venerdì 28 marzo 2014

L'OCCHIO DI OSIRIDE, DI RICHARD AUSTIN FREEMAN


Diciamoci la verità; chi di noi almeno una volta, fin da bambino, non si è lasciato affascinare da uno dei mondi perduti più citati e sfruttati dall’immaginario collettivo come l’antico Egitto delle piramidi, dei Faraoni e delle bellissime Principesse? Tutte le forme di narrativa possibili, dalla letteratura al cinema fino ai cartoni animati, hanno sfruttato il filone. Ogni grande eroe dei fumetti vi ha avuto a che fare (perfino Tex Willer, perché l’antico Egitto si esporta anche nel far west, zero problemi) e come vedremo quasi ogni giallista classico.

Innanzitutto, va detto, il sotto filone Egiziano è tuttora vivo e vegeto nella letteratura d’evasione contemporanea. Ovviamente viene subito alla mente il ciclo di romanzi di ELizabeth Peters con la sua intrepida Indiana Jones in gonnella Amelia Peabody, che col marito Radcliffe sarà protagonista di godibili vicende ambientate nell’Egitto di fine ottocento, all’epoca terra di conquista sia di archeologi che di volgari tombaroli. Molto note anche le avventure del giudice Amerotke, nate dalla penna dell’eclettico Paul Doherty, maestro del giallo storico contemporaneo.



Grande successo ebbe, negli anni novanta, la trilogia thriller “Keophs” di Christian Jacq, già autore del fortunatissimo ciclo di Ramses, una delle mie letture preferite dell’adolescenza.

Anche Wilbur Smith, il titano dell’avventura contemporanea (anche se da parecchi anni ormai non ne imbrocca mezza) non ha resistito al fascino delle piramidi, regalandoci libri memorabili come “Il Dio del fiume” e soprattutto “Il settimo papiro”, bellissima spedizione senza esclusione di colpi per ritrovare  una tomba perduta  lungo il Nilo, un libro che ai tempi mi folgorò e che davvero dovrei rileggere, perché merita. Insomma, un successo che non conosce requie, anche se a noi interessa la sua variante “gialla”.

Per chi scrive, il romanzo che ha dato il “La” alla fascinazione dei Britannici per l’antico Egitto è stato un libro  non eccelso e carente nello stile (come molte opere dell’autore, purtroppo) ma imitato a oltranza  di Bram Stoker, ovvero “Il gioiello delle sette stelle”. Il libro è una delirante avventura a metà tra l’horror e il fantasy,  con una antica e malvagia Dea, che dopo essersi risvegliata durante un’incauta spedizione archeologica cerca di reincarnarsi nel corpo di una dolce fanciulla, figlia dello scienziato he comanda la spedizione. Temo che ormai, viste le numerose varianti, la storia abbia perso mordente per il lettore odierno, ma indubbiamente  rappresenta alla perfezione tutto il bagaglio di questo particolare filone; statuette e mummie che si animano di notte nei musei e nelle facoltà accademiche, misteriosi e minacciosi stranieri che cercano di riappropriarsi del maltolto (e giustamente, visto che spesso gli archeologi non andavano per il sottile), ragazze dalla pelle olivastra e gli occhi viola che si aggirano furtive per saloni e strade buie, omicidi rituali e strane iscrizioni;  i migliori romanzi “Egiziani” sono ambientati a Londra e dintorni, ovviamente compare spesso il  British museum (La sala egizia fu filmata anche da Hitchcock nello splendido finale di Blackmail, il suo primo film sonoro) ma in ogni caso Musei, Atenei, isolate magioni di campagna, vicoli bui e fetidi Docks sono l’ambiente eterogeneo quanto naturale per queste storie.

Il filone dell’ “Egyptian Mystery ” prese piede nei primi anni del ventesimo secolo, e quasi tutti gli addetti ai lavori colorarono di sfumature Egiziane alcuni loro lavori; da Fergus Hume (L’uomo dai capelli rossi) a Sax Rohmer (che nel divertente ma involontariamente ridicolo “Occhi nel buio” mette in scena tutti i cliches del mistero Egizio sconfinando goffamente nel soprannaturale), passando per John Dickson Carr (L’arte di uccidere) e per finire ovviamente ad Agatha Christie, che dell’Egitto aveva una conoscenza di prima mano, grazie ai viaggi compiuti col secondo marito archeologo Max Mallowan; citazione obbligatoria per Poirot sul Nilo, per il graziosissimo racconto “La maledizione della tomba egizia” i cui Poirot e Hastings condividono la vita degli archeologi, per finire a due opere che nell’antico Egitto sono direttamente ambientate, ossia il famoso “C’era una volta” e un misconosciuto dramma teatrale, “Nel regno di Akhenaton”, pubblicato nel secondo volume di “Tutto il teatro di Agatha Christie”, quattro libri ormai introvabili seppur pubblicati negli Oscar Mondadori solo nel decennio scorso, e che DEVONO essere ristampati.

In ogni caso, il grande capolavoro dell’ Egyptian Mystery  è e rimarrà  “L’occhio di Osiride” di Richard Austin Freeman, un romanzo eccezionale datato 1911 che la Polillo ha ripubblicato da pochi giorni.

L'EDIZIONE DEI GEM
 
Secondo romanzo dell’autore dopo il convincente “L’impronta scarlatta”, fu tradotto per la prima volta ( piuttosto tagliato, ahimè) da Alberto Tedeschi, poi il giallo Mondadori lo rieditò nella collana dei “Grandi del mistero” con una nuova traduzione Integrale di Laura Grimaldi, versione riportata nel classico del giallo n. 759. E ora la Polillo, sempre in traduzione Integrale di M. Dellatorre, rende comodamente disponibile in ogni libreria questa pietra miliare del poliziesco, un romanzo anche importante, oltre che bellissimo.

 
 
La forza del libro risiede nella perfetta convivenza di tre fattori; un intrigo poliziesco che soddisferà anche i “duri e puri” dell’enigma arzigogolato e contorto, delle bellissime descrizioni della Londra di inizio Novecento degne del miglior Chesterton e una grande, vera e sentita storia d’amore, mi azzarderei a dire la più bella di tutto il poliziesco, in quanto non è invadente rispetto all’intreccio, ma si amalgama con esso, quasi a offrire delle pause rilassanti in mezzo a un caso estremamente complesso. Non è come nei romanzi della Heyer e della Eberhart ( ottime autrici, intendiamoci) nella quale la Love Story “deve” esserci e spesso finisce per ridondare rispetto alla trama, in questo l’occhio di Osiride tutto combina alla perfezione.

E, altra cosa non trascurabile, in questo romanzo l’antico Egitto non è solo evocato o usato per creare suggestioni più o meno a buon mercato, qui si dedicano intere pagine a questa antica e misteriosa civiltà, si apprendono nozioni interessanti ( splendide le pagine ambientate al British Museum, dove tra l’altro ha inizio l’idillio dei due giovani protagonisti) e alla fine della lettura si sa un po di più di Antico Egitto, non moltissimo certo, ma qualcosa si.

Raccontare la trama è praticamente impossibile, non mi ci provo neanche; c’è un uomo, appassionato Egittologo, che è scomparso, un complicatissimo testamento legato alla sua persona, due giovani che si innamorano, il geniale Thorndike che indaga e risolve il caso in modo spettacolare. Vi basti questo, tutto quello che potete fare è procurarvi il libro e immergersi in un romanzo “totale” in quanto accontenterà i romantici come il sottoscritto, coloro che vivono il poliziesco come una grande sfida intelletuale  e, infine, coloro che “semplicemente” amano i libri scritti come Dio comanda.

Buona lettura.

2 commenti:

  1. "Artemidoro, Addio!"
    Le parti ambientate nel british museum sono dolcissime e poetiche. Ma di questo romanzo ho amato tutto: l'intreccio giallo (anche se il colpo di scena finale è facilmente intuibile), la storia d'amore fra il dottorino e la figlia dell'egittologo, i dialoghi brillanti...
    L'ho scoperto su tuo consiglio, quindi ti ringrazio.

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  2. I dialoghi davanti alla statua di Artemidoro sono una delle vette romantiche assolute del poliziesco, assolutamente imperdibili. Noterai come, contrariamente ad altri gialli recensiti, della trama dica poco o niente, proprio perché credo che sia un libro tutto da scoprire, perché in ogni pagina ci sono elementi interessanti. Certo, magari qualcuno potrà essere un poco annoiato dalla scena processuale a metà romanzo, o qualcun altro proprio dall'idillio sentimentale, ma credo che nessuno potrà dirsi scontento di un libro come questo.

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