mercoledì 6 novembre 2013

"TROPPE LETTERE PER GRACE", UNA DELLE GEMME DELLA PREMIATA DITTA PATRICK QUENTIN


Il team di autori noto con lo pseudonimo di patrick Quentin (4 autori, due uomini, Richard Webb e Hugh Wheeler, e la saltuaria collaborazione di due donne, Martha Mott Kelly e Mary louise Aswell; queste collaborarono con Webb nella stesura dei gialli degli anni trenta a fina Q. Patrick, ma quando la firma divenne quella di Patrick quentin gli autori furono quasi eslusivamente Webb e Wheeler, e poi il solo Wheeler dal 1953 in poi, anno in cui Webb smise di scrivere.

La grande maggioranza dei libri sono stati scritti dai due uomini, e il vero genio del gruppo era forse Webb, infatti, scomparso lui, gli ultimi libri firmati Patrick Quentin appaiono dei puri noir, talvolta splendidi (controcorrente) altre volte più convenzionali; ma Webb era l’artefice delle trame da giallo classico all’Inglese, degli intrecci impeccabili. Non per niente, anche se quasi tutti i libri firmati Quentin sono ambientati negli stati uniti, Webb e Wheeler erano due Inglesi purosangue, e forse è questo uno dei motivi del loro successo; gialli americani mutuati da una visione britannica del genere.

Quasi mai il nome di Patrick Quentin viene associato al gotha del poliziesco, ma secondo me non è giusto; questa firma, forse perché collettiva, è stata fortemente sottovalutata dalla critica, ma almeno qui da noi è una delle più longeve e ristampate; apparsi per la prima volta nelle mitiche palmine degli anni trenta, sono  stati una delle punte di diamante del giallo americanofilo del dopoguerra, ristampati costantemente nei classici fino ai giorni nostri, visto che ogni anno un Quentin o uno Stagge li rivedo sempre, con enorme soddisfazione, in edicola; io li ho tutti, ma ho piacere che li continuino a divulgare.

Questo costante proliferare non è per caso; gli autori veramente longevi sono ormai pochi, tutti quelli più famosi e conosciuti; ma anche tra i titani come Christie, Stout, Carr, Queen o Wallace il povero e sottovalutato Quentin, sgomitando, riesce sempre ad essere costantemente ripubblicato.

Come ripeto, nulla è per caso, e la redazione del giallo Mondadori potrà essere parziale o talvolta poco accorta, ma non è certo stupida; chi compra e legge un Quentin difficilmente rimane deluso, e desidera di provare altri titoli della collana, se quello è il target medio di essa. Sono quegli autori che fanno affezionare ai classici del giallo, che ne assicurano la periodicità costante; facile puntare sui titani, ma nessuno di loro ha scritto tanto da assicurare la bellezza di 2 uscite mensili; e perché una collana così impegnativa per quantità e qualità continui ancora ad assicurare buoni titoli, ci vogliono per forza i robusti artigiani, gli autori meno celebrati di altri che però affascinano il lettore e tengono sempre alta la bandiera (gialla…); Quentin, ma anche la sempreverde Mignon Eberhart della quale abbiamo avuto proprio il mese scorso un validissimo inedito,  Gardner coi suoi tanti ma sempre validi Perry Mason, Ed Mcbain e il suo distretto 87, il poeta delle ombre Cornell Woolrich, Donald Westlake e tanti altri che sono da sempre la spina dorsale di una collana che esce, ricordiamolo, dal 1929.

E Patrick Quentin credo sia l’autore (ormai ne parlerò come fosse una persona, ho detto e ripetuto che si tratta di uno pseudonimo) perfetto per dare lustro a un genere, a una tradizione; di invidiabile leggibilità, iniziò con gialli tra tè e pasticcini in puro stile british per poi passare, dopo gli anni trenta, al giallo americano commisto col noir e la violenza metropolitana fino ad arrivare al Thriller psicologico puro nell’ultima fase “Wheeleriana” della sua produzione; basta leggere il suo primo libro “Tè e veleno” del 1931 e “Controcorrente” del 1960 per capire di quanto questo team ha saputo non solo modificare il proprio stile, ma anche cavalcare la storia del genere e le sue mode, risultando così attuale al tempo e piacevolmente vintage adesso.

Ok, magari non avrà scritto nessun capolavoro assoluto, ma degli ormai parecchi Quentin che ho letto nemmeno uno tra questi mi ha fatto cascare le braccia, mai. Ovviamente, chi scrive preferisce i primi degli anni trenta, ma non disdegna nemmeno quelli “ammerigani”, perché sono prodotti impeccabili.

E poi, chi dice che Quentin non abbia mai scritto capolavori? I critici, ma non certo il sottoscritto, perché considero gialli di primissimo livello almeno “Presagio di morte”, “E i cani abbaiano” , “Il segreto della morte”, “Controcorrente” e il libro di cui parlerò in questo post, “Troppe lettere per Grace”, forse la migliore delle fioriture tardive della Golden-age del giallo, come giustamente dice Mauro Boncompagni in un suo articolo.

Perché questo gioiello assoluto , dapprima passato nei GM ridotto e poi ritradotto integralmente da Marilena Caselli nella versione apparsa nel classico del giallo 741 (sola e unica versione da reperire, mi raccomando)  sia così misconosciuto è un vero mistero, così come è strano che la Polillo snobbi questo autore, che meriterebbe più di un bassotto ( e visto che ha già usato traduzioni Mondadori, non credo sia nemmeno un problema di diritti).
 
 
 

Scritto da Webb e Wheeler, questo romanzo del 1939 è l’ultimo Quentin che segue uno schema da giallo classico all’Inglese (tralasciando gli Stagge) ed è forse il suo libro più perfetto e appassionante, certo quello dalla risoluzione più brillante.

L’ambientazione è quella, tanto cara alla Polillo ( e anche al sottoscritto, visto che dopo Miss Pym è il secondo giallo accademico consecutivo che recensisco; evidentemente, invecchiando si ha voglia di gioventù), di un college poco lontano da New York, location che ricorda il capolavoro “Come in uno specchio” di Helen McCloy; ma se in quel caso l’istituto era solo per donne, qui abbiamo il classico college Americano dove ragazzi e ragazze studiano e convivono giorno dopo giorno, con tanto di giardinetto riservato ai convegni amorosi.

In questo microcosmo  possono crearsi bellissimi rapporti di amicizia e amore, ma anche morbosi legami ossessivi; una di queste persone che sembra stare al college esclusivamente per seminare zizzania è Grace Houg, una studentessa carina, pallida e dotata ma fortemente complessata e resa instabile da recenti fatti gravi accaduti nella sua famiglia, su tutti la rovina finanziaria e il conseguente suicidio del padre; Grace, che studia nel college assieme all’aitante fratello Jerry, sportivo e studente modello desiderato dalle ragazze più belle (le stesse che ovviamente dileggiano Grace), somatizza tutto questo e da ragazza timida, goffa e invidiosa  ma sostanzialmente innocua si trasforma in una persona equivoca, che ricatta e scredita, e che finisce per innescare un perverso gioco di omicidi e violenze; oltre a questo la vita sociale della ragazza, circoscritta a pochissime persone, diviene intensa e misteriosa; molte lettere, a cadenza quasi quotidiana, le giungono, ma nessuna delle sue amiche, nemmeno la migliore di esse, riesce a sapere chi è il mittente misterioso; lo scoprire chi è il misterioso ammiratore di Grace è uno dei punti focali dell’intero romanzo.

La fosca vicenda è narrata in prima persona dalla protagonista  Lee Lovering, compagna di stanza e migliore amica di Grace, una bella ed equilibratissima giovane americana modello per la quale è già difficile immaginare un mondo meno che idilliaco, figuriamoci affrontarlo; per fortuna avrà al suo fianco due studenti entrambi bellissimi e innamorati di lei, il già citato Jerry Hough e Steve Carteris, che al contrario di Jerry che ha perso tutto è anche benestante, e soprattutto avrà vicino l’arguto  tenente Trant, che  fin dall’inizio della spirale di violenza che travolgerà Grace e tutte le persone che le ruotano attorno sarà al fianco della ragazza, usandola come esca per l’assassino ma al tempo stesso proteggendola dalle insidie  dello stesso; solo rischiando infatti questo diabolico omicida potrà essere smascherato, cosa che l’astuto tenente non mancherà di fare.

Come sapete sono contrario allo svisceramento delle trame, e in questo caso più che mai; quello che ho raccontato è solo lo scheletro, l’ossatura del romanzo, ma ci sono molti personaggi caratterizzati in modo eccellente, splendide descrizione della New York del tempo (specialmente dei teatri, che hanno grande importanza in questa storia) misteri che si accumulano e trovano una spiegazione con un’ottima alternanza e soprattutto un eccellente doppio colpo di scena finale (altra cosa in comune col Miss Pym della Tey) che rende il romanzo avvincente veramente fino all’ultima riga.

Ora, se lo trovate, provate a leggere questo “Troppe lettere per Grace” e ditemi se non è un giallo di primissimo livello, e chiedetevi stupiti come la firma Patrick Quentin non abbia la risonanza dei titani; ma non temete, un Quentin in edicola lo troverete sempre, almeno  finchè questo tipo di narrativa resterà in auge e la più longeva e gloriosa collana di libri Italiana continuerà ad uscire; si spera per sempre, dai.
 
 
 
 
-INTRECCIO E SOLUZIONE FINALE;  9/10
-LEGGIBILITA’  9/10
-ATMOSFERA  9/10
-HUMOUR   8/10
-SENTIMENTO   9/10
 
MEDIA VOTO; 8,8
 
 

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