Una delle cose migliori della casa editrice Adelphi, nonostante i suoi
prezzi davvero troppo alti per libri di nemmeno 200 pagine, sono
senz'altro le riproposizioni dei romanzi del prolificissimo Georges
Simenon, praticamente un pozzo senza fondo a cui attingere e che
riscontra, una volta tanto, un giustificatissimo successo anche di
pubblico, oltre che di critica.
Come sapete, a me Simenon piace
molto, sia Maigret che extra Maigret; non ritengo tutti i suoi libri
automaticamente capolavori come fanno tanti, anzi ce ne sono alcuni che
proprio non mi hanno detto nulla (ma, vedi anche Maugham e Kipling,
alcuni autori riscoperti da Adelphi, da bistrattati che erano, finiscono
per essere addirittura sopravvalutati proprio grazie alla patina di
snobismo letterario che distingue questa casa editrice) ma in ogni caso i
suoi libri si fanno sempre leggere con piacere, aldilà del risultato
finale.
SImenon, diciamocelo, oltre che talentuoso era un mestierante
furbissimo, forse colui che capì più alla perfezione come dosare quegli
ingredienti per cui il pubblico lo amò fin da subito; atmosfere e
descrizioni di Parigi o della provincia Francese, personaggi ambigui e
sessualmente disinibiti, escursioni in scenari esotici, e soprattutto
una scrittura che arriva al sodo, che non si perde in dettagli inutili,
che centra il bersaglio senza tergiversazioni.
Ma nel 1934, ai tempi
in cui scrisse "Il pensionante" il SImenon che esaminerò in questa
occasione, il Belga non era ancora un autore completo come nei romanzi
della maturità. Nato nel 1903, aveva esordito da giovanissimo scrivendo,
con lo pseudonimo di George Sim un mucchio di romanzotti a sensazione
oggi tenuti scientemente nell'oblio (ma ai quali non mi dispiacerebbe
dare una lettura) e poi raggiunse un fulmineo successo coi primi libri
di Maigret; ma l'autore, un poco stufo del personaggio, volle tornare a
romanzi senza personaggi fissi senza però gli orpelli del Feuilleton ma
con una formula simile ai Maigret, seppur con un intreccio poliziesco
labile se non inesistente, più drammi umani che thriller, raggiungendo
subito risultati di tutto rispetto, tra cui "Colpo di Luna", "Il
passeggero del Polarlys" , "I Pitard" , fino a questo "Le locataire"
datato 1933.
Diciamolo subito per evitare malintesi; questo
romanzo, seppur buono, non è a livello dei migliori Simenon. E' una
storia interessante ma mal calibrata nel ritmo, e con troppi personaggi
irrisolti.
La trama, tipicamente Simenoniana, parla di un uomo,
Élie Nagéar, che si intuisce già perdente, già vittima del suo destino.
Ebreo Turco ma di origini Portoghesi (!) Nagear, dopo un affare andato a
monte, uccide un facoltoso Olandese per rubargli le motle banconote che
sapeva che l'uomo aveva con se. SI rifugia a Bruxelles dalla sua
amante, Sylvie, avventuriera ed entraineuse dalla morale equivoca che
poco ha della femme fatale dei noir, in quanto persona pratica, che si
vende senza il minimo scrupolo all'amante di turno che può farle dei
regali, senza provare niente per essi.
La ragazza, più
infastidita che coinvolta dalla situazione, dice a Nagear di andare a
nascondersi nella pensione gestita da sua madre e sua sorella, nella
vicina Charleroi, dopo avergli preso una parte del bottino. E qua
Nagear, individuo inquieto ben prima di essere braccato dalla polizia
per l'omicidio, magicamente, grazie alle cure della madre di Sylvie che
lo adotta come un figlio, scopre, nel rigido inverno Belga, che il
microcosmo della pensione è per lui il rifugio caldo e quieto che non ha
mai avuto e che, forse, desiderava da una vita; non esce mai, passa le
giornate nel calore della famiglia Baron, conversa con la scontrosa Antoinette, sorellina di Sylvie (personaggio di adolescente problematica e con istinti repressi che avrebbe potuto essere sfruttato molto meglio) e con i mal assortiti
pensionanti, tra cui un giovane ebreo del ghetto di Vilnius e un polacco
che odia gli ebrei (sinistra anticipazione dell'ondata antisemita che
proprio in quei mesi avrebbe travolto l'Europa) e tra quelle modeste
mura inizia a vivere quasi una nuova vita. Ma, nel mondo all'esterno
della pensione Baron, la polizia si avvicina sempre più alla verità....
Insomma,
se dalla mia sinossi avete ricavato l'impressione che Il pensionante
sia un buon thriller venato di suspense (come l'omonimo film
Hitchcockiano, che ovviamente non c'entra nulla con questo romanzo)
avete ragione solo in parte. Perchè si, la storia è buona e sicuramente
sulle prime coinvolge, ma poi l'autore si concentra troppo sulla vita di
Nagear alla pensione, volendo raccontare la storia di un uomo che quasi
torna bambino finisce per sacrificare la fluidità dell'intreccio e il
pathos pian piano finisce per scemare, e la conclusione arriva un poco
stanca, come nel calcio un attaccante che prende la palla a centrocampo,
fa una gran volata verso la porta ma arriva confuso e poco lucido e fa
un tiro telefonato e prevedibile. Ma, ricordiamo, il miglior Simenon
aveva ancora da venire, forse vent'anni dopo avrebbe sfruttato al
massimo le potenzialità elevatissime offerte della trama. In ogni caso
un libro da leggere, che trova un suo riassunto nella frase bellissima
tratta dal Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, ossia "Tutti vorrebbero
tornare bambini, anche i peggiori di noi. Anzi, forse i peggiori di noi
lo sognano più di tutti".
Innanzitutto scusami che per un po di tempo sono stato assente dal sito... ma ero stato in vacanza in un posto senza connessione quindi non ho potuto per un po leggere dal tuo blog.
RispondiEliminaInnanzitutto vorrei dire che è una bella recensione... non troppo lunga, ben scritta, che riesce ad affrontare tutto ciò che ha da dire in bene e in male e mi hai incuriosito a comprare sto libro... nonostante non sia il massimo dal punto di vista poliziesco... credo che lo leggerò più per i personaggi che per il resto allora.
Mi dispiace di aver ripetuto 2 volte "innanzitutto... non ho riletto bene il messaggio.
RispondiEliminaCiao Wellington, nessuna scusa ci mancherebbe, questo blog non richiede l'obbligo di commento (anche se fanno sempre piacere :) ). Ti ringrazio per i complimenti, e ti consiglio questo libro per le sue atmosfere, non certo come plot giallo che è quasi inesistente; di Simenon certo meritano, Maigret a parte, ben altri romanzi (L'angioletto, la Marie del porto, Lettera al mio giudice) ma anche questo non è certo da buttare.
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