Tutte le volte che dichiaro che la serie del commissario Maigret è la vera “Comedie Humaine” del ventesimo secolo, sembra sempre che parta la sparata dell’appassionato di letteratura popolare che si vuole cimentare in paragoni importanti, ma ad ogni nuova lettura o rilettura di un romanzo del ciclo, la mia convinzione non solo rimane tale, ma si rafforza.
In fin dei conti la saga di Maigret, prima itinerante per tutta la provincia Francese (e ben oltre;Belgio, Olanda, perfino New York) e poi raramente ambientata fuori da Parigi e dintorni, ci ha regalato un affresco pressoché totale di una capitale Francese ormai talmente stravolta nel tessuto sociale e nell’urbanistica che quella Simenoniana risulta al lettore odierno (specialmente per chi conosce la città com’è adesso..io purtroppo ancora non ci ho messo piede) quasi un mondo fiabesco, una pura astrazione idealizzata come l’Ovest selvaggio di John Wayne o l’Inghilterra degli Squire e dei villaggetti.
Ma comunque la Parigi di Simenon, al contrario di altri mondi mitici, esisteva eccome, e l’autore ce l’ha presentata veramente in tutti i suoi aspetti; dai quartieri più popolari densi di commoventi perdenti Brassensiani(Maigret e il ladro pigro, Maigret e l’uomo della panchina, Maigret e il cliente del sabato) ai clochard lungo la Senna (Maigret e il vagabondo) ai nuovi quartieri-dormitorio proliferati dal dopoguerra in poi (La ragazza di Maigret) ai delicati ritratti di donna (Cecile, Maigret e la giovane morta) e soprattutto ci ha presentato via via i nuovi Parigini; gli immigrati Polacchi di “Un’ombra su Maigret” o il Libanese dell’omonimo romanzo, i giovani beatnik di Maigret e il ladro, niente e nessuno è sfuggito all’occhio critico benevolo e spietato al tempo stesso quando incredibilmente acuto dell’autore.
Ma prima del 1960, in un periodo della serie che molti ritengono già di decadenza ma che per il sottoscritto, come ho dichiarato altre volte, è quello con molti dei romanzi più belli, Simenon azzardò molto ambientando un suo romanzo (Dopo il celeberrimo Caso Saint-Fiacre) nel mondo dell’aristocrazia; nella Parigi postbellica in pieno fermento politico e sociale i tipi più in evidenza erano ben altri, tanto che la minoranza di sangue blu, privata di molto del suo blasone, in piena decadenza e con molti dei suoi rappresentanti ormai anziani, era considerata alla stregua di un fastidioso anacronismo, dei relitti avulsi dal nuovo contesto sociale.
Ma Simenon, che oltre che un genio era un uomo sensibilissimo, riuscì a rendere giustizia a queste persone in fondo sfuggenti e misteriose, spesso vittime del loro stesso augusto nome; Maigret, infatti, viene chiamato in seguito al ritrovamento del cadavere del conte di Saint-Hilaire, noto ex ambasciatore in persona, ucciso da ben quattro colpi di revolver nel suo studio da qualcuno che lui stesso aveva fatto accomodare. Maigret, che si sente in preda a una soggezione che sfiora il disagio in quell’ambiente di nobili a causa della sua infantile adorazione per la sfuggente e altera contessa di Saint-Fiacre (geniale il rimando al capolavoro scritto quasi trent’anni prima) considerata dal Maigret bambino come una sorta di dea benigna, inizia a indagare sulla vita del morto, e viene a conoscenza di una storia assurda che sembra tratta da un romanzo d’appendice di tanti decenni prima in stile Feval o Bourget, ovvero quella di un amore durato una vita e rimasto platonico per motivi di etichetta tra il morto e la contessa Isabelle, un amore nato in gioventù vissuto intensamente, con appassionate missive quotidiane, un continuo spiare in silenzio l’uno la vita dell’altro (sarà casuale il rimando al meraviglioso racconto “Wakefield” di Nathaniel Hawthorne? Chissà se Simenon lo conosceva…) vedersi appassire, invecchiare, sempre da lontano; a questa emozionante vicenda rievocata durante tutto il racconto si alterna la mediocrità degli eredi e dei parenti più giovani dei due nobili, persone meschine incapaci anche solo di capire tutto quel sentimento. Ma sarà uno di loro, giovanissimo e più sensibile degli altri, a incanalare il caso sui giusti binari, e un simpatico abate a fornire a un Maigret provato e commosso la (per niente scontata) soluzione.
Insomma, questo “Maigret et les vieillards” (Maigret e i vecchi signori nell'edizione Adelphi) ha tutti i pregi dei migliori romanzi Simenoniani senza averne i difetti, assolutamente uno dei migliori del ciclo, da recuperare senza esitazioni. E preparate qualche fazzoletto vicino al comodino.
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