avventure, che firmò titoli memorabili tra cui anche “le quattro piume”, romanzo manifesto delle campagne coloniali in India più volte trasposto al cinema.
Era fortemente influenzato dall’oriente; lo aveva conosciuto al tempo delle guerre coloniali nelle quali era ufficiale di sua maestà, e nei suoi scritti l’elemento esotico è sempre presente, e talvolta preponderante; ricordiamo alcuni dei suoi titoli più tardi come “La belva”, “Il mistero dello zaffiro birmano”, “Il tesoro nel forte”, fortemente profumati di spezie orientali.
Ma in Mason c’era una vena “esotica” molto più vicina al suo paese natale; per un qualche misterioso motivo, i tre capolavori della sua produzione sono ambientati nella più vicina,ma al tempo quasi altrettanto misteriosa, Francia; non Parigi, ma la Savoia, la costa azzurra e Digione; posti ancora tutti da scoprire per molti lettori dell’epoca.
La sensazionale  “suite francese” di Mason si compone di tre titoli; Delitto a villa Rose (1910), La casa della Freccia(1924) e Prigioniero nell’opale(1928), e vedono come protagonista il sensazionale ispettore Hanaud, imponente e tonitruante investigatore della Surete parigina che è un po l’antesignano dei detective Carriani, Merrivale su tutti. Oltre a questi tre uscirono altri 2 romanzi con Hanaud, uno che si intitola “Le perle malate” ed è una palmina introvabile e un altro, “the house in hordship lane” mai tradotto in Italia.
Dei tre romanzi il più famoso, forse per il colpo di scena ai tempi altamente innovativo, è Delitto a villa rose, ma per chi scrive è il meno bello della trilogia; perchè sebbene sia un libro validissimo ha meno atmosfera e meno coinvolgimento emotivo dei due titoli succesivi. Ma c’è da dire che Villa rose non ha avuto l’onore di essere ritradotto dalla grande Grazia Maria Griffini, che invece prodigò la sua opera benefica sugli altri due titoli nei bei tempi d’oro, gli anni ottanta, in cui i romanzi fondamentali del genere si ristampavano con nuove traduzioni. Quindi, se interessati, cercate i titoli SOLO ritradotti, ossia i numeri 457 e 622 dei classici del giallo Mondadori.
Comunque per me il capolavoro assoluto di Mason è il secondo libro (in ordine cronologico) dei tre, ovvero “The house of the arrow”. Scritto nel 1924, nei primi vagiti della Golden Age, quando Agatha Christie scriveva ancora libri debitori del Feuilleton e Van dine e Ellery Queen non avevano ancora importato il poliziesco rigoroso e cerebrale dall’America, La casa della freccia è il romanzo perfetto di Mason, inarrivabile e inimitabile.
la rarissima palmina del 1930

Lungo, complesso e articolato senza essere mai noioso, la vicenda inizia in un ufficio Londinese dove un giovane rampante avvocato viene incaricato di recarsi a Digione, Francia, per indagare su un bizzarro testamento. Qui, nella dimora detta appunto “la casa della freccia”, trova la giovane e graziosa  Betty, nuova padrona di casa dopo la morte della vecchia zia e Ann, dama di compagnia di Betty,  sua coetanea che nasconde un passato misterioso. Il contrasto tra Betty, biondina dall’aria fragile e delicata e Ann, bellezza bruna dallo sguardo sfuggente e umbratile, è uno degli elementi più affascinanti del romanzo.
Le due ragazze sono sconvolte perchè la vecchia Zia di Betty sembra essere stata assassinata. I sospetti vanno verso un iroso e inquietante parente di origine russa, ma tutto sembra troppo ovvio; la verità è ben altra, e Hanaud (insieme al giovane avvocato, innamorato cotto di una delle due protagoniste..ma perchè dirvi quale?) la porterà a galla dopo accurate indagini dentro la magione, nelle campagne circostanti e nella città di Digione. Già, Digione; la casa della freccia è proprio il grande romanzo su questa piccola e affascinante città, e se qualcuno di voi ha avuto modo di visitarla credo che il romanzo acquisti una o due marce in più, visto che raramente nella letteratura di genere una città è stata rappresentata con altrettanto garbo e vivacità. La verità sarà inattesa, sconcertante e drammatica; io sinceramente non ci sono arrivato, perchè avevo escluso a priori una soluzione simile; grosso errore, perchè Mason non è Carr o Wallace, è come la Christie; i colpevoli possono essere tutti, anche i più insospettabili.
Un romanzo che amo in modo particolare, che magari posso anche sopravvalutare (ma lo farei in piena buona fede) e che è ai primissimi posti della mia Top-ten personale, accanto a titoli come Poirot a Styles Court, La pietra di luna, L'automa, Dieci piccoli Indiani e La fine dei Greene.

-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  10/10
-LEGGIBILITA’  9/10
-ATMOSFERA  10/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   9/10

MEDIA VOTO; 9,3

lunedì 8 luglio 2013

"LA SCONOSCIUTA" DI CAROLINA INVERNIZIO; UN VIAGGIO NEL FEUILLETON ITALIANO DI CENTO ANNI FA

         L’altro giorno a un mercatino ho trovato un romanzo di Carolina Invernizio, la  scrittrice Italiana che cercò di esportare il feuilleton nel nostro paese, con risultati altalenanti ma talvolta memorabili (il bacio di una morta è ormai considerato un piccolo classico). Autrice che ho provato a frequentare un paio di volte senza molto successo,lo ammetto; ma il costo del volume era di 50 cents e la quarta di copertina diceva “ un libro che risente del fascino dell’orient-express e dei delitti in treno” e ho deciso di investire una monetona gialla. Poi, più per curiosità che per altro,ho iniziato a leggerlo; anche se a dire il vero in treno (peraltro non sul mitico Orient Express ma sul più prosaico accelerato Firenze-Torino) sono ambientate solo le prime 15 pagine e quindi lo strillo in quarta di copertina era una mezza bufala,per una strana malia non sono riuscito a staccarmi dal libro fino alla fine, poi l’ho chiuso basito e leggermente sconvolto da un’esperienza letteraria insolita e quasi psichedelica, che non bramo di ripetere tanto presto ma che comunque mi ha favorevolmente sorpreso.
Dunque, prima di tutto un po’ di dati; “La sconosciuta” fu scritto dalla Invernizio esattamente un secolo fa, ossia nel suo ultimo periodo creativo,quasi al termine di una carriera che annovera titoli come “la sepolta viva”,“Amori maledetti”, “Il cadavere accusatore”, “La morta nel baule” , “L’impiccato delle cascine” e “Satanella, ovvero l’angelo della morte”. Titoli che possono affascinare e inorridire al tempo stesso,e,credetemi, la sua scrittura è tanto approssimativa, “urlata” e melodrammatica che non si fa fatica a credere a Gramsci che la definì “un’onesta gallina della letteratura Italiana”. Ma Gramsci,che spesso peccava di intellettualismo estremo, aveva ragione solo a metà; perchè se è verissimo che la Invernizio scriveva male è altrettanto vero che la sua fantasia era fervida e sbrigliatissima, e una gallina non potrebbe certo inventare trame tanto ricche seppur del tutto assurde.
Amibientato nella ricca aristocrazia Torinese (si,avevamo anche noi gli aristocratici), la storia comincia appunto in treno, dove il giovane conte Monforti scorge una bellissima donna che poche ore dopo morirà misteriosamente; nessun segno di violenza sul suo corpo ma la donna che era con lei, travestita da suora, non si trova più.
Dopo questo ottimo spunto poliziesco però la trama vira ben presto nel feuileton più sfrenato, una vera giostra di coincidenze (guarda caso sullo stesso treno è presente una giovane e bellissima ragazza che si sta recando proprio nella residenza dei conti Monforti per fare da istitutrice alla piccola di casa, guarda caso tra tutti rivolge la parola proprio al contino, che guarda caso viene a sapere tutto di lei....” è proprio la fiera delle casualità forzate, ma anche un certo Cornell Woolrich, se si guarda bene, ha imbastito con la stessa tecnica storie meravigliose ma del tutto assurde e poco plausibili.
Raccontare la trama è una cosa ardua tanta è la carne al fuoco ( un vero e proprio barbecue,ma di quelli Americani giganteschi), basta solo dire che la girandola è vorticosissima e non si ferma mai fino alla fine; di tutto si potrà accusare la Invernizio ma non di annoiare o di disinteressare il lettore, siatene certi.
Anzichè parlare della trama in modo dettagliato (ci rinuncio) è assai più divertente sottolinare alcune curiosità sconcertanti per l’epoca, come il già deciso fidanzamento tra il giovane conte e la piccola Maura,di nove anni e sua cugina di primo grado (!), “Non appena sarà un po cresciuta”; e il passaggio del giovane conte che guarda la bambina pregustando la bella fanciulla che presto sarebbe diventata è un esempio di come il concetto di pedofilia fosse lontanissimo anche in tempi relativamente recenti; oggi il matrimonio precoce e peraltro tra diretti consanguinei è giustamente condannato, ma in un libro di soli 100 anni orsono destinato alla buona borghesia Italiana esso era quasi visto come una consuetudine.
Poi l’esilarante parte ambientata in Germania; il giovane conte vuole sapere chi è la sconosciuta morta in treno (che non ha un documento in tasca e non è stata riconosciuta da nessuno; unica traccia poche frasi in tedesco scambiate con l’altra passeggera scomparsa) quindi siccome la Germania (ma non poteva essere Austriaca  o di un’altra provincia dell’allora vasto impero di Francesco Giuseppe?) è piccola e tutti si conoscono, va a Berlino e trova un’agenzia di persona scomparse dove, guarda caso, il proprietario sussulta alla descrizione della morta fatta dal contino; complimenti, beccata al primo colpo l’unica persona che potrebbe sapere qualcosa dell’identità della sconosciuta!
E poi non sapevo che in Germania al tempo si usasse la Lira come moneta...una vera sorpresa. Come è una vera sorpresa che tutti i Tedeschi sapessero parlare un fluente Italiano, e viceversa.
Ok, la smetto; alla fine sparare sulla croce rossa in questo modo è un passatempo inutile e volgarotto, oltre che del tutto fine a se stesso.
E in ogni caso non so ancora come riuscire a spiegarvi che questo libro,nonostante tutto...mi è piaciuto; vogliamo chiamarlo fascino del trash, seppure trash d’antan? oppure il doveroso riconoscimento a una mente fervida e inarrestabile?  tempo fa feci il paragone Invernizio-Collins impietosamente a favore di quest’ultimo; ma ora dico che se la Invernizio fosse stata una scrittrice stilisticamente  brava anche solo la metà di Collins invece di essere un’approssimativa pennaiola in quanto a trame ideate poteva competere con lui nei secoli, ma purtroppo il suo stile involuto l’ha relegata quasi del tutto nell’oblio; e lo ammetto, non mi dannerò l’anima per cercare suoi libri, ma almeno questo “La sconosciuta” ha trovato per sempre un posticino nella mia libreria. Cinquanta cents spesi bene, alla fin fine.


-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  8/10
-LEGGIBILITA’  6/10
-ATMOSFERA  8/10
-HUMOUR   5/10
-SENTIMENTO   10/10

MEDIA VOTO; 7,4

lunedì 1 luglio 2013

LA MIA PERSONALE TOP TEN DEI MAIGRET DI SIMENON


In realtà, questo post dovrebbe anch’esso appartenere alla categoria “Nonsologiallo”, tanto per me i romanzi con Maigret esulano dal poliziesco classico; per me sono sempre stati drammi umani e “tranche de vie” con un pizzico di mistero, peraltro quasi sempre facilmente risolvibile (con alcune eccezioni,come un’ombra su Maigret) ; ma non credo che a Simenon sia mai interessato scrivere un “buon giallo”, lui faceva qualcosa di diverso, ovvero una vera e propria Comedie Humaine del ventesimo secolo, l’unica degna continuazione novecentesca di quel grande romanzo di Parigi iniziato da Balzac, proseguito da Daudet, DU Gard e Proust, continuato appunto da Simenon e adesso  da Daniel Pennac. Il lungo ciclo dei romanzi (75) e racconti (28) con Maigret protagonista sono indiscutibilmente un elemento chiave per capire Parigi e la Francia tra gli anni trenta e gli anni settanta, come lo sono i romanzi della Christie per capire l’Inghilterra dello stesso periodo; quindi inestimabili documenti di un’epoca, ma anche romanzi di invidiabile leggibilità e intrisi di una splendida “pietas” umana che nulla ha di ipocrita e compassionevole ma è invece partecipe dei destini degli altri, siano essi piccoli truffatori, operai, donne perdute e timide ragazze venute dalla campagna, che popolano una Parigi ormai scomparsa, irrimediabilmente perduta nel tempo.
E poi c’è da dire che Maigret è un vero grande personaggio della letteratura non solo di genere, tutto il contrario di quei manichini azzimati che sono i detectives del giallo classico inglese, forse la cosa più datata e fastidiosa del genere; i vari Poirot, Van Dusen, Hanaud, Philo Vance e Lord Peter Wimsey (quasi tutti quelli più noti a ben vedere, con l’eccezione dell’Alan Grant della Tey, gran bel personaggio) alla fine sono più che altro irritanti macchiette, e i romanzo con essi come protagonisti non funzionano perchè ci sono loro, ma NONOSTANTE loro; Maigret invece è un personaggio meraviglioso, perfetto e irripetibile (si,irripetibile,mi dispiace ma il commissario Montalbano non gli lega nemmeno le scarpe) che resta nel cuore di tutti coloro che decidono di leggere le sue avventure.
Non starò a dire chi era Maigret o chi era Simenon, mi pare superfluo. L’unica cosa che sottolineo è che il ciclo del commissario fu scritto in due periodi; quello dal 1930 al 1934, con i romanzi più elaborati a livello d’intreccio e con un Maigret in giro la Francia e l’Europa, e quelli tra il 1942 e il 1972, meno intricati  a livello di trama e tutti ambientati a Parigi e dintorni; al contrario di moltissimi degli appassionati di Simenon preferisco questi ultimi, perchè più approfonditi psicologicamente, più riflessivi e poetici, nei quali si sente peraltro tutta la nostalgia di Simenon, a quel tempo autoesiliatosi in america per assurde accuse di collaborazionismo coi Nazisti. 
Non ho letto tutti i romanzi del commissario, anche se sono a più di metà dell’opera, e quindi non posso fare un’analisi dettagliata romanzo per romanzo, anche perchè alcuni li ho ormai dimenticati,mentre della Christie avevo una fresca rilettura e ri-rilettura di quasi tutti. Però ce ne sono sparecchi che ho ben impressi nella mente e ancora più nel cuore, e  quindi ho trovato carino fare il gioco della “top ten”,anche se vi posso assicurare che scegliere solo 10 titoli nell’intero corpus è stata impresa ardua.
 Ho scelto 8 romanzi e due racconti, e mi sono accorto che come epoca di uscita sono piuttosto bilanciati tra il primo e il secondo periodo del ciclo. La top ten va in ordine “decrescente” e riporta prima il titolo dell’edizione Mondadori ( eh si, per me i Maigret sono solo quelli con la copertina di Pinter, gli Adelphi teneteli voi anche se sicuramente sono meglio tradotti) e se diverso quello della Adelphi, casa editrice che ha reso disponili tutti i titoli della saga, e che sta editando anche i racconti.

10-MAIGRET SI COMMUOVE  ( o il carrettiere della Providence,1930); seconda avventura del commissario, una storia avvincente anche se forse troppo melodrammatica, scritta da un autore di grandissima forza espressiva ma ancora un poco ingabbiato nello stile del feuilleton frequentato nei primi anni di carriera; però è molto bello, alla fine della triste e penosa storia Maigret si commuove, e il lettore anche.

9-DUE GIORNI PER MAIGRET (hotel du nord, 1938) ; racconto lungo nel quale emerge la bonaria umanità del commissario; nel suo penultimo giorno di lavoro, che Maigret vorrebbe passare tranquillo a riordinare le ultime scartoffie, piomba in commissariato una ragazza giovane e testarda, impaurita e indifesa ma decida a giocare un gioco ben più grande di lei; il commissario, sbuffando e imprecando, riuscirà a toglierla dai guai, pur avendo voglia di riempirla di sani ceffoni. Un racconto adorabile e estremamente divertente.

8 - MAIGRET E IL CLIENTE DEL SABATO (1962) ; altra storia esemplare nella quale emerge la grande umanità di Maigret, che seppur di malavoglia accoglie in casa di sabato sera (strettamente dedicata al riposo e all’intimità con la moglie) ascolta e prende a cuore la storia di un ometto come tanti, che alla fine sarà una patetica vittima di ancora più patetici assassini. Una storia che avrebbe potuto cantare Brassens.

7-LE LACRIME DI CERA ( o viaggio nel tempo, racconto, 1936); impressionante racconto in cui Maigret indaga su un delitto commesso all’interno di un vecchissimo negozio di antiquariato splendidamente descritto, uno di quei posti in cui sembrano radunarsi tutte le cose perdute della Francia di una volta. Sarà che sono appassionato di rigattieri e mercatini, ma ho trovato questo breve racconto un gioiello assoluto.

6-UN’OMBRA SU MAIGRET (1942); L’unico romanzo con Maigret (almeno tra quelli che ho letto) dove la soluzione finale è veramente di grande livello, degna della Christie e degli altri titani del poliziesco; e la storia dei fantasmi della piccola,malinconica Cecile è veramente struggente e coinvolgente, così come da antologia è la rappresentazione del Quai des Orfevres, sede della polizia Parigina; sembra veramente di camminare tra quelle stanze, straordinario saggio della grande capacità descrittiva di Simenon.

5 - IL CANE GIALLO  (1931); un romanzo leggendario ,forse quello più famoso e citato; ambientato in una bettola di Concarneau,una delle principali città costiere dellla Bretagna, tra ragazze perdute e enigmatici figuri, è la quintessenza del Maigret di provincia, e un graffito irripetibile di quella Francia misteriosa e sconosciuta.

4 - MAIGRET E LA GIOVANE MORTA ( o Maigret e la ragazza morta, 1954) ; In questo commovente e tenerissimo romanzo Maigret indaga sulla morte di una ragazza di vent’anni  “il cui liso e consunto abito da sera e i tacchi a spillo potevano far  pensare a una prostituta,ma i capelli morbidi e ben curati facevano altresì pensare a una bambina”.
Mentre indaga e scopre una triste e sordida verità, il commissario si ferma spesso a pensare alla vita di quela giovane morta, alla sua infanzia, alla sua innocenza e a un suo destino alternativo a quello; pagine ad altissimo tasso emotivo.

3 -IL CASO SAINT FIACRE (1932) ; le origini di Maigret, la sua infanzia, il brusco ritorno ai luoghi dove è nato e cresciuto la figura del padre e i vecchi fantasmi del passato; il capolavoro del primo periodo del ciclo di Maigret, uno dei romanzi più celebrati dalla critica nel quale il commissario viene mandato a Saint-fiacre, il suo paese natale, per indagare sul delitto di un’anziana nobildonna che al Maigret bambino pareva quasi una dea, tanto ne era intimorito e affascinato; da brividi la sequenza in cui lui si affaccia nella stanza della morta e la vede completamente nuda, mentre la stanno vestendo per la sepoltura, e di come distoglie lo sguardo con una fitta di dolore, nel vedere la penosa condizione di colei che da bambino aveva idolatrato. Peccato che la seconda parte sia un poco ingarbugliata e non molto scorrevole, ma le prime 50 pagine sono da pantheon della letteratura.

2- GLI SCRUPOLI DI MAIGRET (1958); è questo il grande romanzo dell’avvio verso la senilità di Maigret e signora, del loro riconoscere la vecchiaia ormai prossima. Tenerissime le pagine in cui i due coniugi, l’uno all’insaputa dell’altro, chiedono al dottor Pardon loro amico notizie sulla salute del consorte, e da antologia la pagina in cui i due ultracinquantenni, stanchi e affaticati, camminano mano nella mano adagi, sferzati dal vento di una sera di gennaio; anche la storia, con un marito e moglie che si accusano a vicenda di un possibile futuro misfatto, sembra accessoria per rappresentare una condizione di stasi, di noia, di paura per il domani. Uno dei grandi romanzi sulla vecchiaia, raro e prezioso come la seta.

1-MAIGRET E IL VAGABONDO (o maigret e il barbone,1963) ; questo è per me il capolavoro assoluto del ciclo. Quasi una lunga, struggente poesia in prosa sul mondo dei clochard sotto i ponti della senna, un apologo degno di stare accanto alla leggenda del santo bevitore di ROth.
 Per scoprire chi ha pestato fino a ridurlo in fin di vita un innocuo e malinconico  barbone detto toubib, ex-medico dai modi gentili e raffinati benvoluto dai suoi simili, un grandissimo Maigret si muove tra i clochard con la sicurezza e l’umanità di un padre gentile, senza giudicare mai e rispettandoli. Assolutamente da brividi il finale, quando il commissario rende al Toubib una biglia colorata che il barbone aveva tra i suoi effetti personali, e questo la prende e la rimette in tasca con un sorriso complice; un simbolo di un’infanzia perduta, di un tempo migliore che il pover’uomo ha deciso di portare con se nella sua grama esistenza sotto i ponti. Un libro straordinario.

Questi per me i titoli migliori. CHe ne pensate? avete una  vostra top ten? nel caso postatela, sarebbe bellissimo confrontarsi.