mercoledì 1 aprile 2015

"LA MORTE NEL VILLAGGIO" DI EDMUND CRISPIN.

L'inglese, anzi Oxfordiano (quindi super-Inglese) Edmund Crispin non è molto ricordato nelle storie ufficiali del poliziesco. Viene citato per essere leggero e ironico, alla maniera di Kitchin o Stuart Palmer, uno di quegli autori, insomma, ricordati più per la piacevolezza e l'arguzia della loro penna che non per quei mirabolanti intrecci polizieschi che per la maggioranza dei giallofili è il requisito principale per insignire del titolo di "grande" un autore. Crispin, non ricordo in quale occasione, è stato addirittura definito "Un Wodehouse della crime novel", paragone che, seppur insigne, finisce per togliere a Crispin ulteriore credibilità come giallista, e questo a parer mio è un errore abbastanza clamoroso, perché Crispin è si piacevole e talvolta assai divertente, ma è anche un giallista diabolico (era un grande ammiratore di Carr, e a lui si ispirava per le trame), e le sue storie con protagonista il simpatico docente di Oxford e detective dilettante Gervase Fen non possono, a parer mio, essere considerate di second'ordine.





Qua in Italia lo abbiamo scoperto relativamente tardi, e questo a parer mio è stato un bene; perché, come altri giallisti Oxfordiani o comunque accademici ( Dorothy Sayers, Nicholas Blake, Berkeley...), Crispin usa un linguaggio ricco, sfaccettato, difficile da rendere e soprattutto poco nelle corde del pubblico Italiano, lontano dalla sensibilità Oxfordiana; se il GM li avesse proposti "in tempo reale" le traduzioni sarebbero state forse incomplete e approssimative ( Quelli di Crispin sono romanzi piuttosto corposi per la media del genere) , per cui le opere di questi grandi "difficili" si sono potute gustare quasi solo dagli anni ottanta in poi, quando traduttori capaci li hanno resi disponibili per lettori, diciamocela tutta, che avessero voglia di andare oltre lo stile spoglio ed essenziale di molti altri autori, soprattutto Americani.
Quindi, per fortuna, Crispin lo abbiamo atteso molto ma poi lo abbiamo avuto nella maniera giusta....anche se un'opera fa eccezione, quella di cui parlerò in questa occasione E perché, dopo aver magnificato le versioni recenti, vi propongo proprio l'unico che uscì negli anni cinquanta in traduzione anonima? Perché è comunque ben fatta e perché il romanzo  è comunque una vera delizia, e non deve essere sottovalutato solo per il fatto che non abbia ricevuto il trattamento degli altri.




Questo "The long divorce" uscito originariamente nel 1952 e proposto nello stesso anno nei Gialli Mondadori (e ristampato nei classici nel 2000) , si inserisce con pieno merito nel filone dei romanzi nei quali agisce un "corvo", ossia un qualcuno che diffonde lettere anonime infamanti alla popolazione di un borgo di modeste dimensioni dove tutti si conoscono, per il puro gusto di creare il panico tra la popolazione. Il capostipite del sottogenere fu in realtà uno splendido film di Clouzot, dal titolo appunto "Le corbeau", che oltre a essere un giallo claustrofobico e impeccabile è anche una metafora della delazione dei collaborazionisti; film del 1943, probabilmente lo visionò Agatha Christie, che due anni dopo ci regalò il "Il terrore viene per posta" uno dei suoi romanzi più memorabili. Poi altri grandi giallisti hanno scritto un romanzo su questa tematica; Nicholas Blake (La fossa che inghiotte) Carr (La vedova beffarda) Patrizia Wentworth (Lettere al cianuro) opere nel complesso piuttosto riuscite anche se la migliore resta quella di dame Agatha.

Crispin, nel suo romanzo, resta fedele al clichè del piccolo villaggio; qui siamo da qualche parte dell'Inghilterra più rurale, in un villaggio che si chiama Cotten Abbas, posto da cartolina ma, come si vedrà, solo apparentemente idilliaco. Un misterioso personaggio (vabbè, è Gervase Fen, è chiaro fin da subito) arriva per caso, prende una camera in affitto come a voler fare il turista in cerca di riposo, mentre invece il suo scopo è fare luce (lo ha chiamato uno dei personaggi) su queste lettere minatorie che presto sfociano in omicidi a sangue freddo. La storia, e soprattutto il classicissimo contesto di essa, è talmente lineare e "tipica" che è inutile raccontarla, ma i punti di forza sono i personaggi veramente ben sfaccettati; Una giovane dottoressa dotata ma di cui nessuno si fida in quanto donna, Un poliziotto impacciato e innamorato, un altro dottorino dalle belle maniere, una ragazza sola e complessata invaghita di un giovane professore Svizzero dalle idee anarcoidi, il padre della ragazza malvisto da tutto il paese per i suoi modi rozzi, un macellaio che professa uno di quei culti assurdi al tempo molto diffusi in Inghilterra, e poi la solita pletora di vecchie zitelle che tutto sanno e di tutti sospettano. E, mentre la trama scorre piacevolissima e i pezzi di garbato humour non mancano, la tensione derivata dalle missive destabilizzatrici del corvo non viene mai meno, e la soluzione finale, magari non trascendentale, è comunque di tutto rispetto. Insomma, un bel viaggio in una profonda provincia immersa nel tenue sole dell'estate Inglese, un romanzo che forse non sarà il più riuscito dell'autore, ma che non per questo va perso. E se come me amate il sottofilone del "corvo", ne sarete davvero deliziati.
Insomma, Crispin è davvero un autore da approfondire, come tutti quelli della scuola di Oxford.

3 commenti:

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  2. Davvero, sarebbe molto interessante ascoltare la sua musica, magari mentre si legge un suo romanzo.

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