martedì 24 febbraio 2015

"ALLA LARGA DA BROADWAY" DI HARRY OLESKER.


Da sempre, in un romanzo, di qualunque genere esso sia,  un pizzico di umorismo mi è sempre piaciuto. Il giallo classico, in questo, non fa certo eccezione; Nero Wolfe e Archie Goodwin non sarebbero la coppia al fulmicotone che sono senza le loro continue schermaglie, così come le bonarie prese in giro di Poirot ad Hastings contribuiscono più di ogni altra cosa a rendere memorabile il cameratismo tra i due. Edmund Crispin, col suo delizioso umorismo british, arricchisce ulteriormente i suoi già saporiti manicaretti, Così come Donald Westlake con le sue situazioni paradossali, e arguzie di finissima fattura si trovano anche in un insospettabile come Chandler.

Ma, lo ammetto, se talvolta ho sorriso leggendo gialli, fino ad adesso non avevo mai riso di gusto come leggendo questo romanzo di Harry Olesker, mestierante oggi dimenticato. Precisiamo; questo libro non è una smaccata parodia  del genere scritta apposta per far ridere, è un giallo che ha un suo discreto rigore, e potrebbe stare in piedi anche senza l’umorismo, sarebbe “solo” una delle centinaia di gialli che uscivano nei primi anni sessanta, testi piuttosto ordinari nobilitati dalle copertine di Jacono e penalizzati  dalla scarsa cura editoriale dell’epoca. Ma quello che invece rende “ricordabile” questo Alla larga da Broadway, tanto da essere incluso nel gustosissimo omnibus-monstre (il solo, assieme al primo di Philo Vance, da me posseduto quando ero adolescente) “I magnifici sette del giallo” dove venivano presentati sette romanzi per sette tipologie diverse di poliziesco; c’era il thriller con “Appuntamenti in nero” di Woolrich, il giallo di stampo classico con “E’ un reato dottor Fell” di Carr,  l’hard boiled con James Hadley Chase (Colpo a feddo), il giallo metropolitano con Frank Kane (il cancro della metropoli), il poliziesco d'azione con il simil-Wallace J.J. Marric (Gideon di Scotland Yard) l’avventura orrorifica con “Dinastia di morti” sempre di Woolrich (mamma mia quanto mi piacque, che nostalgia di quella palpitante notte estiva in cui lo divorai…) e il filone del giallo umoristico, invero non molto nutrito, era rappresentato proprio dal romanzo di cui parlo in questa occasione.
L'omnibus da me sponsorizzato (copertina di Pinter)
 

Accattivante fin dalle prime battute, ci presenta una protagonista  deliziosa quanto irritante, a metà tra le svampite sexy e poco intelligenti stile pin-up e le protagoniste delle Screwball comedy anni trenta: il suo nome è Dorothy Dawn, ventitré anni,  bionda sensualissima quanto ingenua, consapevole della sua carica erotica e non proprio un modello di virtù  , che è arrivata nella New York degli anni cinquanta direttamente da Bad River, Wyoming, millecento anime metà delle quali hanno tentato di mettere le mani addosso alla ragazza. Si trova nella grande mela perché vorrebbe recitare e cantare ( il suo maestro di Bad River l’ha convinta di possedere un inesistente talento, ma solo per sedurla…) e perché, vista la lontananza tra i due, il suo fidanzato vicesceriffo Morty Blake si svegli e le chieda finalmente di sposarlo. In fondo, quindi, una onesta e sana ragazza americana, solo un filino troppo sexy per restare incolume nella grande mela.
 
Prima edizione GM 1961 (cover di Jacono)
 

Infatti, dopo una disastrosa audizione per un musical, viene abbordata dal regista di esso, artista di successo e sposato con la diva del momento, di nome George Robin; è chiaro che quest’ultimo vuole solo portarsi a letto Dorothy e infatti la ragazza, brilla dopo i tanti cocktail “Gibson” offertile dal regista, finisce per farsi portare da quest’ultimo nel suo appartamento, entrambi fradici per essere stati sorpresi da un temporale estivo. La ragazza si fa baciare, ma non concede altro. Lui allora sembra arrendersi, e concede perfino alla ragazza di spogliarsi da sola e mettere ad asciugare i suoi vestiti al fuoco del camino; ma per un malaugurato incidente i vestiti della ragazza finiscono tra le fiamme, e lei rimane in casa di un estraneo vestita solo di un asciugamano arrotolato attorno al corpo alla meno peggio (chissà che batticuore, per i lettori del 1961…).Cavallerescamente, Robin si offre di andare a casa della ragazza, poco distante, per prenderle altri vestiti, e lei rimane sola. Mentre, per cercare un qualche pigiama, fruga nell’armadio della camera, dentro di esso trova un qualcosa di inaspettato; il cadavere di una donna…
 

Intrigante cover originale.
 

Nelle successive cento pagine le cose si complicano, la povera Dorothy passa da un inconveniente all’altro, viene aggredita da uomini e donne, ma l’idealista fanciulla, in fondo in fondo vero angelo del focolare, non demorde e si fa in quattro per arrivare alla verità, coadiuvata in questo da un flemmatico e paterno ispettore. Una verità abbastanza banale e scontata, ma non è per questo che il romanzo si legge, lo spasso sono le battute, come “Mettermi in testa una canzone, per me, significa soltanto ripararmi i capelli con lo spartito quando piove” oppure "Le sole porte che finora si erano spalancate per me a New York sono quelle con la scritta uscita". O ancora possiamo godere di alcune situazioni irresistibili, come il povero fidanzato venuto a trovarla per riportarla a casa e la vede accapare a notte fonda, ubriaca, in compagnia di un poliziotto e vestita solo di un’asciugamano. Insomma, questo “Alla larga da Broadway” come intreccio giallo è abbastanza irrilevante, ma in questo caso non conta la meta, conta il viaggio; ci si diverte, e questo basta.

Insomma, un’adorabile sciocchezzuola da leggere magari tra due gialli più impegnativi, adattissima per, citando la Settimana enigmistica, “rinfrancar lo spirito tra un enigma e l’altro” .

mercoledì 18 febbraio 2015

"PERRY MASON E LE ZAMPE DI VELLUTO" DI ERLE STANLEY GARDNER.


Se fino ad adesso ho ignorato l’universo di Perry Mason è stato un poco per pigrizia, e un poco per una fisiologica propensione verso altri tipi di poliziesco. Non che non avessi mai letto niente, ma lo avevo lasciato ai margini, come se l’opera di Gardner fosse di minore importanza rispetto a quella di altri giallisti. Sbagliavo.

Dunque, Gardner. Uno degli autori più prolifici, anche più, pensate, di Edgar Wallace, sempre citato tra gli autori più fecondi anche se in realtà i suoi  romanzi polizieschi sono “solo”  92, senz’altro meno degli oltre 120 di Garner; solo i Perry Mason sono 82, più i 29 con Donald Lam (scritti da Gardner con lo pseudonimo di A.A. Fair) e altri titoli, come “La morte nella manica” o  “Depone la morte” senza personaggi fissi.
 
l'autore.
 

Un autore che è senz’altro una delle “bandiere” del Giallo Mondadori; nella collana sono stati pubblicati tutti i suoi romanzi fin dagli anni trenta, quando alcuni dei primi libri con Mason uscirono tra le palmine. Ma l’esplosione dell’autore  nel nostro paese si ebbe dal dopoguerra in poi; il primissimo numero dei GM del dopoguerra fu appunto un Gardner, ovvero “Perry Mason e l’avversario leale”, ristampato varie volte nei classici, di cui l’ultima nel 2013. Negli anni cinquanta e sessanta, fioccavano i Gardner come se piovesse, testi quasi inscindibili dalle magnifiche copertine di Jacono, che dava perlopiù risalto alle molte bellissime donne, di ogni indole e estrazione sociale, che richiedevano i servigi del noto avvocato. E nelle ristampe nei classici del giallo, anch’essi inaugurati con un Mason (P.M. e il pugno nell’occhio, 1966) Gardner è stato uno degli autori più ristampati, e anche adesso la redazione odierna li sta rieditando a ritmi sostenuti (ne è uscito uno lo scorso dicembre e ne uscirà un altro a marzo!), e l’autore continua quindi a essere attuale e apprezzato, nonostante sia penalizzato da traduzioni mutilate e di mediocre fattura; se si escludono le Palmine tradotte con criterio, i libri di Gardner sono stati piuttosto maltrattati, e purtroppo mai ritradotti nel corso degli anni (a parte un’iniziativa della Hobby e Work, che presentò in edicola una ventina di Mason con una traduzioni nuove di zecca, ma piuttosto piatte e anonime).
 




Alcune bellissime protagoniste immortalate da Carlo Jacono. Perry Mason veniva sempre riprodotto con le sembianze di Raymond Burr, immortale Mason nel telefilm andato in onda tra il 1957 e il 1966.
 
 

E adesso, seguendo un dogma Marzulliano, mi faccio  una domanda e mi do una risposta; perché Gardner è un autore poco citato nelle classifiche dei migliori gialli del secolo? Perché nessuno, dai critici blasonati ai semplici appassionati, mette un Mason o un Donald Lam tra i suoi preferiti? Forse perché l’autore non soddisfa pienamente nè i cultori del giallo classico nè i patiti dell’hard boiled; no, Gardner non ha da spartire molto ne con l’universo  della Christie ne con quello di Hammett, perché è “altro”; il suo universo se lo creò da solo, e con lui è morto.

Io, nell’universo di Gardner ci sono entrato tardi, e male. Lo leggevo durante i turni di notte o in treno, perché è un autore molto leggero e gradevole, ma non gli ho mai tributato molta importanza; ma ora che i gialli li leggo anche, per così dire, con occhio critico, la lettura della primissima avventura  dell’avvocato del diavolo, “P.M. e le zampe di velluto” mi ha letteralmente folgorato.
 
 

Forse perché letta nell’edizione anni trenta (con traduzione non mutilata poi nelle successive ristampe, come purtroppo sarà successo anche per questo titolo) con l’ottima traduzione di Enrico Andri, questo esordio di Mason mi è parso tanto convincente da arrischiarmi di usare per esso l’impegnativo termine di capolavoro.

Credo davvero che, per i lettori del 1937, una scrittura come quella Gardneriana fosse adrenalina pura; nella provinciale e sonnacchiosa(ancora per poco, purtroppo) Italia in camicia nera   arrivava semplicemente l’America. Infatti, in Gardner si respirano gli States del tempo come con nessun altro autore, eccezion fatta per Stout; Gardner non aveva bisogno di plasmare e cristallizzare gli stereotipi della detection Americana come facevano Chandler e Hammett, rimasti molto di più nella memoria collettiva (e blasonati dalla critica) ma inevitabilmente  cristallizzati nella loro stessa maniera; Gardner raccontava storie di personaggi credibili, normali, senza essere cinici e autodistruttivi, senza vizi eccessivi, senza amori troppo tragici e maledetti. Come Simenon con la Francia e la Parigi di Maigret, Gardner creò un universo attendibile e autentico, che ancora oggi può risultare una impareggiabile “guida pratica” per capire quell’America, precisamente quella Los Angeles e quella California che si imposero più di ogni altro posto del mondo delle fantasie degli Italiani, soggiogati dal fascino dei liberatori.

E poi Perry Mason, un personaggio assolutamente nuovo per i tempi, unico e mai eguagliato.

Sulle prime, pare che qualche affinità con i protagonisti dell’hard boiled ci sia; come Marlowe, Mason è un idealista, per il suo cliente combatte e rischia moltissimo, anche quando esso/a non lo merita affatto; ma non arriva al punto di sacrificare il suo tornaconto, di tramutarsi in quel romantico e perdente cavaliere di ventura che in fondo Marlowe è; Mason risulta essere un vero Americano del new-deal, il self-made-man positivo e determinato per cui alla fine conta solo la vittoria. Vuole essere pagato, tanto e subito. Perry Mason è solido, senza vizi o debolezze; non disdegna uno Scotch doppio, ma non è un bevitore. Cerca di essere conciliante e pacato con gli avversari, ma alla bisogna assesta ottimi destri a tradimento. Non si invischia   in love story con donne bellissime e irraggiungibili, ma forma una coppia di fatto con la sua meravigliosa segretaria Della Street, un rapporto che non si ufficializzerà mai in modo vero e proprio, ma senz’altro consumato “dietro le quinte” visti i continui abbracci e i languidi sguardi tra i due, che senz’altro non sono due cherubini pudibondi, ma due spiriti forti e indipendenti, contro ogni schema; per fare un esempio, un romanzo della serie, “P.M e i due ritratti”, si apre con Mason e Della che tornano da un viaggio di piacere alle Hawaai; ai tempi era una cosa a dir poco ardita mostrare datore di lavoro e segretaria che se ne vanno in vacanza assieme senza essere sposati. Per chi scrive, Mason e Della Street formano la più bella e sensuale coppia del romanzo poliziesco proprio per quell’incompiutezza e quel “non detto”, e per quel velato erotismo di fondo che permea molte sequenze con i due assieme.
 
una splendida Della Street, sempre by Jacono.
 

Tutto questo, e molto altro, si trova nelle “zampe di velluto”; queste ultime non sono altro che le rapaci e graffianti manine di Eve Belter, fatalona dalle molte grazie e dal cuore di pietra che  si presenta da Mason per essere difesa da dei ricattatori, ma che finirà, con i suoi maneggi, per irretire l’avvocato in un gorgo di bugie e morti violente per uscire dal quale esso dovrà lottare con molteplici nemici, alcuni dichiarati e altri molto più subdoli. Impossibile riassumere questo eccitante fuoco di fila di trovate e colpi di scena, basti dire che siamo ad altissimi livelli, un robusto poliziesco d’azione che presenta anche un intreccio  di tutto rispetto e personaggi per nulla banali, e che soprattutto sembra veramente scritto ieri per quanto risuta ancora scattante e dinamico. Continuerò con entusiasmo a esplorare l’universo Gardneriano, ho scoperto una vera miniera d’oro, e se in passato ho minimizzato l’opera di questo autore beh, allora faccio ammenda perché sbagliavo. Certo, i romanzi con Mason non saranno tutti di grande livello, ma nessun ciclo di decine di romanzi può garantire sempre e comunque l’eccellenza. Nel frattempo, voi cercatevi questo fantastico esordio dell’avvocato del diavolo, uscito in varie edizioni; non ne rimarrete delusi, garantito.

domenica 15 febbraio 2015

"IL DRAMMA DEL FLORIDA" DI RUFUS KING.


Lo statunitense Rufus King appartiene a quella schiera di autori di polizieschi definiti “robusti artigiani”, ossia quel girone intermedio che sta tra i grandi e i mestieranti dimenticabili.

Purtroppo, si tende a inserire nella suddetta categoria autori di ben diverso livello, e se per alcuni è un riconoscimento anche troppo generoso, per altri la definizione di artigiano va decisamente stretta; e questo è certamente il caso di Rufus King (e senz’altro anche del suo formidabile omonimo, l’altro “re”  C. Daly King) un autore del quale ho letto ancora poco, ma quel poco mi ha sempre ampiamente soddisfatto, tanto da ripromettermi di dedicare alla sua opera tutta l’attenzione che merita.

Scrittore di grande scorrevolezza, in questo somigliante più alla Christie o a Quentin che a Van Dine o Carr, Rufus King fu un perfetto esponente  del poliziesco della golden age, e se non è famoso come altri grandi è perché forse ha avuto la sfortuna di non essere rispolverato a dovere dalla critica che conta, l’unico modo, per un autore di genere, di salvarsi dall’oblio.

Gran parte dei romanzi di King vedono protagonista il tenente Valcour, segugio preparato e uomo raffinato ma senza le esagerazioni di Poirot e Philo Vance, e meno famoso di loro proprio per questa normalità, come si sa i grandi detective sono ricordati solo se eccentrici e superomistici.

Ma King non era solo un autore di gialli di stampo classico, visto che a lui si deve uno dei mystery  più ammalianti e seducenti mai concepiti, ossia quel “Camera chiusa numero 13” dal quale il regista Fritz Lang trasse quel grandissimo film che è “Dietro la porta chiusa”. Anche se non rappresenta la poetica del suo autore, Camera chiusa numero 13 è un testo di rara bellezza che deve essere letto da tutti gli amanti dei thriller al cardiopalma, con in più una venatura da romanzo gotico che rende la pietanza ancora più saporita e amplifica egregiamente la suspense.

Ma il romanzo di King che non esito a definire un capolavoro è “Il dramma del florida”  (Murder by latitude, 1932) , uscito per la prima volta nel 1936 (numero 131 delle palmine, stupendamente tradotta da Piceni) e ristampato nel 2012 nei classici del giallo, ottenendo un’ottima accoglienza sul blog dei GM.
 
Splendida, come sempre, copertina  di Abbey.
 

Il romanzo si inserisce nel nutrito filone dei gialli ambientati in mare, una sfida che era praticamente obbligatoria per ogni grande autore della Golden age; si farebbe prima a fare un elenco degli autori che NON hanno scritto un giallo di ambientazione marinaresca, piuttosto che il contrario.

In ogni caso, Rufus King riesce, grazie anche alla sua esperienza diretta (aveva lavorato sulle navi) a creare un vero e proprio microcosmo di assoluta attendibilità, a farci vivere il viaggio, farci sentire anche noi parte dell’equipaggio o dei passeggeri.

Il Florida, va subito detto, non è una di quelle lussuose navi da crociera che andavano per la maggiore negli altri romanzi a tema, ma un modesto piroscafo per gente di media estrazione, che vuole recarsi alle Bermuda da New York senza spendere troppo. Il romanzo inizia subito col botto; un uomo (quindi sappiamo subito che l’assassino è di sesso maschile) si intrattiene con il marconista della nave, che aspetta un messaggio cifrato per il tenente Valcour, un messaggio che potrebbe risultare fondamentale per incriminare uno dei passeggeri; l’uomo ride e scherza con l’operatore, e appena il messaggio giunge lo strangola senza pietà, facendo sparire la missiva.

Quindi siamo già  in  pieno dramma, Valcour non è in viaggio di piacere ma sta cercando di bloccare un pericoloso omicida, che ha già ucciso a New York e potrebbe uccidere ancora proprio sul piroscafo; Valcour però non ha la minima idea di chi possa essere, perché non ha una descrizione fisica o qualche indizio materiale, sa solo che un omicida è nascosto tra la variegata umanità che popola la modesta imbarcazione.

Oltre a diversi uomini, ci sono anche alcune donne, tra le quali spicca la signora Poole, enigmatica mangiatrice di uomini non più giovane ma ancora molto bella, ma soprattutto ricca, che passa da un matrimonio, o meglio da un divorzio all’altro. Valcour la segue con attenzione, perché pensa che lei sia la vittima designata, in quanto a New York è stato trovato morto il suo primo marito, e sul luogo del delitto è stato trovato un enigmatico messaggio destinato alla signora stessa. Ma da quale mano verrà colpita? E soprattutto, perché?

E’ questo proiettare subito il lettore nel bel mezzo di un dramma, piuttosto che cominciare a narrare tutto dall’inizio, uno dei fattori che rende il romanzo eccezionale. E l’altro motivo, ancora più importante, è il formidabile innesto di una storia che affonda in un passato remoto; come in  “Trappola per topi” della Christie  l’omicida potrebbe agire per vendicarsi di abusi e traumi patiti nell’infanzia, in quanto l’enigmatica signora Poole adottò assieme al primo marito (non ufficialmente) una trovatella, coccolandola e mantenendola per alcuni anni nel lusso più sfrenato, per poi abbandonarla a se stessa una volta passato il capriccio, limitandosi a metterla in un istituto e passandole un mensile per il mantenimento, senza mai più rivederla; da qui Valcour formula un’agghiacciante ipotesi; se uno dei passeggeri più giovani fosse in realtà una donna travestita da uomo, che aspetta solo l’occasione giusta di farla pagare alla perversa “madre adottiva”?

Nel frattempo le morti diventano due, e nel piroscafo si diffonde un’atmosfera di incubo e di minaccia egregiamente tratteggiata dall’autore, e l’oceano diventa un luogo claustrofobico e opprimente, e in questo ricorda il delizioso “Vele insanguinate” della Rinehart, con quel memorabile assassino armato di ascia.

 La suspense si fa sempre più incalzante, in brevi capitoletti contrassegnati ognuno dalle coordinate raggiunte dal piroscafo al momento dell’azione (almeno nell’edizione delle palmine che ho io, non so in quelle successive…) ed è impossibile smettere di leggere fino al  superbo finale, che ribalta egregiamente tutte le teorie che Valcour ( e il lettore) avevano elaborato nel frattempo.

Un romanzo davvero imperdibile, di quei rari gioielli che unisce in se un enigma di prim’ordine, personaggi memorabili e una grande tensione; quei tre fattori che, almeno per me, fanno il giallo perfetto.

lunedì 2 febbraio 2015

LE PALMINE DIMENTICATE 5 - "LA TORRE DI RE GIOVANNI" DI MAURICE RENARD


Proseguono i fortunati ritrovamenti delle palmine in mercatini e bancarelle, che mi permettono di leggere le decine di testi della collana dei libri gialli, ovvero le Palmine, che non sono mai stati ristampati dai lontani anni trenta.

Di solito sono sempre stato molto critico verso la non-riedizione di queste opere, in quanto nelle precedenti quattro occasioni i testi mi erano parsi bellissimi e non meritevoli di cadere nel dimenticatoio…ma dico subito che, per questa volta, non ho niente da eccepire alla non-ristampa di questo romanzo Francese. Non che non mi sia piaciuto, anzi non mi divertivo tanto a leggere un libro da diverso tempo; ma fu inserito nella collana sbagliata, perché questo “Le singe”, che Renard scrisse in collaborazione col figlio Albert-Jean, è a tutti gli effetti un Urania ante-litteram, in quanto trattasi, udite udite, di un romanzo puramente fantascientifico, che non ha attinenza alcuna col poliziesco ne coi suoi sottogeneri; una spy-story, un’avventura alla Wallace, un romanzo gotico o un thriller a suspense ci potevano tranquillamente stare, ma non un pastiche alla Wells, seppure adorabile.
 
Come sapete, coi testi dimenticati spoilero, tanto difficilmente qualcuno di voi li avrà tra le mani; ma se comunque volete procurarvelo e gustarvelo fermatevi qua con la lettura dell’articolo, non  mi offenderò.

 Dunque, per me che non sapevo con cosa avevo a che fare è stata comunque una piacevolissima e straniante lettura, che mi ha avvinto totalmente: nei primi capitoli si parla di alcuni cadaveri disseppelliti da una misteriosa setta di resurrezionisti (che cosa deliziosamente affascinante!)e un vecchio signore incarica un giovane e rampante diplomatico, Claude Maxim, di raccogliere informazioni sulla faccenda . Poi questa pista narrativa viene temporaneamente abbandonata, in quanto l’attenzione si sposta sulle vicende del fratello di Maxim, Richard, che parte per un misterioso (forse fittizio) viaggio di lavoro ma viene trovato morto a Digione. Sembra sia un attacco di cuore, tutti sono addolorati, e così via; ma nel frattempo continuano ad arrivare telegrammi da diverse città Francesi, che comunicano che il signor Richard Maxim..è stato trovato morto. Alla fine della giornata, si avranno ben 4 Richard Maxim, identici in ogni particolare comprese le impronte digitali (quindi niente sosia travestiti) morti nello stesso istante in quattro angoli di Francia lontanissimi tra loro.

Beh, a questo punto ho cominciato ad avere qualche dubbio. Una situazione così nemmeno il Carr più sfrenato, nemmeno l’Halter più temerario potevano mai concepirla. E infatti, stavolta, la spiegazione razionale non poteva proprio essere possibile, altrimenti l’autore avrebbe schiantato tutti i grandi con un solo romanzo.

 No, nella seconda parte il romanzo diventa un libro di proto-fantascienza dove un “Mad Doctor” riesce a clonare perfettamente gli esseri umani, grazie a una macchina di sua invenzione custodita in una torre minacciosa, quella del titolo. Alla fine si scopre che i cadaveri li faceva rubare lui, per farci i suoi pazzeschi esperimenti. Insomma, un po dell’Isola del dottor Moreau, una spruzzata del Castello dei carpazi di Verne, qualche artificio da Feuilleton ed ecco uno strano, grazioso, interessante romanzo che però nella collana dei Gialli Mondadori, poverino, non ci può proprio stare. Potrebbe essere ristampato con una leggera rinfrescata (la traduzione di Cesare Giardini è ottima) negli Urania, ma la collana purtroppo non presenta mai qualche testo pionieristico, quindi ciò è impossibile.

Insomma, un grazioso reperto destinato a un sicuro oblio. Ma è stato proprio in unicum, nei GM? No. Perché, volendo proprio fare i pignoli, non è proprio la sola opera fantascientifica proposta nelle palmine…. visto che, nel numero 3, nel leggendario volume dedicato a Robert Louis Stevenson, si presenta nientemeno che “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hide”. Miracoli di un’editoria ancora capace di sorprendere, senz’altro  più innovativa e audace di quanto non sia adesso.