SI diceva di De marchi, del quale anni fa ho amato "Demetrio Pianelli", uno dei romanzi più belli e delicati mai scritti, e sinceramente non lo credevo capace di scrivere un romanzo Napoletano credibile; ma, come per il De Andrè di Don Raffaè, a volte accade che un "forestiero" senza troppi pregiudizi sappia capire una città alla perfezione, e regalarci quello che rimane un gioiello assoluto della narrativa Italiana.
E poi, davvero, questo romanzo giovanile concepito come una "rispostina" nostrana a Delitto e castigo, è un grande thriller; non un giallo a enigma, ma piuttosto una perfetta inverted story, ossia il sottogenere tanto caro a Hitchcock in cui si sa chi ha commesso il delitto ma del quale poi si segue con palpitazione le vicende, per vedere come verrà, o non verrà, smascherato.
Il libro è disponibile in varie edizioni, di cui la più comune è questa Rizzoli.
Siamo nel 1888, anno in cui la inverted story è ignota anche a coloro che pretendono di averla inventata ( i soliti anglosassoni, NDR), e De Marchi ha l'intuizione geniale di ambientare il suo thriller nella città già al tempo più affascinante e misteriosa d'Italia, che nell'età postrisorgimentale doveva avere un fascino addirittura esotico; una Napoli di maniera, certo, ripresa pari pari dai romanzi di Mastriani (I misteri di Napoli, La cieca di Sorrento, La sepolta viva) ma certamente efficace e funzionale alla storia narrata.
La trama è molto semplice; il dissoluto Barone Carlo Coriolano di Santafusca, bell'uomo di mezza età ormai ridotto senza il becco di un quattrino, raggira e uccide barbaramente u'prevete Don Cirillo, un prete usuraio e colluso con la camorra (si, esisteva già) che nella città ha fama di negromante, in quanto regala i numeri del lotto con straordinaria precisione. Dopo averlo ucciso e derubato di una notevole somma, il Barone ne occulta il corpo nella sua fatiscente villa fuori Napoli, ma si dimentica il cappello di Don Cirillo, voltato lontano durante la colluttazione. Sarà proprio questo cappello, in una girandola di trovate narrative straordinarie, a spuntare e rispuntare fuori inopitamente, finendo per inchiodare il diabolico nobilastro alle sue colpe.
Si è parlato di epigono di Delitto e castigo, ma a mio avviso il paragone non ci sta; nel capolavoro di Dostoevskij Raskolnikov cade in un delirio causato dai sensi di colpa, mentre il Barone di Santafusca non ha il minimo senso di colpa, spende e spande il denaro rubato, corteggia donne e fa la bella vita; il castigo poi avviene attraverso vie quasi magiche, che hanno senso solo in una cornice Napoletana, come se il prete dall'aldilà tramasse per inchiodare il suo assassino; in ogni caso nessun ricorso dichiarato al soprannaturale, anzi, quasi un ballo scatenato nel gioco assurdo e bizzarro del caso, nelle coincidenze nemmeno troppo improbabili.
Solo il finale, forse, inceppa un poco il perfetto meccanismo thrilling, in quanto il colpevole più che essere smascherato dalla giustizia si tradisce da solo, dopo un collasso nervoso, ci fosse stata una trovata prettamente poliziesca in più sarebbe stato un romanzo perfetto.
Ma anche così, il romanzo resta una vera gemma del poliziesco Italiano, un libro divertente e godibilissimo e sapidamente Napoletano; mi divertirò, quando sarò in loco, a risalire Via Toledo in cerca del fosco Barone di Santafusca, u'prevete Don Cirillo, Filippino il cappellaio con la sua Chiarina, il Cavalier Martellini (che ricopre il ruolo del detective) e tanti altri personaggi del romanzo; chissà, forse li intravedrò veramente, tutto è possibile in una città magica...